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Camminare in pace con la Terra

Camminare in pace con la Terra

Tratto da: Adista Documenti n° 33 del 28/09/2024

Qui l'introduzione a questo testo. 

“Non esiste una via per la pace; la pace è la via” (Gandhi)

Consideriamo come un dato di fatto che l’umanità sia a un bivio. Se andiamo avanti su questa strada, nella migliore delle ipotesi, solo una parte di essa riuscirà a sopravvivere al collasso ecologico. Per quanto ci riguarda, accettare questo destino è intollerabile. Esigiamo un cambio di direzione, con transizioni che permettano, simultaneamente, di alleviare gli impatti del collasso che ci sta travolgendo, rafforzando, costruendo e ricostruendo altri stili di vita vincolati ai cicli ecologici in chiave di giustizia sociale e di democrazia radicale.

Perché questo sia possibile, costruiamo alternative in termini di esodo dall’attuale civiltà delle merci e dei rifiuti come faceva Picasso, quando dipingeva le sue grandi opere. L'artista spagnolo sovrapponeva diverse prospettive della stessa immagine fino a creare un dipinto in cui la bellezza e l'astrazione si univano magistralmente. Riconoscendo la complessità del compito, utilizziamo il suo metodo per proporre molteplici opzioni – sovrapposte, temporanee e successive – di fronte alla mancanza di significato provocata dalla civiltà del capitale.

Per questo, oggi più che mai, crediamo che sia necessario moltiplicare gli sforzi per camminare in pace con la natura nella Nostra America, che si trova spinta da forze contrarie, alcune che incoraggiano sempre di più la distruzione e altre che operano invece in difesa degli ecosistemi. In Argentina, il governo inasprisce l’estrattivismo e minaccia di cancellare le leggi ambientali, lanciando una crociata contro gli ecologisti ed esacerbando le disuguaglianze e il conflitto sociale sotto un regime autoritario che assegna la priorità agli interessi delle imprese private.

In Ecuador, un governo di transizione conclude un accordo con grandi compagnie minerarie e scatena azioni violente contro le comunità che difendono i loro territori, al fine di accelerare ulteriormente lo sfruttamento delle risorse naturali. In altri Paesi, anche guidati da governi progressisti, come nel caso del Brasile, non si ferma l’espansione dell’estrattivismo di ogni tipo. Intanto, si moltiplica ovunque la resistenza per proteggere i territori in quanto spazi di vita.

Di fronte a questo scenario conflittuale, celebriamo l’impegno del governo colombiano a mettere al centro la pace con la natura come tema centrale della Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità, la COP 16, che si terrà alla fine dell’anno a Cali.

Diritti umani e diritti della natura, un binomio vitale

La difesa e la tutela dei territori è fondamentale per vivere insieme in pace. La distruzione della natura colpisce le basi stesse dell’esistenza e aggrava i conflitti sociali. In pratica, per superare questo processo di autodistruzione, bisogna promuovere la combinazione vitale dei diritti umani e dei diritti della natura: si tratta di una somma di diritti esistenziali per garantire una vita dignitosa agli esseri umani e non umani.

Come punto di partenza, assumiamo il fatto che non possa esistere alcun diritto che permetta o incoraggi lo sfruttamento impietoso della Madre Terra, o tanto meno che la distrugga, ma solo il diritto alla coesistenza ecologicamente sostenibile. Le leggi umane e le azioni degli esseri umani, quindi, devono essere in linea e in sintonia con le leggi della natura. In questa prospettiva, la validità di tali diritti esistenziali risponde alle condizioni materiali che ne consentano la cristallizzazione e non al mero riconoscimento formale in campo giuridico. La loro proiezione, pertanto, deve superare prospettive che intendono i diritti come compartimenti stagni, in quanto la loro incidenza deve essere molteplice, diversificata e transdisciplinare.

Il compito sembra semplice, ma è oltremodo complesso. Sappiamo benissimo che il diritto è un terreno conteso. La sfida è superare il divorzio tra natura e umanità. Dobbiamo promuovere una sorta di ricongiungimento, qualcosa come riannodare il nodo gordiano della vita che è stato spezzato dalla forza di una concezione predatoria e insostenibile di civiltà. In altre parole, si tratta di superare il divario ideologico tra natura e culture. Combinando entrambi, anche la politica assume una rinnovata rilevanza.

