Analisi giuridica degli abusi nella Chiesa cattolica
Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 09/12/2023
Qui l'introduzione a questo testo.
Come è nata la ricerca
Da quando sono emersi i problemi di abuso nella Chiesa cattolica si sono diffuse notizie in una sorta di tam tam mediatico come se si fosse scoperchiato un vaso di pandora.
Oltre alle pubblicazioni di libri inchiesta degli ultimi anni e agli articoli di giornale si sono diffuse esperienze da parte delle persone fuoriuscite da movimenti ecclesiali e congregazioni religiose, attraverso il web, profili social, blog, e attraverso le segnalazioni di organizzazioni e associazioni di vittime o di fedeli, che vorrebbero riportare l’operato della chiesa ai valori evangelici. Esistono due facce di queste esperienze ecclesiali, una dimensione pubblica proposta all’esterno dai canali comunicativi (siti web, riviste, pubblicazioni, eventi pubblici, ecc.), caratterizzata da una spiritualità innovativa, libera, caritatevole, e una dimensione privata, tenuta occultata agli esterni, che cela una rigida struttura gerarchica caratterizzata da divieti, abusi e derive settarie.
Individuazione degli illeciti
Gli elementi comuni di tutte le realtà ecclesiali hanno messo in evidenza le criticità e le irregolarità, che in alcuni casi si configurano come veri e propri illeciti. L’analisi giuridica del fenomeno, che abbiamo condotto attraverso le associazioni che hanno promosso questo webinar e con un gruppo di ricercatori indipendenti, ha portato a comparare i fatti rinvenuti nelle testimonianze delle vittime a illeciti civili, penali, costituzionali, facendo riferimento anche alle sentenze della giurisprudenza che hanno giudicato casi di abuso analoghi.
Quello che vogliamo segnalare non nasce da una posizione ideologica, non si intende screditare tutto l’operato della Chiesa cattolica. Le strutture religiose non coincidono con la Chiesa tutta, ma appartengono alla Chiesa che pertanto è responsabile dell’agito di tutte le sue componenti. Si rende necessario tuttavia un intervento che non si limiti a fronteggiare le criticità con un approccio pastorale ed ecclesiale, ma che coinvolga anche il piano giuridico, psicologico e sociologico in seno alle istituzioni civili attraverso un processo di monitoraggio volto a vigilare e intervenire anche con provvedimenti legislativi. La nostra riflessione è basata sulla certezza che non vengono rispettati i diritti umani, che sono valori fondamentali in uno stato di diritto, meritevoli di tutela per la generalità dei consociati. L’analisi multidimensionale del problema, affrontato dalla prospettiva di tutte le componenti sociali, può diventare preziosa per garantire la massima tutela dei soggetti coinvolti. La soluzione del problema non è affare esclusivo della Chiesa, ma riguarda tutta la società civile e in particolare lo Stato.
Campione di indagine
Il campione di indagine preso in considerazione si riferisce a persone di tutto il mondo, di diversi movimenti carismatici e ordini religiosi, di diversa età ed estrazione sociale e professionale. Gli elementi comuni tra le diverse esperienze, l’identica struttura organizzativa e spirituale delle associazioni e l’assenza di contatti tra le persone intervistate, che non si conoscevano precedentemente al periodo dell’indagine, hanno permesso di riconoscere come attendibili tutte le testimonianze raccolte, che sono identiche e sovrapponibili e propongono un’analisi della vita religiosa lucida e veritiera e corrispondente alle indicazioni presenti nei regolamenti, negli statuti dei fondatori o nelle indicazioni impartite per la vita comunitaria dai superiori.
Questi elementi di similitudine conducono pertanto a concludere che non si tratta di condotte di singole persone, ma l’abuso, dove presente, procede da un’impostazione clericale e patriarcale della Chiesa.
Fenomeno più ampio rispetto ai dati raccolti
Le vittime raccontano che ci sono centinaia di altre persone, a loro note, che hanno fatto la stessa esperienza, ma che hanno timore di esporsi, non hanno il coraggio di parlare o desiderano lasciarsi alle spalle la sofferenza vissuta o peggio si sentono colpevoli dell'abuso subìto perché sono state considerate disobbedienti alla volontà di Dio o ai superiori.
I voti di castità, obbedienza e povertà possono diventare terreno fertile per abusi sessuali, psicologici, patrimoniali. La castità può generare situazioni di abuso sessuale. Le vittime raccontano che spesso nella scelta di consacrazione non c’è una crescita equilibrata dell’affettività, che viene repressa. L’obbedienza può generare situazioni di abuso psicologico, perché vissuta come totale sottomissione alla volontà dei superiori in virtù di quella che viene definita grazia di stato.
