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Movimenti popolari, ecologia, indigeni: in ascolto del grido dei poveri e della Terra

Movimenti popolari, ecologia, indigeni: in ascolto del grido dei poveri e della Terra

Tratto da: Adista Documenti n° 8 del 04/03/2023

Qui l'introduzione a questo testo. 

Se non gli sono mancati oppositori all'interno della Chiesa, di sicuro papa Francesco ha avuto dalla sua parte, in questi dieci anni, un gran numero di movimenti popolari, ai quali è apparso ben presto un alleato prezioso nella lotta contro il capitale. E nulla ha fotografato meglio tale alleanza dell’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, un percorso di dialogo permanente costruito dal papa insieme ad alcuni importanti leader sociali attorno ai tre grandi temi della Terra, della Casa e del Lavoro, al fine di offrire uno spazio di incontro, indipendentemente da ogni appartenenza confessionale, a quell’ampio ventaglio di movimenti attraverso cui tutti coloro che sono stati da sempre relegati ai margini, anziché rassegnarsi all’ingiustizia, scelgono di resistere e di lottare.

L’alleanza di Francesco con i movimenti popolari

Un processo avviato nell’ottobre del 2014, quando più di 100 delegati – appartenenti a quella ricca galassia di forme di auto-organizzazione riconducibili in vario modo alla categoria dell’economia informale – erano stati invitati a Roma con il compito di riflettere sulle cause strutturali dell’esclusione e sui modi per combatterle, e proseguito nel 2015 a Santa Cruz de la Sierra, durante il viaggio del papa in Bolivia (dove si era dato più spazio al tema della sovranità alimentare e del diritto dei popoli al territorio), per poi far nuovamente ritorno a Roma nel novembre del 2016, ampliando il dibattito al tema della crisi dello Stato e della democrazia rappresentativa e a quello, sempre più decisivo, della difesa dei beni comuni. L’ultimo capitolo si è svolto durante la pandemia, interamente online, in due parti, a luglio e a settembre del 2021: l’occasione per condividere il lavoro e le lotte dei movimenti popolari durante l’emergenza Covid.

Non è un caso che tra i discorsi più densi e coinvolgenti di papa Francesco un posto speciale lo occupino proprio quelli pronunciati durante tali incontri, a cominciare dall’intervento “storico” del 2014, quando, nella cornice dell’Aula Vecchia del Sinodo, il papa si era rivolto alle organizzazioni degli esclusi definendo la loro lotta una «benedizione per l'umanità» e denunciando quelle strategie di contenimento mirate a fare dei poveri «esseri addomesticati e inoffensivi». Era stato allora che, riconoscendo ai poveri il merito di non limitarsi a subire l'ingiustizia, ma di lottare contro di essa rivendicando il proprio protagonismo oltre i processi della democrazia formale, il papa li aveva esortati a continuare a organizzarsi e a coordinarsi tra loro, in maniera che, aveva detto con parole divenute un po’ lo slogan dell'Incontro, «non vi sia più nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza diritti».

Applauditissimo era stato anche il suo intervento nell’evento conclusivo del III Incontro dei Movimenti Popolari, quando si era rivolto ai partecipanti evidenziando il loro ruolo di «seminatori di cambiamento» – «promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia», e quindi a buon diritto definibili «poeti sociali» – e ricordando i «compiti imprescindibili» sulla via della costruzione di «un'alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell'indifferenza»: «mettere l'economia al servizio dei popoli, costruire la pace e la giustizia, difendere la Madre Terra». Un progetto di vita riassunto nella «felicità del "vivere bene"», quella «vita buona» alternativa all'«ideale egoista che ingannevolmente inverte le parole e propone la "bella vita"».

Esaltando la creatività e la speranza racchiuse nella voce dei movimenti, il papa si era detto convinto che i loro sforzi stiano «mettendo radici», nonostante «la velocità di un meccanismo distruttivo», quello del «Denaro divinizzato» che opera in senso contrario. «C'è – aveva evidenziato il papa – un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla Terra e minaccia l'intera umanità» ed è di questo che si alimentano i «terrorismi derivati», compresi quelli definiti erroneamente etnici o religiosi»: non sono infatti i popoli a essere terroristi, né le religioni, ma questo sistema fondato sul Denaro, una tirannia costituzionalmente terroristica, in quanto «nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure». Paure a causa delle quali i cittadini «che conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali»: «cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall'altro».