E questo riconoscimento ci porta a verificare come gli esseri umani, soprattutto perché organizzati attorno all’accumulazione di capitale, stiano esercitando molteplici forme di violenza, cioè una guerra contro la Terra. Sta a noi, allora, superare tanta aberrazione.

Porre fine alle guerre contro la Terra e tutti i suoi abitanti

È urgente porre fine alle guerre, siano esse di bassa, media o alta intensità. Guerre che causano danni in modo graduale o violento, spesso con impatti profondi e irreversibili sulla natura. Si tratta di azioni belliche che derivano da relazioni socio-ambientali generate dall’avidità del capitale, nonché da strutture asimmetriche, oppressive e gerarchiche, come il patriarcato.

In questo ambiente di guerra, la perdita di biodiversità è una costante. La frammentazione, il degrado e persino la scomparsa di giungle, foreste, fiumi, brughiere, aree umide, mangrovie, saline e altri ecosistemi, che influiscono sulle loro funzioni ecosistemiche, sono all’ordine del giorno. Di conseguenza anche le specie scompaiono rapidamente. Gli incendi devastanti e le gigantesche inondazioni favorite dai cambiamenti climatici, la desertificazione dei terreni a causa delle monocolture, l'irrorazione di prodotti agrochimici, l'estrazione petrolifera, le mega-attività minerarie devastano interi territori. L'impronta ecologica della specie umana – distribuita in modo diseguale – oltrepassa la capacità biologica della Terra. E anche la povertà, così come la crescente disuguaglianza sociale e la distruzione delle comunità, si sta aggravando a causa di queste guerre suicide scatenate dall’avidità del capitale.

Nella quinta sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente, tenutasi nel 2021, il segretario generale António Guterres ha affermato giustamente che «fare pace con la natura richiede la comprensione del fatto che ci troviamo di fronte a una triplice crisi che intreccia cambiamento climatico, inquinamento e perdita di biodiversità: si tratta di una guerra suicida contro la natura, poiché senza di essa l’umanità non potrebbe esistere sul pianeta».

Per promuovere la pace di cui parla Guterres, dobbiamo cominciare a comprendere che «il modello capitalista vive soffocando la vita e il mondo della vita. Questo processo è stato portato a un tale estremo che la riproduzione del capitale può avvenire solo nella misura in cui si distruggono tanto gli esseri umani quanto la natura», secondo quanto ha affermato il filosofo ecuadoriano Bolívar Echeverría.

Cerchiamo di essere realisti: la disconnessione degli esseri umani dalla natura ha scatenato contro di essa una guerra spietata. Non comprendiamo appieno che la natura ha i suoi cicli, che non possono essere compromessi dagli umani senza che essa reagisca e si ribelli. Cerchiamo di capire che la crescente mercificazione e reificazione della vita in tutti i suoi aspetti configura un percorso minato che porterà inesorabilmente al terricidio.

Superare il modello di civiltà che soffoca la vita

Fare la pace con la Terra e a partire dalla Terra implica quindi programmi d’azione approvati dai popoli con l’obiettivo di superare i più diffusi strumenti di morte. Per raggiungere questo fine è necessario identificare con chiarezza tutte le guerre che aggrediscono la Terra, nei loro molteplici fronti e forme.

Come asse di civiltà abbiamo un sistema economico che sfrutta e contamina sistematicamente le nostre basi di esistenza. Produttivismo e consumismo bombardano senza pietà la Madre Terra. L’estrattivismo rappresenta brutali invasioni di moltissimi territori. Monocolture e false soluzioni come i mercati del carbonio o i semi geneticamente modificati minano brutalmente la biodiversità. L’omogeneizzazione dei consumi accelera i ritmi di distruzione con enormi impatti ambientali a causa del trasporto di alimenti da grandi distanze, per citare solo un punto critico.

A tutto ciò si aggiungono le conflagrazioni belliche propriamente dette: tra i popoli o contro di essi, come il genocidio scatenato dallo Stato sionista in Palestina, che distrugge non solo gli esseri umani ma la stessa natura.

