
I padroni del mondo
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 08/03/2025
Il ciclone Trump, nel bene o nel male, sta investendo il quadro delle relazioni internazionali, senza badare a Paesi alleati, amici, neutrali o avversari. I colloqui di pace tra Washington e Mosca già in corso, emarginandone non solo l’Ucraina, ma anche l’Unione Europea, sono sintomatici del suo approccio pragmatico, interessato a disimpegnarsi dal conflitto e dalla difesa di un’Europa, che secondo lui spende troppo poco per la difesa.
Peraltro, i dati relativi al 2023, aggiornati dal SIPRI, ci dicono che, rispetto ai 2.393 miliardi di dollari spesi nel mondo per la difesa, gli USA ne hanno spesi ben 880, la NATO europea 350 (tutta la NATO 1.257), a fronte dei 309 della Cina e dei 126 della Russia. Analizzando i dati della spesa dei Paesi dell’Unione riscontriamo che dai 251 miliardi di dollari del 2013 si è passati ai 287 del 2023, esclusi i 69 miliardi della Gran Bretagna (senza Brexit porterebbero la cifra a 356 miliardi). Londra attualmente fa parte della NATO e non della UE, ma comunque ha partecipato al vertice di Parigi e coopera con l’UE nel settore della difesa. Dati sorprendenti in contrasto con la narrativa ufficiale.
Come si vede, l’UE (i cui componenti sono ormai per lo più anche membri NATO) non spende poco, ma spende male, anzi malissimo. 27 Stati maggiori e altrettante forze armate nazionali costituiscono una pletora di centri spesa scoordinati, impegnati a sostenere le proprie industrie degli armamenti, con duplicazioni produttive, concorrenze commerciali e sprechi incredibili, denunciate anche dal cosiddetto Rapporto Draghi. Il nodo di fondo è rappresentato dal fatto che l’UE è in mezzo al guado, avendo deciso di voler costituire una difesa europea comune ma senza avere la forza di un vero, unico governo comune, con un ministro degli esteri e uno della difesa. Se non si avrà un cambiamento radicale nell’architettura europea, i fondi stanziati serviranno solo a rimpolpare i bilanci delle aziende belliche, come sta avvenendo da anni. Infatti per ora Bruxelles è riuscita a partorire una forza armata comune, l’Eurocorps, di soli 1.100 militari nel quartier generale di Strasburgo (con 60.000 uomini attivabili in caso di crisi) rispetto a un totale di più di 1.300.000 effettivi dei vari Paesi.
Per ora si parla di un aumento dei bilanci nazionali della difesa al 2% se non di più, mentre Trump chiede addirittura il 5%. Mentre il nodo fondamentale suaccennato di una nuova architettura non viene neppure accennato e gli “Stati Uniti d’Europa” sono solo un sogno lontano, peraltro neppure gradito a Washington che preferisce ovviamente il “divide et impera”, cioè vassalli disuniti (a suo tempo sostenne la Brexit).
Il recente vertice di Parigi rappresenta bene tutte le contraddizioni dell’Europa, nel cui ambito convivono varie posizioni, alcune per un sostegno militare a Kiev fino alla vittoria militare sulla Russia, altre propense a una soluzione a questo conflitto che ha macinato decine di migliaia di vittime ucraine. Si rischia la spaccatura tra i 27 con un’area di destra che cerca la pacificazione e un centrosinistra su posizioni opposte, propugnante una partecipazione alla guerra che rischierebbe di far scattare la famosa clausola di solidarietà atlantica con conseguente guerra mondiale. Minoritarie in quest’ultimo schieramento le coraggiose voci pacifiste che propugnano la via diplomatica. Inoltre, se appare opportuna la presenza di una missione di peacekeeping a monitorare e a presidiare l’eventuale tregua e l’auspicabile pace, l’idea ventilata a Parigi che essa sia dell’UE è decisamente errata, dato che tali missioni devono essere condotte non da ex-partecipanti o da ex-sostenitori di una delle due parti (come lo è Bruxelles), ma da terzi come l’OSCE o l’ONU (vedi il caso esemplare dell’Unifil in Libano). L’ipotizzata presenza di una missione di peacekeeping UE è altrettanto rischiosa di quella di un coinvolgimento militare diretto a sconfiggere Mosca.
Non a caso Trump, a fronte di posizioni UE molto azzardate, sta agendo unilateralmente per risolvere gli impegni statunitensi da questa guerra, lasciando gli europei a sbrigarsela da soli, dato che il suo obiettivo vero è confrontarsi con Pechino, suo vero rivale sulla scena internazionale. Non a caso ha subito rivendicato il controllo del Canale di Panama, dove già i cinesi sono presenti e che è un chokepoint geopolitico importante (13.000 navi l’anno, 6% del commercio mondiale), anche dal punto di vista economico (rende 4/5 miliardi di dollari annui per pedaggi e servizi).
Il governo statunitense ha nel suo programma un confronto “muscolare” con la Cina e, quindi, le vicende europee e anche mediorientali (come Gaza/Israele) sono solo d’impaccio per il progetto MAGA Make America Great Again, che rientra nei piani (peraltro contraddittori) di isolazionismo sovranista contemporaneamente al ruolo egemone di superpotenza mondiale/gendarme del mondo di Trump, proponendo con un executive order il 27 gennaio scorso anche uno scudo missilistico per la sicurezza totale degli USA.
Il neopresidente, oltre ai dazi nei confronti dell’UE, tra l’altro, nelle sue pressanti richieste agli europei di aumentare le spese militari, spinge affinché questi fondi siano utilizzati per acquistare armi made in Usa per “ripagare” Washington del dispendioso ombrello protettivo convenzionale e nucleare del Vecchio Continente.
Trump sembra dimenticare che già oggi la UE acquista dagli USA il 63% di tutti gli ordini per la difesa, rimanendo in questo settore il Vecchio Continente dipendente anche tecnologicamente da oltreoceano, come nel caso esemplare degli aerei F35. Tale forte dipendenza tecnologica diventa anche politica, condizionando quindi l’autonomia di Bruxelles, i cui orizzonti non coincidono esattamente con quelli statunitensi, che sono stati sempre quelli di una superpotenza militare mondiale.
Non è casuale che gli Stati Uniti dal secondo dopoguerra abbiano proiettato le proprie forze armate in tutto il mondo, dislocandoli in innumerevoli basi (220.000 uomini e 642 basi in 170 Paesi, secondo uno studio del prof. David Vine dell’American University di Washington del 2021).
Nel nuovo quadro delle relazioni internazionali, caratterizzato dal multipolarismo e dal caos geopolitico, equilibri, certezze e sicurezze vengono meno e le paure possono generare situazioni molto pericolose non solo per gli USA e l’UE, ma anche per il mondo intero, già minacciato dai cambiamenti climatici.
Maurizio Simoncelli è cofondatore e vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD), esperto del mercato delle armi
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