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Per una nuova sintesi creativa

Per una nuova sintesi creativa

Tratto da: Adista Documenti n° 45 del 31/12/2022

Qui l'introduzione a questo testo. 

Con la riapertura delle chiese, dopo un lungo periodo di chiusura a motivo della pandemia, ci si è resi conto che molti cattolici praticanti non sono ritornati alle celebrazioni in chiesa e alle normali attività parrocchiali. (…). Certamente la chiusura prolungata ha disorientato i credenti: forse si tratta di cattolici non ben radicati nelle loro comunità; oppure esiste qualcosa di molto più profondo in questa situazione.

La crisi pandemica ha messo in gioco e in discussione l’immagine di Dio e come la Chiesa ne parla. Cosa significa invocare questo Dio? È stata molto suggestiva l’immagine di Papa Francesco che ha pregato nel giorno del Venerdì Santo 2020 a San Pietro: in una piazza deserta, riempita solo dalla pioggia e dal rumore delle sirene nel sottofondo della celebrazione. Una scena carica di simbolismo. Ma chiediamoci: quella preghiera, come altre preghiere fatte da credenti un po’ dovunque, è stata poi esaudita? Oppure lo scopo di tale celebrazione era solamente portare coraggio, consolazione e fiducia, senza aspettarsi nulla dall’alto?

La pandemia non ha solo messo in crisi le Chiese e le parrocchie, ha messo in crisi la nostra credenza nel Dio-papà. E questo non è affatto facile per molti credenti. Spaventa riconoscersi non più bambini, non più dipendenti da un Dio concepito e creduto come nostro Padre in cielo e che ci protegge. Ma se si supera la paura di vivere senza papà o mamma per affrontare la realtà, allora si entra in quell’atteggiamento che possiamo definire di maturità umana e si scopre Dio in modo radicalmente diverso.

1. La svolta post-teista

Questa condizione di maturità coincide con l’atteggiamento esistenziale e intellettuale del cosiddetto post-teismo. Cosa è il post-teismo? Una prima risposta può essere il semplice rendersi conto che Dio – così come viene ancora pensato e vissuto dalle religioni istituzionali – non è ormai più credibile. Le religioni sono una reliquia dello sviluppo della coscienza umana che necessita un superamento. L’idea di un Dio sovra-mondano, a cui la vita dell’universo e dell’uomo è affidata, è nata dal bisogno di avere un Dio che spiegasse ogni cosa che sta e succede nel mondo, in particolare desse senso a una vita dopo la morte. Ora il bisogno di avere un Dio così forgiato non c’è più. La coscienza religiosa delle nuove generazioni risulta essere più secolarizzata, agnostica e indifferente: sembra che non si avverta più la necessità del trascendente. Non siamo solo oltre-Dio o dopo-Dio ma anche oltre la domanda sull’esistenza di un Dio così (teista). Siamo nell’era del post-teismo. L’atteggiamento post-teista è allo stesso tempo post-ateista. A differenza dell’ateismo, il post-teismo non rifiuta qualsiasi trascendenza ma solo l’immagine teista di un Dio separato dal mondo e che, di volta in volta a sua discrezione e arbitrio, interviene ora qui e ora là. (…).

Abbiamo bisogno di un linguaggio della fede che sia in grado di dialogare con la modernità (e post-modernità), capace di ridire la fede con nuove categorie, immagini e paradigmi. È necessario, quindi, entrare in dialogo con il linguaggio e le immagini della Bibbia e della tradizione, ma in modo nuovo e attuale. Non si tratta di fare un’opera di maquillage del Catechismo o del Credo, ma ri-pensare la fede tenendo presente il contesto in cui le nuove generazioni diventano sempre più indifferenti alla proposta di fede e un numero considerevole di cattolici adulti abbandonano, ormai delusi, una Chiesa divenuta immobile e formalista. C’è bisogno di nuovi paradigmi per ridire la fede.

Nel Proemio alla Veritatis gaudium (n. 3), papa Francesco ha invitato i responsabili della formazione accademica e dell’indagine scientifica, specialmente nelle Facoltà teologiche, a pensare e attuare tale radicale cambio di paradigma, anzi a compiere «una coraggiosa rivoluzione culturale». In un processo sinodale, tale cambiamento non può essere elaborato solamente da esperti accademici, ma promosso e vissuto a partire da tutto il popolo di Dio.

