
Abusi documentati e indagini dettagliate
Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 29/03/2025
Qui l'introduzione a questo testo.
Le situazioni di abuso sono state documentate non solo dalle segnalazioni dei fuoriusciti o dei loro familiari, ma anche da report, inchieste e fascicoli aperti sia in Vaticano che nelle gerarchie di movimenti e associazioni ecclesiali nonché da denunce e procedimenti giurisdizionali.
Le vittime raccontano di aver segnalato le situazioni di irregolarità sia nelle comunità di appartenenza sia presso i dicasteri competenti.
Gli abusi documentati sono di carattere patrimoniale, sessuale e psicologico. Per poter raccogliere gli elementi comuni delle diverse segnalazioni sono state condotte indagini sulle testimonianze che hanno analizzato in modo obiettivo i racconti degli ex membri raccolti attraverso questionari, interviste e esperienze pubblicate sui social. Il campione di riferimento è composto da ex membri di diverse nazionalità, o che hanno svolto la loro missione in diversi Paesi del mondo, provenienti da varie esperienze ecclesiali (movimenti, associazioni e congregazioni). Gli abusi rilevati sono identici per tutte le esperienze con differenze solo nelle nomenclature delle strutture o delle modalità di vita spirituale.
La composizione variegata del campione per nazionalità, età, situazione sociale e professionale e assenza di contatti tra le persone intervistate, che non si conoscevano precedentemente al periodo dell’indagine, permette di ritenere attendibili le testimonianze.
Per tutti sono emerse diverse problematiche psicofisiche (depressione, crisi psicotiche, istinti suicidari) causate dall’adesione alle proposte di vita delle esperienze ecclesiali, che hanno comportato la necessità di sostenere percorsi di psicoterapia o che in alcuni casi hanno inabilitato la vita sociale.
Purtroppo le denunce tardive dell’esperienza fatta, dovute all’isolamento generato attorno ai fuoriusciti e alle minacce spirituali rivolte loro, motivate da fragilità, debolezza o problemi psicologici, non permette per la maggior parte delle vittime di adire le vie legali a causa della prescrizione1. È comunque importante invitare tutti a segnalare e denunciare le irregolarità e gli illeciti osservati nell’esperienza di fede vissuta, per chi ancora si trova imprigionato, per chi deve rielaborare il percorso, ma si sente solo, per chi può ancora rivolgersi al tribunale per intentare una causa, in modo da riprendere in mano la propria vita e recuperare equilibrio e serenità.
Abusi patrimoniali
Dall’indagine condotta emerge che nelle strutture dei movimenti e delle congregazioni i consacrati lavorano a tempo pieno per le attività di gestione e organizzazione dei Centri spirituali o di formazione, svolgendo mansioni che rientrano a pieno titolo in una condizione di lavoro dipendente, che tuttavia non è regolata da nessun tipo di contratto, ma è considerata, in modo improprio, “volontariato”, ricevendo, in cambio del lavoro svolto, solamente vitto e alloggio. Nella maggior parte dei casi l’orario di lavoro supera l’orario settimanale ordinario consentito dalla normativa, senza prevedere momenti di riposo giornaliero e settimanale adeguato alle effettive esigenze di salute. La gestione delle mansioni lavorative sembra – nella maggior parte dei casi – non rispettosa dei diritti del lavoro, generando situazioni di stress e di salute compromessa. Non essendo previsto un regolare contratto di lavoro, non è disposta alcuna copertura assicurativa per gli infortuni di lavoro né tutela in caso di cessazione dell’attività.
Il “lavoro per Dio”, quindi, sembra configurarsi come lavoro “irregolare”, che priva il lavoratore dei suoi diritti sociali, quali la disoccupazione o la pensione, poiché per usufruirne è necessario versare i contributi richiesti.
Per questo motivo molti consacrati, che lavorano per le strutture di queste Opere per diversi anni senza contratto di lavoro, si ritrovano, una volta usciti, senza risorse per ricominciare una nuova vita e senza contributi per ottenere una pensione adeguata.
