
Diga della Rinascita: Etiopia a caccia di un nuovo protagonismo regionale
Anche la rivista Africa, fondata dai padri bianchi e curata dall’editore Internationalia, pubblica un approfondimento sull’inaugurazione del 9 settembre della mastodontica infrastruttura etiope per la produzione di energia idroelettrica sul Nilo Azzurro, la cosiddetta Diga della Rinascita (GERD-Grand Ethiopian Renaissance Dam). La giornalista Valentina Giulia Milani mette subito in chiaro i nodi problematici della questione: l’autonomia energetica del Paese africano da un lato e la disputa regionale che si gioca intorno alle preziose acque del Nilo Azzurro, che è il principale affluente del più famoso Nilo, al quale fornisce l’80% della portata, e che è di vitale importanza per i Paesi del bacino, Egitto e Sudan.
Celebrare in pompa magna l’inaugurazione di una diga che già era operativa da mesi ha avuto, per il governo etiope guidato dal primo ministro Abiy Ahmed, un significato eminentemente simbolico, spiega la giornalista: «Sancire che l’Etiopia è ormai una potenza energetica, pronta a vendere corrente ai vicini e a riscrivere gli equilibri del fiume più conteso d’Africa».
Vicini tutt’altro che felici, timorosi che questa “rinascita” etiope si consumi principalmente sulla loro pelle: la costruzione del colosso di cemento, tra l’altro, è stata avviata nel 2011, nel pieno della primavera araba in Egitto, quando il potere politico egiziano non si è potuto opporre, affaccendato in ben altre faccende. Eppure, spiega l’articolo, l’Egitto «teme da allora di perdere il controllo sulle acque del Nilo, da cui dipende per il 90% del fabbisogno idrico».
Parecchio scontente anche le comunità locali della regione di Benishangul-Gumuz, che dista solo 15km dal Sudan e ben 700km dalla capitale Addis Abeba. Il governo etiope ha selezionato quella regione, scarsamente abitata, per limitare i danni umani, eppure, «alcuni attivisti hanno però denunciato conseguenze per comunità locali costrette a spostarsi e per la biodiversità del fiume», denuncia Africa. «Per il governo etiope si tratta invece di un sacrificio limitato, compensato da benefici economici e infrastrutturali», legati soprattutto alla realizzazione di un cantiere lungo quasi 15 anni (con città provvisoria, dormitori per migliaia di lavoratori, mense, ospedale, trasporti, servizi, ecc.).
Il cantiere è stato affidato – ovviamente, verrebbe da dire – all’italiana Salini Impregilo (oggi Webuild), leader mondiale del settore, già impiegata dai governi etiopi per la realizzazione di altre tre grandi dighe, le GIBE, realizzate sul corso del fiume Omo, tra le polemiche assurte agli onori delle cronache mondiali per il costo umano e ambientale delle infrastrutture.
Al di là della dimensione del progetto, che mira a raddoppiare e forse triplicare la produzione di energia interna, Addis Abeba intende arrivare ad «esportare energia verso Sudan, Kenya e Gibuti, ma anche a Tanzania, Sud Sudan, Uganda e Ruanda attraverso nuove linee di interconnessione. In prospettiva, l’Etiopia punta a coprire fino al 20% dei consumi dell’Africa orientale e a diventare hub energetico regionale». Anche perché, spiega l’analista, il Paese africano ha mire geopolitiche di una certa importanza nonostante l’assenza di primati importanti su risorse, commercio, infrastrutture, trasporti: «L’elettricità prodotta dalla Gerd diventa così la nuova risorsa strategica: energia da consumare internamente per alimentare industrie e servizi, ma soprattutto da vendere ai Paesi vicini, trasformandola in valuta forte da reinvestire nello sviluppo. Per Addis Abeba, è la chiave per ridurre la dipendenza dalle importazioni e avviare un circuito virtuoso di modernizzazione».
l'articolo si conclude approfondendo le ragioni profonde delle tensioni con Egitto e Sudan, che aprono alla possibilità di ricorsi e ritorsioni.
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