Le vittime raccontano per esempio che per ogni attività è necessario chiedere il permesso alla direttrice/direttore o persona di grado superiore (per prendere l’auto, per vedere la televisione, per leggere un libro anche fosse per motivi di lavoro o di studio, per fare acquisti anche di vestiario o di qualunque bene di prima necessità). Mortificazioni e punizioni corporali sono presenti in diverse esperienze narrate e sono applicate per indurre una maggiore sottomissione alla volontà di Dio e ai superiori. La povertà può generare situazioni di abuso patrimoniale, perché se i consacrati devono spogliarsi di tutto e non hanno un reddito proprio, non possono vivere una vita dignitosa e non viene così garantito il diritto di autodeterminazione. Le segnalazioni delle vittime mettono in evidenza per esempio casi di chi ha lavorato a tempo pieno per le strutture di queste opere ecclesiali senza reddito o contributi per la previdenza sociale o l’assicurazione per gli infortuni sul lavoro. Chi esce da queste esperienze però si trova poi in stato di indigenza senza nessun tipo di aiuto. Allora qui ci chiediamo: “Dov’è la carità?” E dal punto di visto giuridico ci chiediamo: “Si attua in questo modo il principio di solidarietà?”.
Gli abusi sono praticamente stabiliti dai movimenti e dalle congregazioni nelle regole e negli statuti, non sono solo frutto di comportamenti di singole persone, ma frutto di un’impostazione della Chiesa.
ANALISI GIURIDICA
Entriamo allora nel vivo dell’analisi giuridica. Noi pensiamo che in queste condotte della Chiesa cattolica manchi la cultura della responsabilità.
Responsabilità
Dal punto di vista giuridico la responsabilità ha il compito di individuare il soggetto, dotato di capacità d’agire o di discernimento, tenuto a sopportare il costo della lesione di un interesse altrui tutelato dall’ordinamento giuridico.
Si parla di responsabilità civile quando un soggetto è chiamato a rispondere di un danno ingiusto con l’azione del risarcimento, e di responsabilità penale in riferimento all’obbligo di sottoporre l’agente a una pena per la violazione di un’azione od omissione definita dalla legge come reato. Il principio alla base della responsabilità è quello del neminem laedere, in base al quale ciascun soggetto membro di una comunità è tenuto ad astenersi dal ledere la sfera giuridica altrui. Per coltivare nell’ambito della propria coscienza questa inclinazione non è sufficiente agire nel momento del compimento di un’azione ingiusta, ma occorre predisporre un impianto valoriale, singolo e collettivo, al quale ispirare tutte le proprie azioni. Il rispetto delle norme dell’ordinamento giuridico, a cui deve precedere una formazione etica che ne favorisca la comprensione, è espressione di tale responsabilità. Creare le condizioni sociali e organizzative per prevenire ingiustizie e abusi è compito di tutte le istituzioni a carattere pubblico, quindi anche della Chiesa, in una logica di cura preventiva e di giustizia successiva. Il valore della responsabilità risulta assente quindi quando manca la verità, l’umiltà e la relazionalità.
GLI ILLECITI
Noi qui stiamo mettendo in evidenza che molte delle modalità di vita delle comunità religiose non sono orientate al bene comune e ai valori espressi nella Costituzione, nell’ordinamento giuridico e nella Dichiarazione dei diritti umani. Ci sono diversi livelli di abusi: sessuali, patrimoniali e psicologici attuati con la violazione di norme a livello costituzionale, civile e penale. Ce ne sarebbero tanti da raccontare, noi qui ci limitiamo a quelli del caso di specie appena descritto.
Abusi sessuali
Il reato di violenza sessuale è punito dall’articolo 609 bis del Codice Penale come la condotta illecita compiuta da chi con violenza, minaccia o abusando della propria posizione, costringe la vittima a compiere o subire atti sessuali senza il suo consenso, violando la libertà sessuale altrui. Non si riferisce solo al rapporto sessuale, ma a qualsiasi pratica sessuale di una persona che, per condizioni fisiche o piscologiche, non è in grado di esprimere liberamente il proprio consenso all’atto.