I consacrati che invece offrono la propria prestazione lavorativa presso imprese esterne all’Opera sono obbligati a donare l’intero stipendio alle casse comuni, senza che sia regolamentata tuttavia una modalità di gestione democratica all’interno della comunità delle risorse conferite da tutti.
Non è prevista la possibilità di scegliere liberamente la propria attività professionale, che viene imposta dai vertici o dai superiori senza tener conto delle preferenze espresse dagli interessati o senza seguire il percorso di studi svolto nel progetto di inserimento lavorativo.
In un limitatissimo numero di casi viene concesso, in seguito alla fuoriuscita dei membri, un aiuto economico in forma di donazione o prestito da restituire, ma in nessun caso tale importo si dimostra proporzionato all’apporto conferito durante la permanenza nel percorso di appartenenza.
I consacrati usciti dalle comunità dichiarano di essere isolati dai conoscenti o dagli amici dell’Opera, inoltre non possono recuperare le risorse che hanno donato, perché in genere non è previsto dall’organizzazione regolamentata negli statuti, documenti su cui non sempre è offerta un’adeguata formazione durante i percorsi di discernimento.
Le testimonianze dichiarano che non viene illustrata né prevista una modalità specifica di sostentamento per chi si allontana, ma solo un generico supporto economico temporaneo con corresponsione di denaro limitata, la cui valutazione è stabilita discrezionalmente dai responsabili senza un criterio equo, oggettivo e condiviso. La mancanza di sostegno economico proporzionato a quanto donato genera situazioni di disagio e di isolamento sociale.
Le situazioni emerse pertanto dall’indagine sono di due tipi, da una parte i consacrati che svolgono attività di lavoro per l’Opera, vengono ricompensati solo con vitto e alloggio e non viene prevista la corresponsione di contributi previdenziali a fini pensionistici, né forme di assicurazione per gli infortuni sul lavoro, dall’altra i consacrati che svolgono attività professionali con regolare contratto di lavoro, per esempio presso un ufficio, una scuola, un’impresa, donano completamente il proprio stipendio all’Opera in modo obbligatorio, senza possibilità di costituire un proprio reddito autonomo e senza poter decidere democraticamente all’interno del gruppo di riferimento la destinazione delle risorse che tuttavia hanno contribuito a produrre con il proprio apporto lavorativo.
Dall’indagine condotta sono stati rilevati anche abusi patrimoniali relativi alla gestione autonoma del reddito, alle donazioni e agli atti di liberalità. I membri non consacrati vengono sollecitati a tutti i livelli a donare costantemente denaro per gli scopi dell’Opera, senza tuttavia poter visionare una rendicontazione delle donazioni attraverso un bilancio condiviso e approvato democraticamente. La destinazione delle risorse spesso non è valutata con procedimenti deliberativi condivisi e democratici.
I consacrati sposati o gli aderenti che donano beni o soldi all’Opera privano i loro familiari del benessere psicologico e di opportunità equilibrate e serene di crescita personale.
I membri consacrati non possono gestire autonomamente il denaro, tranne che per quantitativi limitatissimi per piccole emergenze della vita quotidiana; ciò impedisce di vivere in modo libero la propria vita in evidente violazione del diritto di autodeterminazione. In alcuni casi le spese mediche per malattie fisiche, per la psicoterapia o le spese per corsi di formazione non sono sostenute dalla comunità di vita consacrata, ma dai familiari, su richiesta esplicita dei superiori. Non è prevista la possibilità di scegliere quali spese sostenere per beni o servizi dedicati alla persona (vestiti, regali ai familiari/amici, prodotti per la casa o per la persona, ecc.); In molti casi il denaro raccolto va ad incrementare le casse dell’Opera e non sempre viene utilizzato per scopi umanitari e evangelici.
I membri a tutti i livelli di adesione sono incalzati a donare continuamente denaro destinato ad incrementare le casse dell’Opera per l’acquisto di beni immobili e mobili a favore delle attività realizzate. Spesso non vengono rilasciate ricevute né previste rendicontazioni dei soldi donati per la maggior parte degli intervistati. I membri non sempre sono a conoscenza della situazione economica e patrimoniale (es. proprietà degli immobili, soldi inviati al centro, bilancio, struttura giuridica dell’Opera, assicurazioni);
Dal punto di vista fiscale si sono riscontrate modalità irregolari di passaggio del denaro tra i membri sia per le donazioni che per il pagamento di prodotti o servizi per le attività dell’opera.
