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Dove cercare le radici del male?

Dove cercare le radici del male?

Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 09/12/2023

Qui l'introduzione a questo testo. 

Non intendo che sfiorare appena l’attualità. Parlerò piuttosto di questioni inerenti all’ordine del pensiero delle donne; rifletterò sul simbolico inerente agli abusi (di potere, di coscienza e sessuali) guardato da una prospettiva femminista: esso si cela, si rende invisibile, e così nascosto governa con più efficacia.

A ciò è intrecciata l’intenzionalità e la passione – spirituale e politica – che ci anima e che ci muove nella nostra attività. Siamo un movimento dal basso assolutamente autonomo e indipendente, dinamico e aperto nel suo svolgimento.

Perché ci siamo poste in ascolto e interrogate sulla questione “abusi nella Chiesa cattolica”?

La logica che ci anima, la passione che ci muove, non è frutto di teorizzazioni astratte, di ricerche disincarnate: la pratica è ancora una volta incentrata sul “partire da sé”, quindi su esperienze vissute, su sofferenze che anche noi abbiamo attraversato: tutte noi, infatti, senza banalizzare né mancare di rispetto a vissuti tragici, abbiamo patito un abuso dal sistema di potere clericale, naturalmente in una eterogeneità di forme e in gradi differenziati; tutte noi affermiamo che siamo state violate nella nostra intimità da uno o più rappresentanti del clero. L’abuso spirituale può produrre ferite assai profonde, ed è sempre a monte dell’abuso sessuale.

Veniamo ora agli assi tematici sui cui mi soffermerò.

1. Rompere il muro di silenzio sugli abusi

2. Rompere il muro del silenzio sulla radice di questi abusi.

1. Rompere il muro di silenzio sugli abusi

Il logo della nostra rete contiene queste parole: Re-insurrezione: per svelare e fermare ogni abuso, e svelare evoca la parola verità nella lingua greca: aletheia (ἀλήθεια), svelamento. Rompere il muro di silenzio sugli abusi significa farsi concave, ricettive, fare spazio all’altro; ascoltare con attenzione, condividere, dare valore, fiducia, credibilità, risonanza all’esporsi di vittime di abusi negli ambienti religiosi (e non solo).

Rompere il muro di silenzio sugli abusi all’interno dell’universo ecclesiastico cattolico, che ha fatto della cultura del segreto un architrave del suo impianto, è per noi, animati/e dalla Ruah, una vocazione; ma, aggiungo: animate anche dalla collera, la collera delle viscere, per riprendere le parole di Veronique Margron che su questi scandali scrive : «Gridare la collera, una necessità vitale»1.

In ogni ambiente le donne violate sono difficilmente credute, spesso vengono colpevolizzate e sottoposte a una vittimizzazione secondaria. Anche nel caso della comunità Loyola, le sorelle che si sono esposte sono state censurate con un atto di silenzio: il loro è stato un “grido afono”, l‘abuso si è quindi moltiplicato.

Noi vorremmo trasformare quel grido afono in un gridare a perdifiato ancora più forte, sull’esempio di Bartimeo nell’incontro con Gesù (Mc 10).

Le coraggiose testimonianze delle religiose vittime (e non solo loro) sono frutto di un lungo percorso che dà voce alla violazione subita (talvolta esso ha una durata di 20, 30, 40 anni), iter travagliato, irto di ostacoli, strozzature, cedimenti, smarrimenti. I traumi provocano vite devastate, frammentazioni della personalità, a volte il suicidio. I traumi inaridiscono fiducia, speranza, misericordia.

Sovente, sulle tracce dell’offesa subita, la vergogna attecchisce. Una psicanalisi attenta al sentire delle donne suggerisce che essa sia un sintomo dell’odio verso quella parte di sé che è stata aggredita, straziata. Quella zona dell’intimità che non ha potuto gridare, salvarsi; e dalla paura è stata pietrificata. La vergona si riferirebbe quindi a quella parte di sé che si rigetta; e, insensatamente, andrebbe a incrementare il potere tirannico dell’aggressore; rafforza quel vincolo che lega l’aggressore a lei, eleggendolo a figura onnipresente; il predatore tesse e ritesse quella tela di ragno che la soffoca, inscrivendo paradossalmente in lei un debito nei suoi confronti. Solo la parola, che saprà pronunciare a se stessa e a un’altra in ascolto di quell’indicibile, potrà compiere il gesto della metamorfosi della rinascita. Noi ci adoperiamo per queste resurrezioni, per rendere verità e giustizia.