Con abuso di autorità si intende l’uso illecito della propria posizione predominante (come ruolo sociale, professionale, ecc.) con l’intenzione di porre la persona offesa in uno stato di soggezione e intimidazione tale da costringerla a compiere o subire atti sessuali. Nel caso delle religiose abusate sessualmente la violenza si attua attraverso minacce spirituali. Per un fedele, per esempio una persona consacrata, indurre un comportamento attraverso la convinzione che sia la volontà di Dio o attraverso minacce spirituali che portano a credere che, se non si obbedisce, non si ottiene la vita eterna o il paradiso, ha lo stesso valore, a livello psicologico, di una minaccia fisica. Quindi non si può dire che le religiose sono consenzienti, perché nella vita religiosa si pronuncia il voto di obbedienza e quindi si vive il timore di Dio nel non corrispondere a quando richiesto dai superiori.
Discriminazioni di genere
Dai racconti delle vittime di abuso nella Chiesa si evince una violazione dell’art. 3 della Costituzione ovvero del principio di uguaglianza. Si sono raccolte testimonianze che dimostrano discriminazioni di genere. La modalità di gestione del potere all’interno della Chiesa e il clericalismo generano l’emarginazione della donna in un atteggiamento di sessismo e di discriminazione di genere. Nella cultura patriarcale del nostro Paese questa prospettiva è sempre stata accettata purtroppo anche dalle donne e addirittura assunta nelle strutture gerarchiche persino nelle comunità femminili.
Le donne non possono amministrare i sacramenti né ricoprire ruoli di potere. Le strutture di vertice sono interamente maschili. Le donne consacrate svolgono ruoli secondari o di servizio e non sono ammesse all’interno delle strutture decisionali. Con i cambiamenti culturali oggi questa situazione è mal sopportata dalle donne, come da moltissimi fedeli, e viene rivendicata l’uguaglianza e la parità di genere attraverso organizzazioni cattoliche che si sono mobilitate per fare pensiero su queste tematiche e per chiedere, attraverso azioni di sensibilizzazione e di denuncia, il riconoscimento della donna nella vita della Chiesa1. I cambiamenti avvenuti recentemente relativi all’accesso delle donne ad alcune cariche nei dicasteri vaticani o nel percorso sinodale, sono sembrati deboli tentativi che non portano all’attuazione della piena integrazione e parità. Non si può accettare questa situazione, sapendo che si realizza in evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione e che mina la struttura sociale e giuridica fondata sul rispetto dei diritti umani. Il ruolo dei preti è ancora prevalente nelle strutture della Chiesa.
Abbiamo anche raccolto testimonianze di discriminazioni di razza, per esempio di religiose provenienti dai Paesi dell’Africa che sono state discriminate nella loro comunità.
La totale sottomissione alle decisioni dei superiori e la commistione del foro interno e del foro esterno portano alla violazione dell’art. 21 della Costituzione ovvero la libertà di parola e di pensiero. Si impedisce il diritto all’autodeterminazione da parte del superiore, del sacerdote o di chi svolge un ruolo di accompagnamento spirituale. Non si possono per esempio discutere le regole, non si possono esprimere idee né proposte proprie, ma solo obbedire alle indicazioni dei superiori, perché sono espressione della volontà di Dio in virtù della cosiddetta “grazia di stato”2. Quindi gli abusi non dipendono dal carattere delle persone che li mettono in atto, ma dalla struttura stessa della Chiesa. La libertà di associazione e di religione sono sacrosante e sono tutelate agli artt. 18 e 19 della Costituzione, ma dovrebbero attuarsi nel rispetto di tutte le altre libertà e diritti costituzionalmente garantiti.
Altri tipi di abusi riscontrati sono quelli patrimoniali e nell’ambito lavorativo. Abbiamo saputo di situazioni di lavoro irregolare di chi per esempio lavora per le strutture (es. centri di spiritualità, scuole, conventi, ecc.) in cambio di vitto e alloggio, senza retribuzione e senza contributi previdenziali né per l’assicurazione per gli infortuni sul lavoro; queste situazioni si configurano come attività lavorative a tempo pieno.
In questo modo però si violano le norme del diritto del lavoro. L’art. 36 della Costituzione sancisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa e che la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Spesso significa che le suore non hanno un contratto di lavoro o una convenzione con i vescovi o le parrocchie per cui prestano servizio. Non vengono quindi pagate per il lavoro svolto negli enti come scuole, ambulatori, case di riposo, o anche nel lavoro pastorale. In genere sono le religiose che si occupano della cucina e delle faccende domestiche.
Inoltre nelle realtà lavorative delle religiose si verificano spesso situazioni di prevaricazione che si configurano come mobbing. Il mobbing non è un reato di per sé, ma un fenomeno sociale che può integrare diverse situazioni di illecito o reato.