Abusi psicologici
I fuoriusciti dai movimenti ecclesiali e dalle congregazioni religiose hanno subito danni morali a causa degli abusi psicologici e danni fisiologici a causa del ritmo di vita particolarmente stressante, per questo motivo molti di loro hanno dovuto seguire percorsi psicoterapeutici a pagamento, in molti casi condotti da specialisti aderenti ai movimenti stessi che non hanno rilasciato ricevuta per la prestazione offerta. Molti dichiarano di vivere ancora situazioni di stress o di difficoltà emotive legate in modo chiaro e inequivocabile all’esperienza spirituale vissuta. I familiari di ex membri (figli, fratelli, genitori) hanno subìto danni morali dovuti o allo stile di vita, ispirato ai carismi, o ai valori educativi imposti dai genitori aderenti.
Molti ex consacrati non hanno seguito un adeguato cammino di discernimento finalizzato alla scelta della consacrazione, perché nei percorsi di formazione alla vita consacrata non sempre viene prevista una formazione di carattere psicologico o un’equilibrata valutazione personale che porterebbe, laddove attuata, alla piena realizzazione della persona.
Per i consacrati sposati le promesse vincolano i membri verso le comunità di appartenenza, condizionando anche le scelte personali, familiari ed economiche con eccessiva ingerenza da parte dei superiori nella vita della famiglia e con evidenti ricadute negative anche sui familiari non appartenenti all’Opera.
Spesso i membri non sono a conoscenza della normativa specifica statutaria, che non viene resa pubblica o comunicata in modo trasparente sia per la fase di appartenenza che per la fase di fuoriuscita, in modo da poter prevedere una valutazione consapevole nella scelta di adesione, per esempio non viene prevista la possibilità di un sostegno economico e di un aiuto nella ricerca di una nuova strada o di un nuovo lavoro in caso di fuoriuscita e la gestione economica delle risorse viene considerata secondaria rispetto alla totale donazione del consacrato. Gli statuti o i regolamenti non sono conosciuti da tutti; i contenuti normativi e l’organizzazione della struttura spesso infatti non sono oggetto del percorso formativo. In molti casi nel momento della dimissione non viene prevista una formalizzazione dell’allontanamento né disposizioni specifiche in caso di fuoriuscita per il sostentamento economico e psicologico. Pertanto moltissime persone non hanno ricevuto nessun aiuto e si sono così trovate in situazioni poco dignitose e/o di indigenza dal punto di vista economico e psicofisico.
In alcune opere i consacrati sono obbligati a rendicontare ai superiori le spese sostenute, gli spostamenti, le azioni della vita quotidiana, riferite anche alle informazioni su dati sensibili quali la salute o gli orientamenti sessuali. Sono inoltre costretti a disporre lasciti testamentari, eredità o legati in favore dell’opera, rendendo così le disposizioni testamentarie frutto di condizionamento o addirittura di violenza psicologica.
In molti casi non è possibile scegliere la propria professione per seguire le indicazioni dei superiori stabilite in base alle necessità dell’opera e non ai desideri e alle inclinazioni degli interessati. Viene impedito di coltivare le proprie relazioni amicali e di essere vicini ai propri familiari in caso di difficoltà. Per chi viene inviato in luoghi lontani dalla propria famiglia non viene data la possibilità economica di far visita ai propri parenti. La rinuncia alla famiglia è sostenuta dal valore evangelico espresso nel vangelo di Matteo al capitolo 10 e di Luca al capitolo 142. Molti raccontano di aver dovuto annullare la propria personalità e perdere le proprie idee per aderire completamente ai valori del carisma espressi dal superiore o dagli scritti del fondatore.
Il condizionamento psicologico ed emotivo impedisce di agire in condizione di autodeterminazione o porta ad accettare comportamenti inaccettabili, ma necessari per restare affiliati alle comunità religiose. Tale privazione della libertà è indotta dalla manipolazione affettiva e dalle minacce spirituali e psicologiche.
