
Scosse senza fine in Sira e Turchia L’appello delle Chiese alle coscienze
ADISTA-ALEPPO. Continua a tremare la terra in Sira e Turchia. Dopo le violente scosse del 6 febbraio, giungono violentissime, (6.4 e 5.8 della scala Richter) quelle del 21. Secondo gli esperti tutte le scosse appartengono al medesimo fenomeno tellurico, nonostante la particolare intensità delle ultime scosse rispetto allo standard previsto per le fasi di assestamento. «Quanto tempo deve ancora durare questo calvario?» sono le parole a caldo di padre Bahjat Karakach, parroco latino di Aleppo, che vede la città ripiombare nel caos. «Gli aleppini sono sotto shock e in preda al panico. Ora dobbiamo ricominciare da zero. Aspettiamo altre possibili scosse di assestamento e poi procederemo ad una nuova valutazione della agibilità delle abitazioni. La situazione non si prospetta per nulla positiva perché le case già lesionate adesso rischiano definitivamente di crollare».
Il bilancio delle vittime cresce e si attesta intorno ai cinquantamila morti, la maggior parte delle quali in Turchia, oltre 43mila, secondo i dati del ministero degli Interni di Ankara. Conti che purtroppo sono destinati a salire visto che in molte zone proseguono le ricerche fra le macerie, alle quali si aggiungono quelle delle ultime scosse.
«Solo un appello, non dimenticateci», aggiunge mons. Boutros Marayati, arcivescovo di Aleppo della comunità cattolica armena, intervistato dall’Agensir. Parole che scuotono le coscienze e che ricordano la velocità con il quale il territorio siriano sia stato velocemente dimenticato dagli interessi della coscienza comune: «In questi ultimi anni ci siamo sentiti isolati dal mondo, la guerra in Siria non interessa più nessuno. Purtroppo, è servito un tragico terremoto per far tornare a parlare di Siria.»
Il rischio è infatti che il torpore quotidiano, al quale il mondo occidentale sembra essersi abituato, sia scosso solo da eventi drammatici e che torni poi presto a dominare le coscienze dell’opinione pubblica, rivelando il reale disinteresse al’ di là di un effimera partecipazione emotiva. «Non dobbiamo far cadere il silenzio sulla tragedia del terremoto» ammonisce mons. Paolo Bizzetti, vicario d’Anatolia, intervistato da Asianews. «Il rischio, come insegna la storia, che passata l’ondata emotiva tramontino anche attenzione e interesse». «La priorità – insiste mons. Bizzetti – è la situazione della popolazione, dei sopravvissuti e su questo l’attenzione deve rimanere alta». Mancano elettricità, acqua, comunicazioni e la scarsissime condizioni igieniche di alcune comunità aumentano il rischio di un’epidemia di colera.
«Il disastro è di tali proporzioni - ammette mons. Bizzeti - che anche con la buona volontà di tutti, dal governo ai soccorritori e volontari, ci vorranno settimane per anche solo per rimettere in piedi il sistema di tubature per l’acqua».
Nel frattempo, si alzano, in Turchia, le voci contrarie alla costruzione dell’impianto nucleare di Mersin, territorio sismico e colpito, anche se senza danni, dalle recenti scosse. Osman Koçak, portavoce della piattaforma antinucleare definisce «prive di fondamento» le rassicurazioni di Rosatom, il colosso russo coinvolto nella costruzione dell’impianto termo-nucleare, sulla solidità antisismica delle centrali. I piani di costruzioni però non sembrano destinati ad essere fermati o modificati, causa il forte interesse politico oltreché economico, data l’interesse russo alla realizzazione dell’impianto turco e al mantenimento di una più stretta collaborazione fra Mosca e Ankara.
Su tutto il territorio pesano fortemente i giochi dello scacchiere economico – politico che nemmeno le potenti scosse sismiche sono state in grado di ribaltare, a farne le spese, come sempre, sono prima le pedine.
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