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Caso Diciotti: la posta in gioco

Caso Diciotti: la posta in gioco

 

Il seguente articolo è stato postato dal magistrato Domenico Gallo sul suo sito il 15 marzo 2025

La recente ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione, che ha accolto il ricorso di un profugo eritreo, stabilendo il suo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per essere stato illecitamente trattenuto sulla nave Diciotti nell’agosto del 2018, ha suscitato delle violente reazioni di rigetto da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei due vicepresidenti e del ministro della Giustizia. Meloni ha espresso «sfiducia» nei confronti della Cassazione poiché – a suo dire – decisioni simili non avvicinano i cittadini alle istituzioni, costringendo il governo a spendere malamente, per i migranti illegali, «i soldi dei cittadini che pagano le tasse».

È stato già osservato che si tratta di censure paradossali che delegittimano i principi su cui si fonda lo Stato di diritto, nel quale vige l’autonomia del potere giudiziario, che non può essere assoggettato, nell’esercizio del suo potere di controllo, alle aspettative del governo o delle maggioranze politiche contingenti. Indubbiamente dalle reazioni isteriche dei vertici politici traspare il vizio di fondo di una concezione autoritaria del potere che non accetta lo «scandalo del potere diviso». Tuttavia il vero motivo dell’irritazione con cui è stata accolta la pronuncia della Cassazione attiene al merito della decisione, che non riguarda questioni patrimoniali, né è limitato al tema dell’immigrazione, ma attiene a profili di diritto che hanno grande rilevanza politica.

Le Sezioni Unite con questa importante decisione hanno definitivamente chiarito i confini di un istituto giuridico, «l’atto politico», che spesso ha dato luogo ad incertezze e sbandamenti nella giurisprudenza di merito e, in passato, nella stessa giurisprudenza di legittimità. Nel corso del giudizio l’avvocatura dello Stato aveva sostenuto la tesi che la decisione di vietare lo sbarco dei profughi soccorsi in alto mare, in quanto assunta dal governo nell’esercizio del proprio indirizzo politico, costituisse un «atto politico».

Rientrano in questa categoria, contemplata dal TU delle leggi sul Consiglio di Stato (Regio decreto n. 1054 del 1924), quegli «atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali». Per tali atti non è ammissibile alcuna forma di controllo giurisdizionale. Con l’entrata in vigore della Costituzione, la nozione di «atto politico» si è necessariamente ristretta per divenire compatibile con i principi supremi della Costituzione, fra i quali spicca il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24).

Spetta alla giurisdizione definire i confini dell’atto politico. Su questo fronte talvolta si sono verificati dei fallimenti della giustizia con esiti paradossali, se pensiamo che, con l’Ordinanza n. 8157 del giugno 2002, le Sezioni Unite della Cassazione hanno definito «atto politico» una strage compiuta dalla Nato in cui sono morte 16 persone (il bombardamento della TV serba il 23 aprile 1999). Questo orientamento giurisprudenziale insensato è stato rettificato anche in seguito alle prese di posizione della Corte costituzionale (C.Cost.n.339/2007,81/2012, n.52/2016), tanto che le Sezioni Unite hanno statuito che «l’esistenza di aree sottratte al sindacato giurisdizionale va necessariamente confinata entro limiti rigorosi» (SU n.16305/2013). E tuttavia la definizione di questi limiti rigorosi ha dato luogo ancora a esitazioni e incertezze giurisprudenziali se il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso dei profughi illecitamente trattenuti sulla Diciotti, riconoscendo la natura di «atto politico» alla decisione del Ministro dell’Interno di non consentire lo sbarco.

L’ordinanza delle Sezioni Unite ha rovesciato questa impostazione e con una pronuncia di carattere nomofilattico, ha rigorosamente perimetrato i confini dell’atto politico, in coerenza con altra recente pronuncia delle stesse Sezioni Unite (n.27177/23), statuendo che: «L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati». Questo principio di diritto pone un argine invalicabile alla pulsione di onnipotenza del regime politico attuale (e di quelli futuri). Dopo questa sentenza nessun atto del potere pubblico che incide sui diritti fondamentali potrà essere sottratto al controllo di legalità, come pretendono Meloni e compagni.

Questa pronuncia ha incidenza sulle questioni connesse all’immigrazione, ma riguarda soprattutto i diritti e le libertà di ogni cittadino italiano. Se crollassero le barriere che la Cassazione ha posto all’istituto dell’atto politico sarebbe possibile qualunque abuso del potere politico ai danni dei cittadini italiani.

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