Quanto al rapporto tra popolo e democrazia, il papa, dopo aver evidenziato come il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarghi sempre più «come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle», aveva preferito mettere l'accento sui due rischi che corrono i movimenti nel loro rapporto con la politica: il «rischio di lasciarsi corrompere», a cui rispondere vivendo «la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà», e «il rischio di lasciarsi incasellare». «Finché – aveva spiegato il papa – vi mantenete nella casella delle “politiche sociali”, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera». È quando i movimenti voltano le spalle all’«idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli»; è quando rifuggono alla tentazione di ridursi «ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente» e pretendono di entrare «sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste», è allora che diventano intollerabili e cominciano a essere perseguitati. Eppure, aveva concluso papa Francesco, il futuro dell’umanità «non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento».

La novità di un’ecologia integrale

Ad accrescere ulteriormente l’entusiasmo nei confronti di papa Francesco da parte dei movimenti popolari e dei teologi della liberazione era giunta, il 24 maggio del 2015, anche la pubblicazione dell’enciclica Laudato si’, la prima interamente dedicata alla questione ambientale e forse anche la più letta, commentata e amata nella storia della Chiesa. Definita da Leonardo Boff come la magna Carta dell'ecologia integrale, l’enciclica era subito diventata un preziosissimo punto di riferimento per tutti coloro che hanno a cuore la difesa dell'ambiente: un successo inedito per un documento papale, il quale ha saputo suscitare l'interesse di credenti e non credenti, laici, religiosi, vescovi, esponenti di altre religioni, rappresentanti di movimenti popolari, ambientalisti, economisti, docenti universitari, sociologi.

Con il suo incipit ripreso dal Cantico delle Creature di San Francesco, l'enciclica ha infatti rivolto un pressante invito «a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta», denunciando il fatto che «molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri». Così, accogliendo le conclusioni della quasi totalità della comunità scientifica riguardo al fatto che «la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra emessi soprattutto a causa dell’attività umana», il papa ne ha chiesto una riduzione tanto drastica quanto urgente, ponendo l’accento sul “debito ecologico” contratto dal Nord del mondo e denunciando l'operato delle multinazionali, che fanno nei Paesi poveri quello che non è loro permesso nel cosiddetto primo mondo e che, «quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali».

In questo quadro, l'enciclica ha preso chiaramente posizione rispetto ai conflitti ambientali scatenati praticamente in tutto il pianeta da progetti ecologicamente insostenibili: «In ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter discernere se porterà a un vero sviluppo integrale: per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà?».

Se le denunce dell’ecologia sono dure e puntuali, il cuore dell’enciclica è rappresentato tuttavia dalla proposta di un’«ecologia integrale», basata sul riconoscimento che la natura non è «qualcosa di separato da noi» o «una mera cornice della nostra vita»: «Siamo parte di essa e ne siamo compenetrati». Di modo che «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale»: «Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». Un concetto, quello dell'ecologia integrale, che ruota su alcuni assi portanti che attraversano l’intera enciclica: oltre all'«intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta», «la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso»; «la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia»; «l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso»; «il valore proprio di ogni creatura»; «la grave responsabilità della politica internazionale e locale»; «la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita».

Soffermandosi sulla «radice umana della crisi ecologica», il papa – che già nel novembre del 2013, durante l’incontro con il senatore e regista argentino Pino Solanas, si era fatto fotografare con due magliette con le scritte “No al fracking” e “L’acqua vale più dell’oro” – ha messo anche esplicitamente in discussione l'idea di «una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia», smascherando «la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite». Come pure ha denunciato l'onnipotenza del paradigma tecnocratico, con il «relativismo pratico» che l'accompagna, «in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati».

Significativo anche il fatto che l'enciclica abbia utilizzato il concetto di decrescita, respingendo pure la mistificazione della “crescita sostenibile”: di fronte al comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri «non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana», è arrivata l’ora, ha scritto il papa, «di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti». Né «basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso», evidenziando come «il discorso della crescita sostenibile» diventi «spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia».