Le umiliazioni e le correzioni ricevute in caso di mancato rispetto delle regole religiose o organizzative sono considerate correzione fraterna3. Le vittime riferiscono di pratiche ricorrenti nella vita comunitaria quali intimidazioni di ricevere la dannazione eterna nel caso in cui non venga accetto il comando del superiore che esprime la volontà di Dio, o nel caso in cui si voglia abbandonare l’organizzazione religiosa, punizioni spirituali o corporali anche attraverso pratiche di penitenza (per esempio cilicio, disciplina, doccia fredda), repressione di ogni istinto umano affettivo o sessuali, privazione di oggetti necessari al naturale benessere delle persone. Il percorso di direzione spirituale, attuato da sacerdoti o consacrati che spesso non hanno esperienze in ambito psicologico o pedagogico, richiedono di annullare completamente la propria coscienza e il proprio io, impedendo di esprimere liberamente valutazioni sulle proprie scelte di vita e realizzando quello ciò che viene definita come commistione tra foro interno e foro esterno4.
Molto spesso le regole imposte risultano intollerabili e impediscono un sereno sviluppo psichico e fisico, portando all’annullamento della personalità, al timore di esternare le proprie difficoltà relative al cammino di vita abbracciato, a gravi crisi di coscienza e di dissociazione dell’io financo a crolli depressivi o psicotici che in alcuni casi inducono a istinti suicidari. Sono documentati infatti casi di suicidio, che tuttavia non sono stati adeguatamente indagati dalle comunità di appartenenza, ma piuttosto relegati a problemi personali originari e non indotti.
I percorsi di direzione spirituale e la confessione sacramentale spesso non sono orientati al bene della persona, ma si realizzano in un clima opprimente che genera esasperazione e fragilità emotive, limitando la volontà e la libertà di azione. In molti casi, soprattutto per i consacrati, per lo svolgimento di qualsiasi attività infatti è necessario chiedere il permesso al superiore, per esempio per prendere l’auto, per vedere la televisione, per leggere un libro, per fare acquisti anche di beni di prima necessità.
La totale privazione della volontà è causata da vessazioni psicologiche oltre che dalla mancanza di disponibilità di mezzi di sussistenza e di beni necessari ad una conduzione di vita autonoma (telefono, televisione, automobile, denaro, libri, ecc.). Queste pratiche religiose nella maggior parte dei casi non sono proposte, ma imposte come condizione indispensabile per auto educarsi alla sottomissione a Dio e ai superiori e si ritrovano anche nelle regole o negli statuti.
Abusi sessuali
Gli abusi sessuali si sono verificati sia su religiose che su minori. Tali abusi sono il naturale risvolto dell’abuso di coscienza e di potere che i sacerdoti o i superiori esercitano nei confronti dei sottomessi.
Dalle testimonianze raccolte emerge che la problematica degli abusi è estesa in diverse parti del mondo, lasciando gravi traumi su persone sottomesse, a causa del voto di obbedienza, a chi, in virtù di un potere spirituale, ha approfittato della loro debolezza o della loro docilità5.
Le testimonianze ascoltate da parte dei consacrati riferiscono di una totale mancanza di equilibrio nella gestione della sessualità, che genera quindi rapporti immaturi e privi di consapevolezza e di attenzione alla sensibilità dell’altro. La sessualità non è affrontata come naturale bisogno dell’individuo e tutti gli istinti affettivi vengono repressi come tentazione del maligno.
La visione clericale, patriarcale e maschilista della Chiesa, che considera i sacerdoti in una posizione di superiorità, impedisce di considerare il modo di essere della donna, sia fisico che psicologico, e di relazionarsi in modo rispettoso nei confronti dei minori. Considerare il sesso un tema tabù e vietare ai membri di parlarne o di valutarlo come esperienza positiva nell’espressione del proprio modo di essere genera in alcune persone un’attenzione ossessiva a esso che causa poi l’abuso sessuale. Mancano percorsi psicologici e formativi che affrontino il tema dell’affettività e delle relazioni interpersonali, per aiutare una crescita equilibrata rispetto alla sessualità.
