Don Vitaliano Della Sala accusato di blasfemia da Maurizio Gasparri
Secondo Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia, il presepe allestito da don Vitaliano Della Sala lascia «sgomenti»: conterrebbe «l’ennesimo atto di vera e propria blasfemia», avendo inserito vicino al bambinello Gesù due mamme, rimosso San Giuseppe (cosa peraltro non vera) e dato spazio a una insinuazione – che lascia esterrefatti, non ha senso osservando il presepe – su un ipotetico lesbismo della Madonna.
Ergendosi a maestro e ammonitore, Gasparri ha scritto in una nota che trattasi di «un gesto che lascia sgomenti», definendolo «l'ennesimo atto di vera e propria blasfemia, con la rimozione di San Giuseppe e, dobbiamo immaginare, evidenti allusioni nei confronti della Madonna, così come d’altronde siamo abituati a vedere in molti cortei che rivendicano diritti e tolleranza dimenticando però di rispettare il mondo cattolico. Rifletta anche su questo il parroco della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo» di Mercogliano, e «si dedichi ai diritti e all’inclusione senza cadere nelle facili provocazioni che offendono le sensibilità di tutti noi e che non hanno nulla a che vedere con la sua missione. Siamo certi che la notte di Natale illuminerà anche don Vitaliano Della Sala e gli farà capire i gravi errori in cui è incorso».
«Natale 2023. Una famiglia? Tanti modi di essere famiglia: “nulla è impossibile a Dio”!», aveva già spiegato don Vitaliano illustrando il presepe. Che è un inno al valore evangelico dell’inclusività, laddove «l’esclusione – sottolinea il parroco di Mercogliano – ha tracciato lungo la storia una scia rossa di sangue e di dolore».
Di seguito il testo integrale.
Natale 2023. Una famiglia? Tanti modi di essere famiglia: “nulla è impossibile a Dio”!
don Vitaliano Della Sala
«“Qualcuno rovesciò il calamaio sulla tela; ora si vanta: ho dipinto la notte!” scriveva Tagore. Il disprezzo, anche da parte di settori della Chiesa cattolica contro le “famiglie arcobaleno” e la loro condanna a prescindere, senza una discussione e un confronto serio e onesto, è la pennellata di tenebra che contribuisce a dipingere la notte del nostro tempo. Perciò ci sono due mamme nel presepe: la luce del Natale quest’anno la vedo risplendere anche su queste famiglie colpite da critiche e condanne disumane e antievangeliche.
Ogni anno Natale ci ricorda che è intenzione di Dio ripartire dai margini, dai confini non solo geografici, dove persone, lingue, religioni e culture si confondono in una nuova e colorata babele. Dopo Betlemme e ritornati dall’Egitto, dove erano fuggiti per salvarsi dal sanguinario Erode, Giuseppe con la sua famiglia “si ritirò in Galilea” (Matteo 2, 22). La Galilea quasi non è considerata Israele, ma non è ancora un paese straniero: è un territorio dove le razze si mescolano e la contaminazione tra cultura e religione si fa realtà; è il luogo non del bianco, né del nero, ma delle sfumature, dove la purezza del Popolo di Dio si diluisce nella diversità dei popoli pagani circostanti. Da ogni pio israelita la Galilea è ritenuta terra di eretici. La Galilea è la terra degli esclusi.
L’esclusione ha tracciato lungo la storia una scia rossa di sangue e di dolore. Anche oggi intorno all’esclusione si gioca moltissimo della sopravvivenza dignitosa di miliardi di esseri umani. Con il primato dell’economia abbiamo costruito un tipo di società che per sopravvivere ha bisogno di escludere, di respingere ai margini o in mare. Ma l’esclusione non è praticata solo nell’ambito della società civile, anche la Chiesa non di rado pratica l’esclusione, relegando ai margini autentici testimoni di Gesù Cristo che urtano il potere, che battono vie nuove, quelle strade su cui subito prendono a camminare gli ultimi, i poveri di Dio, e sulle quali invece inciampano, scandalizzati, i benpensanti. Invece proprio la logica dell’inclusività è l’avvenire della Chiesa: una Chiesa che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio contro nessuno, una «Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione» (mons. J. Gaillot), capace di accogliere, di portare tutti in seno.
La liberazione operata da Gesù inizia proprio dalla Galilea, metafora di ogni esclusione sociale e religiosa. Al “centro”, idolatrato come simbolo di ogni potere, Dio preferisce la periferia, simbolo di ogni emarginazione. Gesù alle situazioni e ai luoghi ben definiti, prediligerà l’indefinitezza dei confini; alla staticità del tempio contrapporrà la dinamicità della riva del lago di Galilea.
Agli uomini che cercano sempre di descriverlo come l’onnipotente, Dio racconta la sua storia di salvezza per dimostrarci il contrario: lui predilige il piccolo, l’insignificante, il debole. Allora, per comprenderlo non servono vuoti e indiscutibili dogmi, né presuntuose e ingessate teologie, ma l’impalpabilità, l’irrequietezza e l’imprevedibilità dell’amore.
La Galilea “è una terra e un popolo aperto alle nazioni dei dintorni. Le frontiere si incrociano dando luogo all'inclusione del diverso in molteplici miscugli” (Omelia di mons. Romero, 4 marzo 1979).
Questo è il Regno che Dio sogna per noi, che vuole regalarci, che in Gesù si è fatto vicino, a portata di mano. Questo è il Regno che Gesù è venuto ad inaugurare, dal quale nessuno è escluso e dove ciascuno ha diritto di cittadinanza. Un Regno che non coincide per nulla con quelli terreni, che anzi capovolge la nostra concezione del potere. Un Regno senza confini certi e precostituiti dove la croce si trasforma in resurrezione, la morte ridiventa vita; dove i poveri sono beati. Regno dove il primo è l’ultimo, dove il padrone serve, dove l’Onnipotente si fa Onnidebole.
Buon Natale e… benvenuti in Galilea!».
*Abbazia di Loreto a Mercogliano (AV). Foto di Gianfranco Vitolo di Sarno (Sa), tratta da Commons Wikimedia, immagine orginale e licenza
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