
Benedetto XVI, il destino del papa professore
L'articolo che riproduciamo qui di seguito - scritto dal teologo spagnolo di lingua galiziana Andrés Torres Queiruga (professore ordinario di filosofia della religione presso l'Università di Santiago di Compostela, è tra i fondatori di Encrucillada, Revista Galega de Pensamento Cristián, una pubblicazione creata nel 1977 che rivendica l'uso della lingua galiziana nella Chiesa), è stato pubblicato il 7 gennaio 2023 sul sito di informazione religiosa Religión Digital (www.religiondigital.com).
Titolo originale "Benedicto XVI, el destino del Papa profesor". L'articolo originale è consultabile a questo link. Traduzione di Lorenzo Tommaselli
Ci sono frasi che possono segnare o almeno definire un destino. “Penso che, siccome Dio ha fatto papa un professore, abbia voluto che venissero in primo piano proprio quest’aspetto della riflessione, ed in particolare la lotta per l’unità di fede e ragione”. Sono parole pronunciate da Benedetto XVI nel 2010, nel libro intervista “The Light of the World”. Era giunto al pontificato, dopo essere stato per molti anni Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ed essere chiaramente il cervello teologico di Giovanni Paolo II, il papa più “politico”, con il quale per una trentina d’anni aveva promosso, senza concessioni, un’esigente riunificazione dottrinale della Chiesa. La stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica, da lui attentamente curata, è stata l’ideologia che, dichiarata di autorità pontificia, ha cercato di imporre come norma e criterio per la catechesi e anche per la teologia.
Di fatto, il prestigio di professore tedesco, unito ad un ricco percorso di pubblicazioni teologiche, è riuscito ad introdurre nell’ambiente un senso di dignità culturale per l’annuncio della fede cristiana. Rispondeva così a un’esigenza globale di aggiornamento, che il Concilio Vaticano II aveva solennemente riconosciuto e proclamato. Era urgente, dopo la grave crisi dell’Illuminismo, che aveva messo in crisi il ruolo preminente con cui il cristianesimo aveva segnato per un millennio e mezzo la cultura occidentale e da allora, in larga misura, anche quella del mondo.
Egli, non solo per formazione, ma per aver personalmente partecipato al Concilio, sembrava ben preparato ad assumere l’alto compito. E ha deciso di affrontarlo continuando, con altro stile ma con lo stesso atteggiamento di un certo messianismo salvifico, la strada già intrapresa con il precedente papa, Giovanni Paolo II. Ma succede che, a questo punto, tutto sembra confermare ciò che gran parte dei teologi aveva denunciato fin dall’inizio. Il Concilio aveva aperto le porte ad una rivoluzione evangelica e quello che questi due papi intendevano imporre era un rinnovamento di compromesso, con accorgimenti di forma e accomodamenti di stile. Alla fine, stavano solo puntellando lo stesso vecchio edificio. Si è proceduto attraverso un’ermeneutica restauratrice del messaggio conciliare, con il rafforzamento dell’autorità centrale.
Se Giovanni Paolo II ha insistito soprattutto sulla disciplina di un governante forte ed esperto, Benedetto XVI si è concentrato sulla teologia. Seguendo anche lo stile del predecessore, ha pubblicato alcuni ottimi documenti, come “Deus caritas est” (Dio è amore), “Spe salvi” (Salvati dalla speranza) e “Caritas in veritate” (Carità nella verità), che sono stati luminosi e pieni di speranza, in quanto si sono concentrati sull’annuncio centrale della fede, evitando i temi collaterali e discutibili.
Ma, riguardo agli sforzi relativi ad un sostanziale aggiornamento teologico, è stato tradito dalla sua interpretazione del servizio papale, ritenendosi un “papa maestro”: ha pensato che la sua autorità pastorale di annunciatore della fede e di animatore di vita in un senso evangelico, lo investiva anche del potere di controllare il “servizio teologico”. Ha trasformato la sua teologia in un modello di teologia. Di conseguenza, ha continuato, rafforzandolo con la nuova autorità papale, il controllo autoritario che aveva esercitato come prefetto della dottrina della fede. Le censure, i procedimenti e le esclusioni di quello che suonava come un fondamentale rinnovamento si sono moltiplicate, imponendo nell’insegnamento più o meno ufficiale i testi dei rappresentanti della restaurazione teologica. Semplificando: Hans Urs von Balthasar contro Karl Rahner.
Riguardo al secondo, è arrivato a dire: “Lavorando con lui, mi sono reso conto che Rahner ed io, pur concordando su molti punti e su molteplici aspirazioni, vivevamo dal punto di vista teologico su due pianeti diversi”. Proprio lì e anche con qualche semplificazione, appare un sintomo che, mi si consenta l’opinione, è tutta una diagnosi: il teologo Ratzinger è molto lontano dalla creatività e dalla profondità del teologo Rahner. Non ha riconosciuto, come invece Rahner, la necessità di un “cambiamento strutturale nella Chiesa” o di un radicale superamento del paradigma scolastico, aprendo per la teologia e per la Chiesa un futuro che batte con i pugni alle porte dell’umanità. Dell’umanità religiosa, bisognosa che entri di nuovo l’aria fresca del Vangelo. E dell’umanità laica, alla quale non è di troppo ascoltare l’offerta di luce e di speranza che Gesù di Nazareth ha acceso duemila anni fa.
Non a caso chiudo qui queste riflessioni con questa evocazione. Poiché confesso di aver sempre considerato come perdita di una grande opportunità il fatto che la scarsa focalizzazione della diagnosi abbia impedito a Benedetto XVI di sfruttare le sue eccellenti doti di sintesi precisa e di esposizione illuminante che su questo tema centrale gli offriva l’ampia diffusione del suo libro sul Nazareno. Non tenendo conto dei progressi degli studi biblici, della proclamazione conciliare dell’autonomia del mondo e del nuovo dialogo tra le religioni, non è riuscito a presentare al mondo una visione aggiornata e veramente credibile della sua figura. La figura profondamente umana di uno come noi che, annunciando la parola che Dio è amore infinito e perdono incondizionato e che, praticando una condotta fraterna, impegnata e liberatrice di tutti gli umiliati e offesi, rimane lì come un faro aperto, che, oggi come agli inizi, continua a mandare segnali con i quali tante persone nel mondo si sintonizzano intimamente, trovando in essi senso e salvezza.
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