2. Cambiamento di paradigma

Il tempo che stiamo vivendo «non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca» (Discorso di papa Francesco alla Curia romana, 21 dicembre 2019). È un’epoca in cui «il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza», si sta trasformando velocemente. Stiamo vivendo un cambio di paradigma a vari livelli: nella cultura e nella chiesa, nell’agire e nel pensare. (…). Conviene qui ricordare quanto il card. Carlo Maria Martini diceva a proposito delle distinzioni tra credenti e non credenti. «La vera differenza non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti. L’importante è imparare a inquietarsi. Se credenti, a inquietarvi della vostra fede. Se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza. Solo allora saranno veramente fondate».

Se la teologia deve rendere conto della fede nell’ambito della società, nel mondo delle religioni, delle Chiese e di altre concezioni del mondo, e nell’universo delle scienze, il logos della teologia, il discorso teologico, non può più essere autoreferenziale ma essenzialmente strutturato e orientato verso il pros tinà, cioè l’altro. Non si tratta più di conquistare egemonia culturale o spazi nella società, ma la teologia è chiamata a far emergere un logos che non è solo razionale ma essenzialmente relazionale: un logos che è légein in quanto connette e mette in connessione, un logos strutturato da una relazionalità creatrice e generatrice di vita che è sottesa non solo alla ragione dei credenti ma anche dei non credenti. È un logos che è consapevole della sua dimensione mistica comune. (…).

3. Quale logos per la teologia?

Per realizzare questo cambio di paradigma, il logos deve essere trasgressivo. Il termine trasgressivo viene da transgredior e significa: andare, camminare oltre. Innanzitutto, essere trasgressivi per superare gli stereotipi culturali e religiosi, le rigidità concettuali e le resistenze mentali, dentro e fuori della Chiesa, perché solo così – ricorda papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium – si può realizzare «la crescita della coscienza umana universale» e adoperarsi per «un’autentica cultura dell’incontro, una cultura anzi, possiamo ben dire, dell’incontro tra tutte le autentiche e vitali culture, grazie al reciproco scambio dei propri rispettivi doni nello spazio di luce dischiuso dall’amore di Dio per tutte le sue creature».

La dimensione relazionale e trasgressiva del logos incide anche sul metodo che la teologia deve perseguire: quello dell’inter- e trans-disciplinarietà dei vari saperi. (…). Questo metodo (…) permette innanzitutto di procedere in maniera dialogica, camminando con altri ricercatori della Verità, «per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli» (Intervento del Santo Padre Francesco all’Incontro sul tema “La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo”, 20-21 giugno 2019). In tal modo la teologia saprà sintonizzarsi con lo Spirito, non collocandosi già al centro della verità cristiana, pretendendo di starci, ma di riconoscersi libera di andare alle periferie del logos e da lì ripensare il centro della fede. (…).

In questo libro assumeremo questo metodo della intere trans-disciplinarietà, dialogando con la filosofia, le scienze e le altre mistiche religiose, rivisitando e reinterrogando continuamente pensatori della tradizione cattolica come Pseudo-Dionigi l’Areopagita, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Duns Scoto e Nicolò Cusano, così come pensatori emarginati dalla ufficialità cattolica nel passato e nel presente come Scoto Eriugena, Meister Eckhart, Giordano Bruno e Teilhard de Chardin. In questa opera di ripensamento – a tratti trasgressiva e provocatoria – entreremo in contatto con le radici dell’esperienza di fede di Gesù di Nazareth e dell’apostolo Paolo, e rivisiteremo le loro esperienze religiose attraverso il metodo della ricerca storica, della recente esegesi e della mistica.

La critica al paradigma teista sarà effettuata muovendoci dall’interno della stessa tradizione teista, in particolare la tradizione filosofica e teologica del neoplatonismo. Le cose antiche presenti in questa tradizione di pensiero sono un tesoro per la fede cristiana e rappresentano aperture per la visione panenteista e post-teista. Il teologo Matthew Fox riconosce presente il panenteismo nella visione neoplatonica di Tommaso d’Aquino.

Il logos comune e mistico, a cui facevamo riferimento, è perenne fonte di auto-trascendenza. Non è presente solo nella religione ma è trasversale a tutte le discipline e anima dall’interno la ricerca scientifica. È un logos che esprime la natura stessa di Dio: deus semper maior. Quanto più ci avviciniamo a Dio, tanto più cresce l’incapacità del pensiero (di ogni pensiero) a comprenderne la realtà e il cosmo che al divino si riferisce. (…). Attraverso un attento discernimento delle scoperte recenti nella fisica quantistica, nelle neuroscienze e nella biologia molecolare, dialogando con i nuovi studi in cristologia e dottrina trinitaria, ci porremo la questione di quale categoria sia più adatta a compiere tale sintesi organica e strutturata dei saperi. In questo libro verrà proposta la categoria di relazione per interpretare la realtà sia del divino che del cosmo.

