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“Siamo tutti migranti”: dalla casa comune alla fratellanza universale

“Siamo tutti migranti”: dalla casa comune alla fratellanza universale

Tratto da: Adista Documenti n° 8 del 04/03/2023

Qui l'introduzione a questo testo. 

Che quello dei migranti sarebbe stato un tema centrale del pontificato di Francesco si è compreso immediatamente: la meta prescelta per il suo primo viaggio apostolico è stata infatti Lampedusa, porta d’ingresso verso l’Europa che molti vorrebbero chiusa e impenetrabile ai migranti provenienti da sud, isola nel cuore del Mediterraneo trasformato in tomba per chi tenta di violare i “sacri confini” della fortezza Europa. Da lì in poi, la questione dei diritti dei migranti è tornata ripetutamente nei documenti, nei discorsi e nei gesti di Bergoglio, prova evidente di un pontificato che, senza toccare gli assetti strutturali dell’istituzione ecclesiastica né mettere in discussione la dottrina cattolica, ha tuttavia spostato l’asse della missione della Chiesa sul versante sociale.

Lampedusa e Lesbo: le porte d’Europa

È la mattina dell’8 luglio 2013 quando Francesco atterra a Lampedusa. In barca, attraverso il mare – dove lancia una corona di fiori, in ricordo di quanti hanno perso la vita nelle traversate –, raggiunge prima il molo Favarolo, abituale punto di sbarco dei migranti soccorsi nel Mediterraneo ma anche dei cadaveri di coloro che non ce l’hanno fatta, e poi il campo sportivo, per celebrare la messa su un altare realizzato con il legno dei relitti delle imbarcazioni.

«Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace, cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte», dice Francesco nell’omelia, coniando un’espressione che ripeterà più volte nel corso del pontificato: globalizzazione dell’indifferenza. «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!».

Viaggio potente – «il potere dei segni» avrebbe detto don Tonino Bello – e divisivo, che fa uscire allo scoperto gli oppositori da destra di Bergoglio. Quelli politici, come Matteo Salvini, allora solo vicesegretario della Lega: «Papa Francesco ha detto no alla globalizzazione dell’indifferenza, io dico no alla globalizzazione della clandestinità». E quelli ecclesiali: «Dal IX secolo i papi – si legge in una nota della Fraternità sacerdotale San Pio X – hanno armato flotte per frenare l’ingresso (armato, certo) dei musulmani in Italia, desiderando preservare il cattolicesimo lì dove non era ancora stato annientato dall’invasione maomettana. Papa Bergoglio invece con il suo viaggio a Lampedusa ha voluto semplificare la questione: ci sono dei miserabili che vogliono venire da dei ricchi egoisti che li lasciano morire in mare, e questi ricchi colpevoli siamo noi tutti». Ma in questo modo sottovaluta «il piano massonico di creazione di una società multiculturale» e si macchia di una colpa «grave», perché il papa «ha la responsabilità della difesa della fede».

Tre anni dopo, 17 aprile 2016, nuovo viaggio in un’altra isola del Mediterraneo, Lesbo, in continuità con Lampedusa, come lo stesso pontefice aveva ricordato pochi giorni prima (25 marzo), durante la Via Crucis del venerdì santo al Colosseo: «O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nel nostro Mediterraneo e nel mar Egeo divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata».

«Sono venuto qui semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie, per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione», dice rivolgendosi ai duemila profughi del campo di Moria. «I migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare», aggiunge poi al porto di Mytilene, prima di rientrare a Roma insieme a tre famiglie di dodici profughi, grazie a un corridoio umanitario speciale Lesbo-Vaticano attivato in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio.