Allo stesso tempo, dobbiamo affrontare le guerre nascoste. Ci riferiamo ai modi di percepire, interpretare e vivere la natura che si basano, specificatamente, su quel presupposto di civiltà che guarda all'essere umano come fosse fuori o addirittura al di sopra di essa, per dominarla. Tale posizione presuppone un impulso bellico immerso nella violenza epistemica e ontologica che finisce per incoraggiare il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita di biodiversità, così come ogni tipo di saccheggio della natura, sempre in nome del “progresso” e dello “sviluppo”. E tutto questo con un senso di perversa riverenza nei confronti delle potenzialità della scienza e della tecnologia, che in molte occasioni funzionano anche come armi di distruzione ambientale.

Queste visioni conducono al mantenimento di un universo culturale che, in sostanza, ci impone l’idea che esiste un solo modo di stare al mondo. Nel negare il pluriverso, le diversità biologiche, così come le diversità culturali esistenti, vengono rese invisibili, disprezzate, violentate o addirittura eliminate. Nasce da qui la standardizzazione del concetto di natura con cui si chiude la porta ad altre visioni, molte delle quali portatrici di potenti elementi di trasformazione. Per questo forse è meglio parlare di Terra, di Terra in chiave cosmica, piuttosto che semplicemente di natura, un concetto che può avere diverse letture.

Dobbiamo assumere cioè tutte queste sfide senza cadere nella trappola di negoziare semplicemente limiti o rammendi per continuare a tollerare l’inquinamento e la distruzione dei fondamenti della vita stessa, come è stato fatto finora in tutte le COP. Questa assurdità potrebbe ripetersi a Cali, per quanto buone siano le intenzioni del governo colombiano, perché sappiamo molto bene che nell’ambito delle Nazioni Unite prevale la volontà dei governi e delle imprese, e non necessariamente quella dei popoli.

Camminare con la pace, nella chiave del pluriverso

Nella prospettiva della pace con la Terra dobbiamo accettare e rispettare la diversità in tutti gli ambiti: vite, culture, pensieri e ovviamente la biodiversità. Vale a dire la pluralità dei modi di stare con la natura e di essere natura, in quanto l’essere umano è natura. Questa accettazione ci apre la porta per comprendere i vari modi di assumerla come Pacha Mama o Madre Terra, così come molti altri modi di relazionarsi con la natura provenienti dall'indigenità, nel modo in cui l’intendeva il nostro amico Aníbal Quijano. Non si escludono neppure alcune letture che potremmo intendere come derivate dalla stessa Modernità, ma che, in sostanza, puntano anche al suo superamento.

Tutti questi approcci non chiudono gli orizzonti a visioni parziali, ma, al contrario, li aprono promuovendo altre visioni del mondo, incoraggiando il pluriverso, cioè “un mondo in cui rientrano molti mondi”, in cui possano coesistere e prosperare, nella dignità e nel rispetto reciproco per tutti gli esseri umani e non umani. Non più “un mondo sviluppato” che vive a spese di altri mondi, come accade così crudelmente nel nostro tempo.

Detto questo, la pace sulla Terra non implica soltanto il silenzio delle armi. Esige ugualmente la fine di tutti quei processi che generano danni irreversibili all’ambiente – di cui facciamo parte –, danni che colpiscono le comunità locali e l’umanità, danni che spesso costituiscono crimini di ecocidio. Questo compito richiede la costruzione di mondi basati sulla reciprocità, la relazionalità, la complementarità, la corrispondenza, la risonanza, la solidarietà...

Nello stesso tempo in cui blocchiamo le azioni di distruzione, dobbiamo incoraggiare quelle di costruzione e ricostruzione di altri stili di vita socialmente ed ecologicamente sostenibili. Tutto ciò richiede una svolta copernicana a tutti i livelli per lasciarci alle spalle la civiltà attuale, che deve essere strutturalmente superata. «Dobbiamo capovolgere il mondo», perché la Terra «potrà essere guarita solo con l’inversione dei valori consolidati e la rivoluzione delle priorità economiche», conclude la filosofa ecofemminista Carolyn Merchant.

