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Colloqui di pace. Sintomi

Colloqui di pace. Sintomi

Forse il mosaico degli auspicabili colloqui di pace sull’Ucraina si va componendo, anche se molte tessere sono voci e ipotesi. Di certo ci sono tre notizie: la Russia ha annunciato il ritiro da Kherson; Biden ha detto che al G20 di Bali del 15 e 16 novembre, pur in assenza del presidente russo, «ci sarà possibilità di discutere dei prossimi passi necessari alla pace»; papa Francesco ha offerto il Vaticano come luogo per i colloqui. La possibilità che l’ipotetico incastro di esse, che qui di seguito si prova a disegnare, sia realizzabile è tutta da verificare.

Kherson val bene un incontro?

L’annuncio del ritiro da Kherson potrebbe essere dovuto alla difficoltà che la Russia sta incontrando per mantenere la posizione sulla città, contesa dai legittimi “proprietari”, gli ucraini, che stanno passando di successo in successo verso la quasi certa riconquista. Ma non va dimenticato che, con Donetsk, Lugansk e Zaporizhzhia, Kherson è una delle quattro regioni ucraine sottoposte a referendum a fine settembre scorso - e, come risultato, affiliate al territorio russo -, ed è uno strategico e simbolico avamposto in territorio ucraino e di passaggio per la russa (dal 2014) Crimea. Ipotesi: oggettive difficoltà logistiche a parte, e se l’abbandono di Kherson fosse una mostra di disponibilità da parte di Putin per saggiare il terreno in prospettiva quanto meno di una tregua? E qui bisogna menzionare le parole più volte ripetute dal presidente ucraino Volodomir Zelenski: ci siederemo a un tavolo solo quando i russi lasceranno tutte le province ucraine (e dunque anche soprattutto le regioni sottoposte al referendum). “Se intanto vi lasciamo mano libera in una di esse, possiamo pensare di incontrarci?”, sembra ora dire la Russia.

Zelenski: datemi un po’ di tempo

A quanto pare, Zelenski non prende il ritiro russo come una possibilità di tregua, ma come una vittoria militare sul campo. Da questo punto di vista, non crede fino in fondo all’annuncio, teme che ci sia sotto «una trappola». Perciò intende andare avanti con i piedi di piombo. Però, leggiamo su iI Post (10/11), «secondo quanto riferito da diplomatici di paesi occidentali al Financial Times, l’Ucraina avrebbe informato i Paesi alleati di voler procedere con cautela». Insomma, una posizione attendista, non il solito “non ci interessa, tanto i russi ci prendono in giro” e chiuso il discorso.

Biden: “passi necessari alla pace”

D’altronde il presidente Usa Joe Biden, grande sponsor dell’Ucraina anti-Russia, pare – di nuovo, pare – si sia infuriato con Zelenski (v. Il Tempo (31/10/22) che non smette di chiedere e chiedere, e armi e aiuti. Inoltre Biden, dopo le elezioni di metà mandato (i cui risultati però non sono ancora definitivi), ha perso parte dei congressisti democratici e i repubblicani faranno di tutto, anche in riferimento alle spese per l’Ucraina, per mettergli i bastoni fra le ruote. Cambia il vento, cambia la politica che può voltarsi a un atteggiamento meno aggressivo nei confronti della Russia e più freddo nei confronti dell’Ucraina. Nella conferenza stampa che ha tenuto sull’annuncio del ritiro russo ha voluto precisare che «all’Ucraina non abbiamo dato assegni in bianco. Ci sono molte cose che l’Ucraina vuole e che non abbiamo fatto». Ha proseguito: «Mi è stato detto che Vladimir Putin probabilmente non sarà al G20 di Bali del 15 e 16 novembre prossimi», ma, ha sottolineato, «ci saranno altri leader, ci sarà possibilità di discutere dei prossimi passi necessari alla pace».

Il luogo dei colloqui c’è: il Vaticano

La terza notizia, come si diceva all’inizio, riguarda l’offerta da parte del papa del Vaticano come sede dei colloqui di pace. Iniziativa non straordinaria da parte di Francesco, più straordinaria l’accoglienza della stessa ad alto livello di ufficialità. L’annuncio è stato dato all’agenzia russa Tass (30/10) da Leonid Sevastianov, presidente dell'Unione mondiale degli antichi credenti russi, citando la sua telefonata con il papa: «A seguito delle dichiarazioni del [ministro degli Esteri russo Sergey] Lavrov e del [portavoce del Cremlino Dmitry] Peskov, il Papa offre la Città del Vaticano come sede per i colloqui tra America, Europa e Russia sulla sicurezza condivisa. Il Vaticano è nella lista dei Paesi amici della Russia ed è neutrale. È anche amico dell'Ucraina, dell'America e della NATO. Quindi, il Vaticano è un luogo ottimale per i colloqui», ha affermato.

Ricordiamo che il 25 ottobre il portavoce presidenziale russo Dmitri Peskov aveva affermato: «Siamo disposti a discutere di tutto questo (la situazione in Ucraina) con gli americani, con i francesi e con il pontefice». Era una risposta alla proposta del presidente francese Emmanuel Macron. Questi, in visita in Vaticano in giorno prima, aveva chiesto papa Francesco di chiamare Vladimir Putin, Joe Biden e il patriarca russo ortodosso Kirill per «promuovere il processo di pace» in Ucraina.

Che qualcosa si stia davvero avviando su sulla strada dell’incontro fra gli ormai troppi contendenti lo lascia supporre anche l’udienza concessa dal papa, il 7 novembre, per la prima volta dall’inizio della guerra, al capo della Chiesa greco-cattolica ucraina Sviatoslav Shevchuk. Quasi a voler rassicurare gli ucraini che Francesco sarà sempre vicino a loro, anche se dovesse ricevere sul territorio vaticano la causa prima delle loro sofferenze, il presidente Putin.

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