I nuovi muri della “fortezza Europa”

I richiami alla “fortezza Europa” e la “risignificazione” delle «radici cristiane» non in chiave identitaria ed esclusivista ma umanistica e solidale sono un altro punto fermo del discorso di Francesco sui migranti. «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?», chiede ai leader europei che il 6 maggio 2016 accorrono in Vaticano per presenziare al conferimento al pontefice del premio internazionale “Carlo Magno”, il riconoscimento che ogni anno la città di Aquisgrana assegna a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori europei. «Sogno un’Europa in cui essere migrante non è un delitto», invece quella che si vede oggi è un’Europa che costruisce attorno a sé «recinti» e «trincee», aggiunge. «Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia».

E ancora il 24 marzo 2017, ricevendo in Vaticano i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma: la memoria «non può essere solo un viaggio nei ricordi», ma deve servire per affrontare «le sfide dell’oggi e del domani», ammonisce Francesco, secondo il quale «i nostri giorni» sembrano contraddistinti da un «vuoto di memoria» che ha cancellato la «fatica» profusa per «far cadere» il muro che divideva l’Europa. Invece «ora si discute di come lasciare fuori i “pericoli” del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari». Quella dell’’Europa è una storia fatta di «incontri con altri popoli e culture e la sua identità è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale», «non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza».

Dalla «casa comune» alla «fratellanza universale»

Il tema dei migranti entra a pieno titolo anche all’interno del magistero di papa Francesco. Nella sua prima enciclica, la Laudato si’ (2015) – non considerando la Lumen fidei (2013), firmata da Bergoglio ma scritta quasi interamente da Ratzinger – viene sollevata una questione non ancora pienamente riconosciuta dalla comunità internazionale, ovvero quella dei «migranti climatici». «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità», scrive Bergoglio. «Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela», quindi «si vedono obbligati a migrare, con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli», proprio perché «non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa».

Il tema diventa centrale nella Fratelli tutti (2020), nella quale Francesco indica come principale ostacolo alla fratellanza globale «le ombre di un mondo chiuso», che ha moltiplicato conflitti e innalzato muri in nome di «nazionalismi esasperati, risentiti e aggressivi», sulla base della «cultura dello scarto»: «certe parti dell’umanità – prosegue – sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti».

Invece, i diritti non hanno «frontiere», «nessuno può rimanere escluso», si legge nell’enciclica. Le frontiere non possono impedire la fraternità, perché confini nazionali e proprietà privata non sono dogmi: la «destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse», per cui «ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo», «il mondo è di tutti» e «non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese». Per realizzarla ci vuole il «buon samaritano», ma anche la politica, che deve occuparsi solo del «bene comune», ad esempio sulla questione immigrazione: incrementare e semplificare la concessione di visti, aprire corridoi umanitari, assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali, offrire possibilità di lavoro e formazione, favorire i ricongiungimenti familiari.

«Accogliere, proteggere, promuovere e integrare»

Ci sono poi decine di interventi di papa Francesco dedicati ai migranti, che trovano una sintesi nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 14 gennaio 2018, titolato con quattro verbi programmatici: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

«Accogliere – si legge – significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei Paesi di destinazione», tramite l’incremento e la semplificazione della «concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare», «programmi di sponsorship privata e comunitaria» e «corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili», mentre sono da bocciare «le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso Paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali», come ad esempio la Libia, i cui centri di accoglienza sono dei veri e propri «lager», come li ha chiamati il papa in diverse occasioni.

Poi «proteggere» i «diritti e la dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status». Una protezione che, scrive il papa, «comincia in patria», fornendo «informazioni certe e certificate prima della partenza» e prevenendo le «pratiche di reclutamento illegale»; e prosegue «in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali, la garanzia di una minima sussistenza vitale», «la libertà di movimento nel Paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione».

Infine «promuovere» e «integrare». «L’integrazione – aggiunge il pontefice – non è un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale», ma un processo di «conoscenza reciproca» e di costruzione di società e culture «multiformi». Un processo che, conclude Francesco, «può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel Paese». Ad esempio con lo ius soli: la cittadinanza «va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita».

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