Il D.lgs. 81/08 (art 28 c1 bis ex D.lgs. 106/09) per esempio impone la valutazione dei rischi derivanti da stress da lavoro correlato, inteso come la condizione di squilibrio tra le richieste fatte al lavoratore e le sue effettive possibilità legate alle risorse presenti in ambito lavorativo. Questa condizione incide sullo stato di salute sia di tipo psicologico che fisiologico, riducendo l’efficienza e il rendimento del soggetto.
Si arriva addirittura a casi di sfruttamento del lavoro previsto come reato nell’articolo 603-bis del codice penale.
La mancanza di indipendenza economica rappresenta il maggiore ostacolo che impedisce alle donne di sottrarsi a situazioni di violenza. Le problematiche del lavoro nero sono state denunciate anche dall’Osservatore Romano3.
Anche per la normativa vaticana relativa alla protezione dei minori e delle persone vulnerabili si definisce vulnerabile «ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa»4.
Altri casi di situazioni irregolari sono stati riscontrati nell’ambito delle donazioni, per esempio quando i consacrati, che lavorano presso imprese esterne all’opere religiose, sono tenuti a donare l’intero stipendio o i membri non consacrati sono spinti a donare regolarmente denaro per gli scopi dell’opera, senza tuttavia aver mai visionato una rendicontazione delle donazioni attraverso un bilancio condiviso nè approvato democraticamente. In base all’art. 769. c.c. la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione.
Secondo il disposto dell’art. 769 e ss. c.c. la donazione tuttavia deve essere mossa dall’animus donandi, ovvero lo “spirito di liberalità”. La prassi, in voga nei movimenti e nelle famiglie religiose, di impegnare i consacrati a donare tutto ciò che hanno e che riceveranno in eredità dalle famiglie, fa venir meno lo spirito di liberalità, che dovrebbe caratterizzare l’istituto della donazione, poiché esso è imposto da una condotta di vita che si è obbligati ad abbracciare, se si vuole far parte della comunità. In termini giuridici l’impegno a donare per il futuro costituisce un preliminare di donazione, che, secondo dottrina e giurisprudenza, non risulta compatibile con la donazione, appunto perché nega il carattere di liberalità spontanea, che costituisce l’elemento indefettibile della donazione.
Dalle testimonianze raccolte in molti casi non sono previste forme di aiuto per chi esce dall’esperienza religiosa oppure l’aiuto viene stabilito con una valutazione discrezionale da parte dei superiori, ma concretamente si riduce a somme di denario irrisorie per condurre una vita dignitosa. Per questo molte persone restano ingabbiate nella struttura, perché non hanno un reddito, che possa garantire loro una vita autonoma.
Le testimonianze raccontano di fuoriusciti che sono stati diffamati, cacciati senza spiegazioni, allontanati senza aiuti, considerati psicologicamente squilibrati, o peggio soverchiati dalle tentazioni e quindi non adatti alla vita di comunità. Un vescovo per esempio ci ha detto che, se fosse prevista, la retribuzione economica non sarebbe compatibile con la scelta religiosa e ha aggiunto che chi esce può chiedere aiuto alla Caritas. In questo caso noi riteniamo che manchi l’assunzione di responsabilità.
COME TUTELARSI
Il meccanismo risolutivo delle problematiche degli abusi deve coinvolgere più livelli; il livello preventivo, relativo alla configurazione dell’organizzazione, che dovrebbe essere orientata al rispetto della persona e che dovrebbe prevedere il monitoraggio dei comportamenti nella vita comunitaria, anche con l’intervento dello Stato, e il livello successivo, relativo alla giustizia nei confronti di chi ha commesso gli abusi, attraverso la pena, nel caso di reati, e attraverso il risarcimento dei danni, e attraverso l’attuazione di percorsi e strutture che permettano di attuare la cura alle vittime anche con il sostegno economico e psicologico.
Denunciare alle autorità civili
Per le situazioni di illecito bisogna denunciare. È importante tenere presente che per i reati i tempi di prescrizione sono diversi dalla prescrizione per del diritto al risarcimento dei danni. Quindi conviene sempre informarsi e denunciare alla procura cercando assistenza legale.
Per gli abusi patrimoniali e nell’ambito lavorativo è possibile denunciare al Tribunale civile, ma anche all’ispettorato del lavoro o rivolgersi ai sindacati e all’INPS o all’INAIL.
Dal racconto delle vittime sono emerse anche situazioni di evasione fiscale o di uso non corretto degli scambi di denaro, in questo caso ci si può rivolgere alla Guardia di Finanza.