Questo problema è stato riportato anche dai figli di coppie che aderiscono a questi percorsi spirituali e che fanno la scelta della consacrazione a Dio nel matrimonio. L’educazione dei figli infatti per queste coppie è completamente informata dei valori del percorso spirituale a cui si aderisce.
Discriminazioni di genere
La modalità di gestione del potere all’interno della Chiesa e il clericalismo generano l’emarginazione della donna in un atteggiamento di sessismo e di discriminazione di genere che non può essere espressione dell’universalità del messaggio evangelico. Nella cultura patriarcale del nostro Paese questa prospettiva è sempre stata accettata anche dalle donne e addirittura assunta nelle strutture gerarchiche persino nelle comunità femminili.
Le donne non possono amministrare i sacramenti né ricoprire ruoli di potere. Le strutture di vertice sono interamente maschili. Le donne consacrate svolgono ruoli secondari o di servizio e non sono ammesse all’interno delle strutture decisionali.
Con i cambiamenti culturali oggi questa situazione è mal sopportata dalle donne, come da moltissimi fedeli, e viene rivendicata l’uguaglianza e la parità di genere attraverso organizzazioni cattoliche che si sono mobilitate per fare pensiero su queste tematiche6 e per chiedere, attraverso azioni di sensibilizzazione e di denuncia, il riconoscimento della donna nella vita della Chiesa. Impedire alla donna il sacerdozio e l’accesso ai livelli decisionali più alti rende poco credibili i cambiamenti avvenuti recentemente relativi all’accesso alle donne ad alcune cariche nei dicasteri vaticani o nel percorso sinodale. Sembrano infatti deboli tentativi che non portano all’attuazione della piena integrazione e parità.
Non si può accettare questa situazione, sapendo che si realizza in evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione e che mina la struttura sociale e giuridica fondata sul rispetto dei diritti umani.
Mancano i dati reali
A causa del silenzio delle vittime mancano i dati reali del fenomeno degli abusi, che quindi risulta molto più consistente in termini numerici rispetto alle effettive segnalazioni avvenute. Gli intervistati parlano di molte altre persone che sanno essere uscite dai percorsi spirituali dei Movimenti, ma che non hanno avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente la loro fuoriuscita.
Gli ex consacrati dei movimenti ecclesiali desiderano lasciarsi alle spalle il dolore vissuto o vivono un sentimento di vergogna o soggezione rispetto all’Opera.
I minori abusati non denunciano per timore delle conseguenze da parte degli abusatori, per la convinzione di aver provocato l’abuso con la loro condotta, per la vergogna di essere stati ingenui o fragili, per il timore di ritorsioni da parte dei movimenti o delle congregazioni, che in diversi casi hanno un grande potere economico o politico all’interno della Chiesa.
Molte vittime, che sono ancora all’interno non si espongono, perché temono di essere abbandonate dall’Opera e non sono nella condizione economica e umana di ricostruirsi autonomamente una vita. Si trovano così imprigionate nel sistema. Per le religiose abusate il silenzio è dovuto alla vergogna di aver infranto il voto di castità e di obbedienza, quando viene rivolta loro la richiesta di non parlare con nessuno di quanto si è vissuto, o per il timore dello spergiuro, perché la denuncia di un sacerdote equivale a un’offesa della Chiesa come istituzione e come espressione della volontà di Dio per l’umanità.
Gli abusi patrimoniali sono dovuti alla convinzione che l’esperienza religiosa richiede totale abnegazione ed è normale, in virtù del voto di povertà, donare tutti propri beni alla congregazione o al movimento e vivere senza nulla.
Gli abusi di potere si generano invece dal voto di obbedienza e vengono considerati come imposizioni tipiche della vita religiosa presenti sia in antiche e venerabili regole monastiche sia nei regolamenti delle nuove comunità espressione di un’impostazione rigorosa della vita religiosa.
