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Omofobia in Africa: cultura o nuovo colonialismo? Dagli Usa, un piano politico conservatore

Omofobia in Africa: cultura o nuovo colonialismo? Dagli Usa, un piano politico conservatore

Non si spegne l’opposizione alla Dichiarazione Fiducia supplicans, il documento vaticano sulle benedizioni delle persone nelle unioni irregolari e omosessuali. Continua a farsene portavoce in particolare il presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) il cardinale e arcivescovo di Kinshasa (Congo) nonché membro del C9, Fridolin Ambongo, secondo il quale l’acquiescenza verso l’omosessualità è un nuovo portato colonialista, ormai intollerabile, dell’Occidente.

In un’intervista rilasciata alla direttrice generale di KTO Télévision Catholique, Philippine de Saint Pierre, il cardinale torna a parlare di Fiducia supplicans. Aveva già detto (v. Adista Notizie n. 3/24): «Noi, vescovi africani, non riteniamo opportuno benedire le unioni tra persone dello stesso sesso. Perché nel nostro contesto, questo causerebbe confusione e sarebbe in diretta contraddizione con le norme culturali delle società africane». Una posizione di chiusura peraltro non condivisa da tutto l’episcopato continentale (per esempio, il cardinale sudafricano Stephen Brislin, in qualità di portavoce Conferenza episcopale cattolica dell'Africa meridionale-SACBC, si è espresso a favore di un approccio alla «prudenza» nell’applicazione della Fiducia supplicans: «ogni vescovo – ha detto a fine gennaio scorso, v. Adista online del 6/2/24 – deve valutare i bisogni particolari della propria diocesi e l’impatto particolare che ciò potrebbe avere»).

Ambongo ora, parlando con la KTO, ribadisce la sua convinzione. Inizia criticando l’Occidente: «Abbiamo, almeno dall’esterno, l’impressione che l’Occidente stia perdendo le sue radici e le radici dell’Occidente sono esattamente i valori che l’Occidente ci ha portato durante la colonizzazione e noi abbiamo creduto in quei valori; ma oggi vediamo che quei valori non esistono più per l’Occidente e questo ci confonde un po’. Ci poniamo delle domande: dove va l’Occidente con questo tipo di misure?». Giunge poi al documento vaticano “calato dall’alto”: «Credo che questo testo (Fiducia supplicans, ndr) non fosse necessario in questo momento, perché stavamo uscendo dalla prima sessione del Sinodo sulla sinodalità e stiamo aspettando la seconda sessione. Torneremo su tutte le questioni che abbiamo sollevato durante la prima sessione del Sinodo; Avremmo guadagnato molto aspettando la fine della seconda sessione e che questo tema maturasse in spirito sinodale. Ciò che più mi ha sorpreso, sconvolto, è stato il modo in cui questo testo è stato pubblicato, devo dire, fuori dallo spirito della sinodalità». «Ci sono sempre stati casi conosciuti di pratica dell'omosessualità in Africa – aggiunge –, ma i casi che esistono in Africa sono considerati una deviazione, un abominio. Un po’ come nella Bibbia: i casi esistono. A livello del continente africano vediamo come l’omosessualità non è ancora legalizzata e questo è soprattutto ciò che ci ha colpito. Come puoi benedire le cose che sono legalmente proibite? (…) In Africa, dal punto di vista culturale, la pratica dell’omosessualità esiste, ma non è considerata una pratica normale».

Un piano patriarcale e antifemminista

«Ma davvero l’Africa è un continente omofobo?», si chiede in un articolo pubblicato sulla rivista dei religiosi comboniano, Nigrizia (11/3/24), Antonella Sinopoli da Accra (Ghana). A considerare le leggi anti-gay di alcuni Parlamenti i sermoni della domenica e il sostegno che certe politiche e campagne anti-gay generano nella popolazione «sembrerebbe di sì», risponde. Ma, se di colonialismo si tratta, esso può essere individuato proprio nella posizione omofoba. «Lo diciamo subito», scrive: pensare che l’omofobia in Africa «sia tutta farina del proprio sacco mette assolutamente fuori strada. In realtà, questa “fissazione” nei confronti degli omosessuali e la loro criminalizzazione più che un “affare interno” all’Africa è un piano politico. Un piano per consolidare il sistema patriarcale, per affermare l’unico e solo valore della famiglia “naturale” e un’idea di religione che porta avanti questi principi».

«A elaborare questo piano – spiega – i gruppi “pro-famiglia” della destra cristiana statunitense», una rete transnazionale di attivisti e organizzazioni conservatrici «impegnata già da molti anni a mobilitare movimenti contro i diritti umani LGBTIQ+, contro l’aborto e contro l’educazione sessuale in Africa. Parliamo di quella fazione bigotta e integralista delle chiese evangeliche (ma ci sono anche fronti cattolici) e che sono sempre più distanti da una Chiesa che invece manifesta inclusività, apertura, dialogo».

Sinopoli si rifà alle analisi della sociologa e ricercatrice post-dottorato presso l'Università di Göteborg (Svezia) Haley Mcwen nell’ultimo suo libro, The US Christian Right and Pro-Family Politics in 21st Century Africa, sul quale peraltro l’autrice ha rilasciato una lunga intervista a The Conversation (6/3/24), rete di media in ambito internazionale. Sinopoli riferisce che Mcwen nel saggio «analizza in modo documentato scenari in atto da tempo. Facendo anche excursus storici, quando ad esempio ricorda la nascita del movimento pro-famiglia negli States, che non è stata naturalmente improvvisa ma si è sviluppata come opposizione al movimento di liberazione sessuale degli anni Sessanta».

Bibbia e denaro alla mano

«È dagli anni 2000 – riassume Sinopoli – che gli attivisti della destra cristiana hanno cominciato a lavorare per far crescere le loro reti nei paesi africani. E per globalizzare una, e una sola, idea di famiglia. Fatto è che la propaganda porta a porta (villaggio in villaggio), bibbia alla mano e camicia bianca immacolata è cosa naif rispetto alla vera influenza che i leader di questo movimento hanno sulla classe dirigente africana. Una classe dirigente niente affatto ingenua ma che considera e accetta i vantaggi che possono derivare da certe alleanze. Quello, per dirne una, strettamente sociale, è quello di avere maggior controllo sulla vita dei propri cittadini, e soprattutto delle donne e di perpetuare una concezione maschilista del potere. Ma poi ci sono i vantaggi politici, quelli del consenso in sedi istituzionali internazionali, comprese le istituzioni finanziarie».

D’altronde, seguita Sinopoli, «l’agenda ultra-conservatrice del movimento pro-famiglia statunitense si è già espansa in Africa grazie alla forza del denaro, della persuasione e di élite che non hanno scrupoli a giocare sulla pelle dei più deboli il loro futuro politico (…). Un gioco facile viste le forti alleanze in campo».

Ma «la cosa paradossale è che certe élite africane che sostengono queste politiche liberticide giudicano omosessualità e libertà di scelta delle donne come eredità del colonialismo da cui vorrebbero liberarsi. Importazioni straniere che minacciano le società africane». Dimenticando però che «le prime leggi anti-sodomia erano state proprio imposte dai regimi coloniali (segno che l’omosessualità era fatto noto in Africa?). E che il sistema patriarcale era meno diffuso di quanto lo fosse dopo l’esperienza coloniale». E dimenticando che «i regimi europei hanno distrutto i sistemi sociali indigeni e imposto leggi e gerarchie di genere come mezzo per controllare le popolazioni africane. E come modello di organizzazione di produzione e di proprietà». 

*Card. Fridolin Ambongo. Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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