Perseguire la via del ristabilimento dei torti, delle offese, fare luce su turpitudini agite bestemmiando il Vangelo, su violazioni del corpo e dell’anima, su menzogne, manipolazioni, assoggettamenti, umiliazioni, colpevolizzazioni, ricatti, raggiri, isolamenti coatti… Perseguire al tempo stesso gli atti predatori, le impunità, le contraffazioni del vero, le oligarchie che proteggono gli abusatori, gli operatori di insabbiamenti e coperture. E perseguire ancora la pigrizia morale e intellettuale dei e delle molti/e che si schiera dalla parte della supremazia della casta clericale. Tutto ciò crediamo – insieme alle vittime – che sia un’azione imprescindibile, giusta, necessaria.

Sappiamo che la possibilità di fare la verità non è scissa dai movimenti culturali, politici e spirituali. Abbiamo letto per esempio che le ricerche e l’attenzione degli studi scientifici sul trauma delle vittime sono assai influenzati dall’ambiente e dal clima culturale; procedono e offrono risultati interessanti se sono favoriti da un interesse e da un orizzonte di attesa. Noi vogliamo renderci operatrici di un risveglio di consapevolezza, di responsabilità, di interesse e attenzione pubblica.

2. Rompere il muro del silenzio sulla radice

Essa è rappresentata dal sistema di potere che è ecclesiale e sessista: perché clericalismo e sessismo non sono scissi.

Per fare la verità, è necessario decostruire quel sistema di potere monocratico ecclesiale di uomini celibi (un dato significativo) che da secoli si autocomprendono sacramentalmente separati (ovvero verticalmente al di sopra), non solo ordinati ma sovraordinati, spiriti eletti, dotati di una differenza ontologica conferita, secondo loro, dal disegno divino. L’inferiorizzazione dell’altro (il non eletto) è perciò la conseguenza. Nei riguardi delle donne la superiorità è di doppio grado.

Noi affermiamo che non ci sia soluzione di continuità tra sistema clericale/gerarchico/kyriarcale e il sistema sessista: essi governano congiuntamente la Chiesa cattolica.

A) Nel sistema clericale/gerarchico/kyriarcale vige il principio del potere assoluto, la logica della brama acquisitiva di prestigio, onori e beni, la logica della sacramentalizzazione del capo (che è la porta d’ingresso all’idolatria); la logica della autoperpetuazione della istituzione innanzi tutto, che si mostra al “popolo” con una immagini sante ma insincere, perché sconfermate e tradite nell’operare, vige la logica del “segreto” e un esercizio del ministero verticalmente interpretato.

Lo stile perversamente seduttivo, ma prevaricatore, di alcuni suoi rappresentanti o del milieu clericale, stile che si ammanta dell’aura del sacro, o addirittura si presenta come incarnazione divina, evocando orizzonti messianici, ha usato e usa in modo deviato il principio dell’obbedienza per addomesticare, plagiare, esercitare pressioni psicologiche, disporre delle persone.

Sappiamo e conosciamo molti religiosi, donne e uomini del clero, o di congregazioni o comunità, che disattendono, con coraggio, questo impianto. Loro per primi lo riconoscono e spesso patiscono duramente il loro disallineamento, la loro “disobbedienza”.

Il quadro della istituzione cattolica che ho delineato pecca di schematismo? Può darsi; se però affermiamo che la piaga degli abusi è sistemica, non possiamo poi contraddirci dicendo che l’impianto non ha in sé tali presupposti inconciliabili con il messaggio evangelico: per la contraddizion che nol consente.

Non posso entrare per ragioni di spazio nel merito di aspetti che richiederebbero approfondimenti.

Ma mi sento in coscienza di affermare che anche nelle condotte dei pontefici che si sono mostrati meno tetragoni, recependo – così sembrava – lo scandalo che gran parte dei rappresentanti del clero provocava, rivolgendo quindi una non residuale attenzione per estirpare la mala pianta, l’esito di tale operato è naufragato – o sta naufragando – nel porto delle nebbie, e i loro documenti/pronunciamenti si uniscono al mare magnum delle grida manzoniane. Constatiamo – da troppo tempo – un procedere incoerente stentato, assolutamente inefficace: esso delude e provoca sentimenti di collera in cuori troppo a lungo offesi.