Dal punto di vista strettamente teologico, tuttavia, non sono mancati alcuni appunti più critici, soprattutto da parte di alcune ecoteologhe, secondo cui l'enciclica sarebbe ancora troppo ancorata, rispetto al rapporto tra essere umano e natura, alla visione tradizionale della Chiesa ripresa dalla Genesi, e, legata com'è a una visione marcatamente teista della divinità, quella di un Dio Padre e Creatore, ancora troppo distante dagli apporti del pensiero teologico contemporaneo più avanzato, con il suo accento sulla categoria della trasparenza divina, definita anche panenteismo: Dio in tutto e tutto in Dio.

E questa è la ragione per cui il teologo José María Vigil, cinque anni dopo la pubblicazione dell’enciclica, ha definito l'enciclica di papa Francesco più un punto di partenza che un punto di arrivo, celebrando con «immensa gratitudine» il «miracolo» prodotto dalla Laudato si', che ha introdotto con forza l'ecologia nella vita di una Chiesa abituata a vivere la sua «prassi cristiana e spirituale dando le spalle alla dimensione ecologica», ma ritenendo che il cammino per la costruzione di un'autentica ecologia integrale debba andare oltre l'enciclica del papa, liberandosi dagli «importanti» condizionamenti teologici ancora presenti in quella che appare comunque «una pietra miliare nella storia della Chiesa cattolica».

In difesa dell’Amazzonia e dei popoli indigeni

Grandi aspettative aveva sollevato, tra i rappresentanti dei popoli della terra, delle acque e della foresta, anche il Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre 2019, chiamato ad affrontare la situazione della più grande foresta tropicale del mondo e dei popoli che la abitano. Molteplici erano state le voci dei rappresentanti indigeni a sostegno dell'azione del papa, descritto dalla rappresentante del popolo kichwa di Sarayaku Patricia Gualinga come «la persona più lucida» dell'assemblea e come un segno di speranza. Un appoggio, quello dei popoli indigeni, che si era riflesso in maniera significativa nella Dichiarazione della Coica (Coordinamento delle organizzazioni indigene della regione amazzonica) sul Sinodo, la quale, nel momento stesso in cui non aveva risparmiato critiche ai governi di destra e di sinistra, aveva espresso un grande riconoscimento a papa Francesco, definito come un «potente» e «coraggioso» alleato, deciso a «camminare insieme a noi» e ad «aiutarci a trasformare un modello di sviluppo che mette a repentaglio l'intero pianeta».

Ma se il Sinodo aveva suscitato speranza, l'Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia ha invece ricevuto critiche anche da parte di convinti sostenitori di papa Francesco come Leonardo Boff. Una delusione, quella dell’ecoteologo, limitata solo all'ultima parte dell'esortazione, essendo per lui le prime tre, quelle relative al sogno sociale, a quello culturale e a quello ecologico, degne della massima ammirazione e totalmente in linea con lo spirito profetico della Laudato si', a cui rimandano con forza frasi del tipo «Siamo acqua, aria, terra e vita dell’ambiente creato da Dio. Pertanto, chiediamo che cessino i maltrattamenti e lo sterminio della Madre terra. La terra ha sangue e si sta dissanguando, le multinazionali hanno tagliato le vene alla nostra Madre terra».

L'ultima parte, tuttavia, quella dedicata al sogno ecclesiale, è stata descritta da Boff come uno schiaffo agli indigeni, a cui di fatto è stato vietato l'accesso al sacerdozio (perché «i popoli originari non possono nemmeno immaginare un indigeno celibe»), ai teologi/ghe, vescovi, missionari/ie loro alleati e alle donne che si vedono ancora negare il diaconato, una volta di più relegate in una categoria inferiore.

Non con tutti i popoli indigeni, del resto, il rapporto di papa Francesco in questi dieci anni è stato idilliaco. Basti pensare al suo viaggio in Cile, nel gennaio del 2018, quando i mapuche avevano occupato, alla vigilia della messa di Francesco, un terreno ancestrale di 70 ettari nel Comune di Cañete, oggi di proprietà dell’arcidiocesi di Concepción, invitando «la Chiesa cattolica e la sua massima autorità a restituire senza condizioni le terre usurpate al popolo mapuche». E sottolineando come la Chiesa sia stata protagonista o complice della politica di genocidio portata avanti dall’Impero spagnolo prima e dallo Stato cileno poi, avevano esortato il papa a «dare l’esempio su come risolvere politicamente il conflitto territoriale esistente nel Wallmapu, restituendo il territorio usurpato».

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