
Etiopia-Tigray, arriva l’accordo. La pace mai così vicina
Iniziati formalmente a Pretoria in Sudafrica il 25 ottobre, i negoziati voluti dall’Unione Africana tra le autorità ribelli del Tigray e governo etiope guidato da Abiy Ahmed hanno portato il 2 novembre a un primo importante risultato: un cessate il fuoco permanente in 12 punti, accolti da ambo le parti, dopo due anni di guerra che hanno lasciato sul campo decine di migliaia di vittime, milioni di sfollati, devastazione di villaggi e città, una crisi alimentare mai vista prima e uno stato di instabilità e insicurezza che ha interessato tutta la regione del Corno d’Africa. I negoziati di Pretoria sono giunti a distanza di quasi otto mesi dalla tregua umanitaria dello scorso marzo, rotta nel mese di agosto e sfociata in nuove aggressioni da parte delle forze governative, sostenute peraltro a nord dagli alleati eritrei.
L’origine del disastro
Il conflitto tra potere centrale e Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF), dopo mesi di braccio di ferro, è esploso formalmente il 4 novembre 2020, con la dichiarazione dello stato d’emergenza e l’intervento militare voluto dal presidente Abiy Ahmed, insignito l’anno precedente del Premio Nobel per la Pace in riconoscimento del suo determinante impegno nel processo di riconciliazione con l’Eritrea che ha portato alla pace l’8 luglio 2018.
L’elezione di Abiy Ahmed, un presidente di etnia oromo, il 2 aprile 2018, aveva provocato un terremoto politico nel Paese africano più popoloso del continente dopo la Nigeria: da un lato minacciava la rendita di posizione ormai trentennale della vecchia classe dirigente tigrina, ben radicata nei gangli dell’amministrazione centrale; dall’altro introduceva in Etiopia una visione politica più centralista che prevedeva il superamento dal federalismo etnico e linguistico su cui è fondata la suddivisione in Regioni (v. Adista Notizie n. 42 del 28/11/2020).
L’accordo prevede il ripristino dell’«ordine costituzionale», nonché la salvaguardia dell’integrità e dell’unità del Paese, il che significa per il TPLF la rinuncia all’indipendenza politica e militare. Una base di partenza per consentire l’accesso degli aiuti umanitari e iniziare un percorso di ricostruzione, al fine di superare lo stato di devastazione e di miseria che attanagliano ormai la regione settentrionale del Paese da quando è scoppiata la guerra. Nell’accordo c’è anche l’impegno ad “abbassare i toni”, ad abbandonare la «propaganda ostile» che negli ultimi due anni ha alimentato il conflitto e fomentato lo scontro etnico.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!