B) Il sistema sessista/kyriarcale/virile che governa la Chiesa è all’opera fin dalle origini della cristianità, camuffato come volontà divina, in un tradimento gigantesco delle parole del Maestro. Le donne non hanno potuto godere fino al 1988 dello status teologico di “immagine di Dio”, riservato ai soli uomini. Il sistema kyriarcale si è stabilizzato nei secoli, in una progressiva opera di esclusione/colonizzazione delle donne.

Con grande acume la teologa Rosemary Radford Ruether mette in connessione l’immagine del dio onnipotente e giudice con tali visioni archetipiche dell’immagine femminile. Lo spirito d’onnipotenza qui enunciato, peraltro, anima le menti di molti aggressori.

«Oggi noi sappiamo – scrive – che la teologia dell’onnipotenza di Dio ha come controparte una spiritualità spregiatrice del mondo, che proietta sulla femmina il disgusto, l’avversione e la paura, come se la relazione vera con il femminile dovesse significare per l’uomo il ritorno allo stato di soggezione della immersione preconscia nel grembo»2

Riprenderò ora la categoria della soggezione.

Il principio della virilità si sposa coll’assoggettamento, che si esercita sia nel sottomettere che nell’essere sottomessi. L’habitus gerarchico è quindi inscritto nella costruzione della virilità. Perché sostengo ciò?

Nella costruzione storica del genere maschile nelle società patriarcali, la sfida, il competere, il primeggiare, il distinguersi è un habitus condiviso, considerato costitutivo e “naturale”.

«L’ego maschile sembra piuttosto oscillare tra il dominio sugli inferiori e la sottomissione ai superiori», scrive Rosemary Radford Ruether3.

Vi propongo un altro enunciato, tratto da La scuola cattolica, di Edoardo Albinati. Il libro è un memoir che contiene pagine agghiaccianti sul massacro misogino del Circeo, i cui protagonisti criminali provenivano, appunto, dalla formazione impartita da una scuola cattolica romana.

«Una ossessione legava i compagni di scuola e al tempo stesso li urtava e respingeva. Stavano tutto il tempo a commisurarsi per scoprire che posto occupavano nella scala della mascolinità, quale punteggio gli avrebbero attribuito gli altri. Le femmine rientravano in questa competizione solo perché facevano guadagnare posizioni nella gerarchia maschile, dunque servivano ai maschi per giudicarsi tra loro…»4.

All’origine della forma gerarchica/clericale si pone, quindi, il principio maschile.

Così pure si deve dire per la identità maschile (non come dato biologico/essenzialistico ma come costruzione sociale), che, nelle forme con cui si compie in una cultura patriarcale, determina il pregiudizio sessista.

La libido dominandi (espressione tratta da Il dominio maschile di Pierre Bourdieu) è intrinsecamente un prodotto dell’economia dei beni simbolici androcentrici. Se, quando si parla di potere clericale, si omette od oscura tale origine – e accade spesso – si fa il suo gioco.

Purtroppo ho sentito uomini impegnati contro gli abusi del clero affermare che il fatto che gli abusatori fossero uomini era semplicemente un caso.

In Italia, e non in altri Paesi europei, si parla di questi argomenti ancora troppo poco, anche se un po’ più frequentemente negli ultimi tempi.

I media, tranne esempi rarissimi, indietreggiano. Anche le case editrici sono in genere latitanti.

Raramente si evidenzia quanto il male intrinseco all’atto predatorio sia un prodotto maschile e che, per estirparlo, occorra comprendere la radice ultima di ogni abuso: il sistema androcentrico.

Di fronte alle iniquità, alle violenze, sempre, il perturbante ci si para davanti.

Il male sconcerta, destabilizza, provoca un ritrarsi… non si vuol sapere, vedere, non si vuole essere sconvolti nei propri convincimenti, nei propri assetti emotivi; allora non si presta attenzione, o si banalizza o minimizza, o peggio ancora si squalifica, con pusillanimità, chi ha parlato, chi ha sollevato il velo. Ci sono poi l’opportunismo, la complicità, l’omertà: Veronique Margron parla di un sistema di omertà5.