4. Oltre l’apologetica

(…). La fede cristiana spinge ad andare oltre la forma apologetica di un logos che afferma se stesso, escludendo le forme diverse di pensiero. Una cosa o è vera o è falsa: tertium non datur. È necessario, invece, che la fede cristiana accolga una forma dialogica di logos, quello dell’ascolto attento non solo all’altro, ma alle altre forme di pensiero. Si tratta di un logos che considera la verità non come un possesso, ma «un processo senza fine». Questo logos è contraddistinto da uno svuotamento che si definisce kénotico, cioè secondo il logos della croce (cfr. 1Cor 1,18) (…).

Un esempio di questo logos differente lo troviamo nel Vangelo di Giovanni, nella risposta che Gesù dà alla samaritana (Gv 4,21-24). L’opposizione tra i due monti – il monte Garizim e il monte Sion (Gerusalemme) – simboleggia il modo duale di pensare, nel quale una parte è vincente («adoriamo ciò che conosciamo») e l’altra è perdente («voi adorate ciò che non conoscete»), mentre il modo non duale di pensare viene ben illustrato dalla risposta di Gesù alla donna.

Per conoscere veramente Dio occorre andare oltre la logica di chi è più grande (simboleggiata dal monte) e assumere la logica di Cristo (cfr. Lc 9,46- 50), che è non duale e sa abbracciare persino gli aspetti opposti “in spirito e verità”, per giungere a definire la dottrina di fede con gli altri, e non senza gli altri. In tal modo si avvia il processo di discernimento della e nella dottrina, perché «chi non è contro di voi, è per voi» (Lc 9,50). Nell’omelia tenuta il 25 gennaio 2015, durante la celebrazione dei Vespri nella solennità della Conversione di san Paolo, papa Francesco ha commentato l’episodio della samaritana, affermando che Gesù «non si schiera a favore del monte o del tempio, ma va oltre, va all’essenziale abbattendo ogni muro di separazione. Egli rimanda alla verità dell’adorazione: “Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4,24). (…)».

5. Dalla dualità alla non dualità

Nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche, il filosofo Thomas Kuhn spiega cosa si deve intendere per cambiamento di paradigma. Con tale termine si fa riferimento ad ogni cambiamento nella visione del mondo (Weltanschauung), per esempio la transizione dal modello prescientifico dell’interpretazione del cosmo, basato sul sistema geocentrico tolemaico, al modello eliocentrico copernicano. Un altro di questi cambiamenti si ebbe nella meccanica classica: dal modello che concepiva la materia come l’elemento fondamentale della realtà, alla fisica quantistica, in cui invece l’osservatore, quindi la consapevolezza, ha un ruolo attivo e costituisce la base della realtà. Questi cambiamenti di paradigmi non si hanno solo nella scienza (ad esempio, la fisica); possono aversi anche in metafisica (nella comprensione dell’essere) e teologia (nell’elaborazione del concetto di Dio).

Nel classico paradigma della filosofia, per esempio, la ragione è considerata una tabula rasa, passiva nei confronti della struttura ontologica della realtà. L’intelletto corrisponde all’essere; l’idea esprime la realtà esterna (res). Per questo, secondo Tommaso d’Aquino, la verità è adaequatio rei et intellectus.

Nella modernità, questo paradigma classico viene sostituito da un altro modello. Non è più la ragione o lo spirito che corrispondono alla realtà oggettiva ed esterna. Come avvenne per la rivoluzione copernicana, anche nella filosofia occidentale si ha un cambiamento di paradigma, in cui viene posto il cogito al centro della realtà e tutto gli ruota attorno. Il soggetto con le sue forme di percezione, le categorie e le sue idee, costituisce il punto di riferimento della realtà. (…). La realtà è ridotta ad una x ovvero a un postulato del pensiero (noumeno) che serve solo a confermare l’oggettività di quanto il soggetto percepisce e conosce come fenomeno. La x che rimane è un puro postulato, una cosa in sé, di per sé inconoscibile, poiché ciò che il soggetto conosce è solo il fenomeno. (…).

«Quello che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale» (W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto). Tutto diventa coscienza e consapevolezza. L’idealismo giunge così agli stessi risultati a cui approda oggi la fisica quantistica.