Dalla testimonianza di una vittima di abusi sessuali abbiamo appreso che fino a quando non c’è stata la denuncia al Tribunale i vertici del Movimento ecclesiale avevano insabbiato per anni gli abusi. Solo con la denuncia è venuto alla luce il problema.
Denunce tardive
Le molteplici denunce di abusi psicologici, patrimoniali e sessuali, essendo tardive, non permettono di avere una tutela giurisdizionale, a causa della prescrizione; pertanto, si rende indispensabile promuovere un’informazione corretta relativa ai rischi di deriva settaria e di abusi in tutte le realtà ecclesiali, al fine di sollecitare le persone a segnalare e a denunciare a tutti i livelli.
Continuare a denunciare alla Chiesa?
Ora sembra che la Chiesa stia intervenendo per affrontare il problema. In realtà, per l’esperienza che abbiamo avuto noi, ci pare che sia stata in qualche modo obbligata a intervenire grazie alle segnalazioni da parte delle vittime. Anche se ancora sembra che l’intervento non sia orientato a un’autentica attenzione alle vittime. Abbiamo documentazioni che dimostrano che gruppi di vittime hanno segnalato ai dicasteri competenti senza ricevere nessun ascolto, incontro né aiuto concreto. Molti gruppi di vittime si sono rivolti ai dicasteri competenti per poter avere un confronto, senza tuttavia ricevere una risposta di apertura e di dialogo. Tante denunce avanzate alla Chiesa sono quindi rimaste inascoltate.
Diffusione delle esperienze di abuso
Diffondere all’opinione pubblica le esperienze di abuso crea una cultura di consapevolezza del problema. Con tutte le denunce e le storie che ci arrivano, crediamo che il tempo sia maturo per influenzare l’opinione pubblica.
Tutela da parte delle organizzazioni di vittime
In questi ultimi anni sono nate organizzazioni, associazioni o gruppi non istituzionalizzati di vittime che diffondono la conoscenza del problema all’interno dei vari movimenti ecclesiali o congregazioni religiose. Queste realtà sono importanti come spazio di ascolto per tutti i fuoriusciti per aiutare a rielaborare la loro esperienza e per non sentirsi soli.
SOLUZIONI
Le azioni che proponiamo per la risoluzione di questi problemi di abuso nella Chiesa cattolica sono le seguenti:
• l’istituzione di una Commissione indipendente per l’analisi dei casi verificatisi;
• la modifica delle strutture della Chiesa, in particolare le regole e la forma giuridica delle realtà ecclesiali;
• il controllo da parte delle istituzioni politiche;
• la creazione di centri di ascolto pubblici, perché chi si rivolge ai Centri di ascolto diocesani o alle Commissioni per la tutela degli abusi istituite da alcuni Movimenti ecclesiali, non può sentirsi libero di parlare apertamente, ponendosi di fatto di fronte alla stessa struttura che ha perpetrato gli abusi. Inoltre, tali istituzioni non possono essere veramente indipendenti se i membri sono scelti dai vertici dell’istituzione ecclesiale di riferimento o dalle diocesi;
• l’adozione di un Codice deontologico per chi svolge ruoli di accompagnamento spirituale e di membro delle strutture dirigenziali;
• l’attuazione di percorsi di formazione che non si riferisca solo all’ambito ecclesiale o pastorale, ma anche giuridico, psicologico e sociologico;
• l’istituzione di una disciplina giuridica specifica per le comunità di vita religiosa come formazioni sociali meritevoli di tutela (art. 2 Cost.).
Prima ho parlato della responsabilità in senso etico, oltre che giuridico, dicendo che è un atteggiamento interiore di chi agisce in spirito di parresia. A questo proposito desidero citare un episodio del Vangelo di Luca (Lc 19 1-10), in cui un certo Zaccheo dice a Gesù «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Zaccheo sa di non aver bisogno di un'indagine, perché conosce il suo cuore e vede che le sue azioni non sono state rispettose degli altri. Questo è il vero spirito di responsabilità che la Chiesa e le Comunità ecclesiali dovrebbero costruire al suo interno.
Note
1. Per esempio Catholic Women's Council, Donne per la Chiesa, Voices of Faith.
2. Rm 12,6-8: «Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento all’insegnamento; chi l’esortazione all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia»
. 3. Donne Chiesa Mondo, mensile dell’Osservatore Romano, n. 104, ottobre 2021, Città del Vaticano.
4. Legge n. CCXCVII sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili, 26 marzo 2019.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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