Attualmente le azioni alternative si stanno moltiplicando in varie aree e territori. Se prestiamo attenzione e, in senso figurato, restiamo in silenzio, potremo sentire il futuro che respira. Sono innumerevoli i processi sintonizzati sul pluriverso, così come le proposte di cambiamenti strutturali. Al riguardo, visioni, valori, principi, esperienze e pratiche come quelle della buona convivenza provenienti dalle culture originarie, senza idealizzarle al livello inutile di modelli, o essenzializzarle disconoscendone i limiti, rappresentano opportunità per promuovere cambiamenti profondi.

Fare pace con la Terra significa anche riconoscere la sua azione e la rete di relazioni socioculturali in essa racchiuse. Si tratta di riparare i territori contaminati e di smantellare le infrastrutture distruttive, nonché di modificare i sistemi di produzione e le pratiche di consumo predatorie. Questo ci invita a fare appello all’immaginazione e all’audacia. Occorre passare, secondo le parole del grande teologo Leonardo Boff, «dall’essere signori e padroni a essere fratelli e sorelle tra noi e con tutte le creature. Questa nuova prospettiva implica una nuova etica di responsabilità condivisa, di cura e sinergia con la Terra».

E in questo contesto, i Diritti della Natura – la giustizia ecologica –, procedendo di pari passo con i Diritti Umani – la giustizia sociale –, ci preparano il terreno per affrontare il collasso ecosociale, nonché per promuovere e costruire tutte le alternative che garantiscano una vita degna a tutti gli esseri della Terra. Vale a dire che questi diritti esistenziali servono a riparare e restaurare, come pure a prevenire, gettando al tempo stesso le basi per la costruzione di una giustizia esistenziale globale.

La Terra, condizione essenziale per la vita, l’equità e la libertà

Se riteniamo che una nuova etica sia necessaria per riorganizzare la vita sul pianeta, dobbiamo accettare il fatto che tutti gli esseri viventi hanno lo stesso valore ontologico, benché ciò non implichi che tutti siano identici. Questa prospettiva permea la nozione di “uguaglianza biocentrica”, in cui, secondo Eduardo Gudynas, tutte le specie viventi hanno la stessa importanza e quindi meritano di essere protette. E in questo sforzo dobbiamo creare le condizioni che garantiscano il rispetto delle persone e delle comunità che proteggono i loro territori, che è in realtà una forma di autodifesa della Terra stessa.

Non ci sono dubbi che questo sia il momento di comprendere che la natura è la condizione essenziale della nostra esistenza e, pertanto, è anche la base dei diritti collettivi e individuali di libertà. Proprio come la libertà individuale può essere esercitata solo nel quadro dei diritti degli altri esseri umani, anche la libertà individuale e collettiva può essere esercitata solo nel quadro dei diritti della natura. Se pensiamo ai nostri nipoti, cioè alle generazioni future, possiamo certamente concludere che la loro esistenza e la loro libertà dipendono dal rispetto della natura. Il giurista tedesco Klaus Bosselmann ha ragione a sostenere che «senza i diritti della natura, la libertà è un’illusione».

È ugualmente urgente smantellare le strutture patriarcali e coloniali che causano e riproducono molteplici violenze. Sarà necessario concretizzare la riscossione dei debiti coloniali ed ecologici di cui sono debitrici le nazioni arricchite dallo sfruttamento di altri popoli e di altri territori. Allo stesso modo, il sistema economico globale dovrà essere smantellato con tutti i suoi strumenti di dominio, come lo è il debito estero, che costituiscono meccanismi predatori nei confronti della vita.

In questa “relazione” ci saranno progressi e battute d’arresto. Ma, nella misura in cui si ottiene una partecipazione ampia e diversificata di popoli, gruppi, organizzazioni e persone, non possiamo in nessun momento perdere la speranza, non come convinzione che una cosa andrà inevitabilmente bene, ma piuttosto come la certezza che ciò che facciamo ha un senso indipendentemente dal risultato.

Se noi esseri umani non ristabiliamo la pace con la Terra, non ci sarà alcuna possibilità di pace per noi sul pianeta, il quale, comprensibilmente, si ribellerà a tutta questa distruzione che stiamo provocando.

Siamo certi che, in questo ricongiungimento armonioso e amorevole con la Madre Terra, conteremo sulla sua enorme capacità di resilienza e di ripresa, poiché è una vera Madre, che è dalla nostra parte. 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

 

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