Anche in teologia è avvenuto qualcosa di analogo. La teologia classica non ha sempre preso in considerazione la dimensione soggettiva nella percezione di Dio. Nella visione mitica del mondo Dio è considerato in maniera antropomorfica: come un essere che agisce in modo straordinario nel mondo, dotato di caratteristiche personali eccellenti. Come è stato per il passaggio dalla visione tolemaica a quella copernicana della terra, così anche in teologia è necessario tener presente il passaggio da una visione antropomorfico-mitica di Dio a una in cui diveniamo coscienti che tutto ciò che ascriviamo a Dio fa riferimento alla nostra percezione di Dio: al nostro punto di vista.

Il pensiero metafisico di Agostino e Tommaso d’Aquino, per fare due esempi, ha corretto la comprensione di un Dio elaborato secondo il mito, passando così da una concezione antropomorfica di Dio a una filosofica. «Espressioni quali “Dio agisce” e “Dio parla” non hanno più il senso che avevano nei tempi antichi» (L. B. Gilkey).

Dio si rivela con e attraverso parole umane; ciò che letteralmente attribuiremmo ad un mutamento della volontà di Dio, dobbiamo invece riconoscerlo come un progresso morale negli scrittori biblici. L’ermeneutica ha contribuito in modo significativo a farci fare questo passaggio: da un uso letterale del linguaggio biblico ad uno metaforico. Di conseguenza, molti teologi ormai mettono in questione non solo che Dio compia degli atti particolari, ma anche criticano il senso della preghiera di richiesta e la fede in una sola ed unica incarnazione di Dio. (…).

I mutamenti avvenuti nei paradigmi scientifici e filosofici, così come nella teologia, testimoniano l’emergere di una logica non duale in cui la realtà non viene più conosciuta, scindendola in oggetto e soggetto, esteriore e interiore, materia e spirito, mondo e Dio, Dio in sé e Dio per noi, ma intuita nella realtà del logos comune e mistico, espressione di quella identità relativa del divino che non è né una né due, ma appunto non-duale: in termini positivi trinitaria. Il monismo relativo presentato in questo libro intende essere una proposta di rilettura della fede cristiana. L’intenzione è di passare dalla fase destrutturante del post-teismo a una costruttiva di sistema, nel senso originario del termine – dal greco sýst?ma, da synistánai, composto di sýn- ‘sin’ e histánai ‘porre’ – cioè di connettere i vari dati della ricerca storico-critica su Gesù, della cristologia, della fisica quantistica, delle neuroscienze, delle varie mistiche e della filosofia relazionale, in un tutto organico e unitario in cui la realtà ultima sia riconosciuta come consapevolezza divina, permeante di sé tutte le cose: «Dio è tutto in tutte le cose» (1Cor 15,28). T? π?ντα ?ν π?σιν.

6. Il percorso del libro

L’intento del libro è di condurre il lettore ad un esercizio di inter- e trans-disciplinarietà, integrando in ogni capitolo l’aspetto teologico, scientifico e mistico. (…). Leggere, pensare e meditare. Questa è la caratteristica peculiare di questo libro. Ti consiglio, pertanto, di fermarti in Silenzio, quando ti sembra di non capire quanto proposto e lasciare risuonare in te le sensazioni che le parole affidate a queste pagine risvegliano nel tuo cuore; le connessioni che gli argomenti trattati fanno emergere nella tua mente, risvegliando così in te quella Sapienza, latente ma mai assente, che mi ha condotto a scrivere questo libro e a te – che leggi – a intraprendere il viaggio della sua lettura.

Il primo capitolo (Credere in Dio senza Dio) è dedicato a come l’immagine di Dio sia stata messa in questione dalla modernità e post-modernità, ma anche dall’esperienza della pandemia. Verranno affrontati i temi fondamentali connessi all’idea di Dio e alle domande su Dio: la conoscenza di Dio, la creazione del mondo, come intendere che Dio parla, il tema del male e del nulla e cos’è la materia. (…).

Il secondo capitolo (Cosa è la Parola di Dio) è dedicato alla dinamica rivelativa di Dio nella fede e a come intendere il linguaggio delle Scritture senza letteralismi e fondamentalismi. La verità della Bibbia è simbolica e metaforica e non può essere ridotta a verità scientifica.

Il terzo capitolo (Gesù di Nazareth, l’uomo vivente) tratta della figura di Gesù così come viene studiata dalla recente ricerca storico-critica e della prospettiva dei vangeli, dischiusa dall’evento della resurrezione. (…).

Il quarto capitolo (La resurrezione senza miracolo) propone una rilettura storico-critica delle apparizioni di Gesù e della tomba vuota. A partire da un’interpretazione evolutiva e cosmica dell’evento della resurrezione si indagherà sul significato paolino del corpo spirituale.