Nelle cellule delle minicomunità religiose, tra cui le parrocchie, si creano legami, amicizie, relazioni che strutturano le identità, le esistenze. Avviene – e non è l’unico caso – che un parroco, giudicato colpevole dalla giustizia civile per un reato sessuale, venga difeso rozzamente dalla sua comunità, che si rifiuta di credere a tali colpe pur documentate: inferocita, la gente lo reclama, e accusa invece la vittima, che non ha minimizzato, che non ha taciuto.

Anche io sono stata elemento deviante, scomodo, colpevole di non ossequiare un leader carismatico di comunità parrocchiale (che, al vertice della vicenda, mi ha lanciato pubblicamente la sua invettiva, usando la Scrittura). Ma la comunità, in questo caso femminile, mi ha lasciato sola; e ha lasciato che me ne andassi, giustificando lui.

«Non è solo il clericalismo che imbavaglia la parola e copre i crimini, ma l’insieme della comunità dei credenti che fa scudo», commenta Veronique Margron6.

Gesù dirà che il demonio tiene legate le persone.

A volte si ha l’impressione che, nella istituzione ecclesiale, ci sia la stesso modus operandi messo in atto nei regimi totalitari, la stessa intimidazione, stessa logica di irreggimentazione, di rigido controllo, di stigmatizzazione ed espulsione, adottata nelle istituzioni totali. Il disinteresse/cinismo/apatia/autarchia della casta di uomini celibi con-sacrati nei confronti delle vittime, risplende in questa breve citazione da Marie-Laure Janssens. «Io parlavo di menzogne e manipolazioni e loro traducevano con attentati gravi alla disciplina ecclesiastica»7. Un escamotage di occultamento più raffinato è quello della razionalizzazione intellettuale, che psicologizza, scivola verso motivazioni di tipo individualistico, e riduce l’operato dell’abusante a cause psichiche che si anniderebbero in menti malate. Sotterfugio assai perfido, che si rifiuta di riconoscere quanto il male sia sistemico, non episodico né emergenziale. Ma mi pare interessante un aspetto storico. Il sacramento della confessione, dal Concilio di Trento in poi, era un tribunale della coscienza; il vertice del controllo, però, avveniva sulle anime femminili. Gli uomini potevano confessarsi, le donne dovevano farlo! Ne dipendeva del capitale dell’onore.

Ma non solo sulle anime si “imponevano le mani” dei sacerdoti. Il fenomeno della sollecitatio ad turpia, cioè l’uso da parte del confessore delle circostanze della confessione per abusare sesualmente della donna era assai diffuso. La perfidia dottrinale decretava che il reato era quello dell’abuso nelle circostanze della confessione, non abuso della donna: l’accusa era di abuso del sacramento. I confessori “colpevoli” poterono contare sull’appoggio di potentissimi ordini religiosi. Da ciò la difficoltà a rendere effettiva la volontà espressa dal Sant’Uffizio. La donna, ovviamente, era stata la tentatrice, ed era colpita con l’infamia.

Il perpetratore non aspetta altro che si taccia o si denigri la vittima, ora come allora. Ma è nell’universo ecclesiastico che l’ingiunzione – o la persuasione – a tacere trova il suo apogeo: qui è fiorita quella cultura del segreto dottrinalmente e teologicamente giustificata.

Note

1. Veronique Margron, Un moment de vérité, Albin Michel, 2019. Veronique Margron è una religiosa domenicana, presidente del CORREF (Conférence des religieux de France), è teologa specializzata in questioni etiche. Ha lavorato anche con minori abusati da incesto.

2. Rosemary Radford Ruether, Per una teologia della liberazione, della donna, del corpo, della natura, Queriniana, p. 148.

3. Rosemary Radford Ruether, Gaia e Dio, Queriniana, p. 241.

4. Edoardo Albinati, La scuola cattolica, BUR Rizzoli, 2016, p. 142.

5. Veronique Margron, Un moment de vérité, cit. p. 12.

6. Veronique Margron, Un moment de vérité, cit. p. 42.

7. Marie-Laure Janssens. Le silence de la Vierge: Abus spirituels, dérives sectaires... Une ancienne religieuse témoigne, p. 240, 2017.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

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