Il quinto capitolo (Non solo Gesù) mette a fuoco la dimensione partecipativa dell’agire di Dio in Gesù risorto. La nuova identità predicata di Gesù con la resurrezione non è esclusiva di lui ma condivisa a ogni essere, iniziando con Maria la madre di Gesù. Il capitolo è dedicato a riesaminare – in chiave post-teista – la categoria di mediazione salvifica attribuita a Gesù Cristo, interpretando la salvezza come evento e relazione salvifica, piuttosto che soggetto salvante (il Salvatore). (…).

Il sesto capitolo (Salvezza senza sacrificio) indaga il modello soteriologico del sacrificio applicato al significato teologico della croce di Gesù. (…).

Il capitolo settimo (Il Cristo cosmico) riprende la distinzione tra Gesù e Cristo, analizzando il termine Cristo in chiave cosmica come espressione simbolica non solo dell’incorporazione dei credenti nel corpo di Cristo ma dell’unità di materia e spirito (Karl Rahner). (…).

Il capitolo ottavo (Dio oltre Dio) verte intorno a due punti di vista con cui può essere compresa la creatura: sub specie hominis e sub specie dei. La figliolanza divina di Gesù e quella nostra esprimono un modo di conoscere la medesima realtà della natura divina dalla prospettiva dell’Infinito e del finito. (…). «L’occhio nel quale io vedo Dio è lo stesso occhio in cui Dio mi vede; l’occhio mio e l’occhio di Dio non sono che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un solo amore» (Meister Eckhart). Gli ultimi tre paragrafi del capitolo si soffermano su tre questioni fondamentali nel post-teismo: la dottrina trinitaria come metafora non duale della relazione Diomondo, come intendere che Dio è persona/persone, e infine l’identità di vedere Dio ed essere Dio nell’esperienza mistica delle varie tradizioni religiose. È necessario trascendere le forme antropomorfizzate con cui Dio viene pensato e immaginato, attingendo direttamente Dio nella sua divinità, senza alcuna limitazione e senza le caratteristiche che lo definiscono come persona, diventando Dio nel profondo di noi stessi, laddove si dà la forma più alta di unità tra Dio e umanità: cioè nello spirito.

Il nono capitolo (Perché pregare) affronta la questione della preghiera, rivisitando i vangeli per capire la concezione che Gesù ne aveva, e la tradizione della chiesa in alcuni dei suoi dottori più significativi: Agostino e Tommaso d’Aquino. In questo ultimo capitolo si evidenzia come la maturazione della fede, trattata nel primo capitolo, si coniuga al cammino di trasformazione: dalla preghiera-colloquio alla contemplazione non duale. (…). Come Gesù ha lasciato essere Dio nella sua persona, così ogni uomo è chiamato a portare alla luce il divino. (…). In questo processo di divinizzazione, l’uomo realizzerà tanto più la sua unione spirituale con Dio, quanto più per amor suo annienterà il suo ego nel Sé di Dio. (…).

La ricerca del Mistero di Dio non più in termini teistici come Qualcuno lassù in alto da adorare e che interviene a suo piacimento, ma di una realtà che ci avvolge e ci sostiene sempre – come disse l’apostolo Paolo citando un poeta pagano «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo» (At 17,28) – è presente in maniera atematica nella stessa scienza come la fisica quantistica, e tramandata nei testi delle mistiche religiose e profane. La nuova stagione che si va inaugurando, da questo punto di vista, è il superamento della visione classica della religiosità verso una riflessione post-teista sempre più legata a una dimensione areligiosa, profondamente laica che può essere affrontata e contemplata da chiunque senza più forme varie di appartenenze più o meno consapevolmente schierate. Così si esprime Karl Rahner in proposito: «L’esperienza originaria di Dio, anche quella della sua autocomunicazione, può essere così generale, così atematica e così “areligiosa”, da verificarsi – in maniera anonima ma reale – ovunque noi svolgiamo la nostra esistenza».

La ricerca di un nuovo linguaggio e di nuove categorie per esprimere la realtà ineffabile del Mistero non sarà più monopolio di una religione o di una sola chiesa ma riguarderà trasversalmente tutti. Quod omnes tangit ab omnibus approbari debet. Quello che riguarda tutti, deve essere approvato da tutti. Così recita l’assioma del Codice di Giustiniano.

Cosa c’è di più grande e che tutti riguarda se non il mistero di quell’abisso che sostiene ogni essere, ogni uomo e donna? È chiaro che abbiamo sempre bisogno di simboli e di segni che rimandino alla scoperta del Mistero, ma nel superamento di gerarchie e logiche autoreferenziali, di attaccamenti ossessivi alla Tradizione e a riti fissi che comunicano ben poco. (…). 

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