Le vittime poi vengono zittite e considerate persone fragili o inclini ad attribuire agli altri la causa della loro sofferenza o peggio contestatrici del sistema costituito dal carisma e mosse nell’azione di contestazione dal demonio7. Nella maggior parte dei casi vengono allontanate duramente o senza spiegazioni, quasi in un’azione di epurazione degna delle peggiori dittature.
Si tratta quindi di un fenomeno che assume la consistenza di un’emergenza sociale diffusa. Conseguenze di questa sofferenza sono sintomi ansiosi, depressivi, psicotici, dissociativi, crisi di coscienza, allontanamento dalla fede, disturbi del comportamento alimentare, istinti suicidari. Queste crisi avvengono nella totale indifferenza da parte dei superiori e dell’istituzione, abbandonando i membri, senza supporto economico, affettivo e psicologico.
Un vescovo, a cui è stato presentato il problema degli abusi patrimoniali, ha affermato che la vita comunitaria non può prevedere una remunerazione o un reddito, altrimenti non sarebbe più una scelta religiosa e che, in caso di difficoltà economica, è possibile rivolgersi alla Caritas.
Chi si è rivolto ai dicasteri della Chiesa Cattolica o agli uffici delle Conferenze episcopali non ha ricevuto risposte né indicazioni finalizzare a una concreta risoluzione del problema8. Le vittime vengono invitate a voltare pagina, ad abbandonarsi alla volontà di Dio, a vivere le prove in spirito di sacrificio unendole al sacrificio di Cristo, a perdonare. Viene sempre sottolineata la bellezza delle opere di Dio rimane nonostante gli errori umani. Chi denuncia è considerato satana, che fa vedere problematiche reali, ma solo perché, essendo un angelo di luce, vuole mettere divisione all’interno della comunità. Qualcuno tra i vertici dei movimenti parla di cultura del sospetto. Chi denuncia è isolato dal resto della comunità e resta solo.
In molti casi anche laddove ci sono state denunce per abusi sessuali sono state archiviate per mancanza di prove o sono state insabbiate dai vertici della Chiesa, che spesso ha comprato il silenzio delle vittime. Per molti degli abusi conosciuti in Vaticano, si è provveduto solo a comminare sanzioni interne o spostamenti dei colpevoli da una comunità all’altra, senza far intervenire la giustizia umana con denunce e procedimenti. Per questo gli abusatori agiscono impuniti senza che le gerarchie vaticane intervengano e soprattutto risolvano il problema con soluzioni efficaci che prevedano anche la modifica delle strutture.
I crimini cadono in prescrizione o non sono considerati crimini. I vertici dei movimenti, delle congregazioni e i dicasteri vaticani non contattano mai direttamente le persone abusate, si limitano a inviare avvisi di ricevimento delle segnalazioni oppure a inviare lettere di scuse o di espressione di sterile solidarietà.
Le sanzioni non sono mai abbastanza severe per dissuadere la prosecuzione delle condotte di abuso messe in atto. E alla fine il sacramento della confessione permette di cancellare i peccati.
Ma questa procedura ecclesiale denunciata dalle vittime e dai fatti di cronaca può essere conforme ai valori evangelici? Se anche lo fosse, andrebbe bene se applicata tra le mura del Vaticano, ma non su suolo italiano o di altro stato di diritto, perché va contro ai valori del nostro ordinamento giuridico.
Se la Chiesa non agisce attraverso un cambiamento del diritto canonico o attraverso un controllo delle regole delle congregazioni religiose e dei movimenti, è bene farsi giustizia da soli con modalità democratiche e ammesse dalle norme, che devono essere conosciute dai fedeli prima di approcciarsi a qualsiasi percorso religioso, e che qui ricordiamo come forme di tutela contro gli abusi della Chiesa. La Costituzione è il libro sacro dei cittadini italiani e ad essa si uniformano tutte le norme dell’ordinamento giuridico.
Note
1. Periodo di tempo indicato dalla legge entro il quale una persona deve far valere un proprio diritto.
2. «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26); «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Mt 10, 34-37).
3. Mt 18, 15-20.
4. Presentazione della nota sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale (29 giugno 2019).
5. Eric Quintin e Marie-Pierre Raimbault, “Abusi sessuali sulle suore: l’altro scandalo della Chiesa”, Francia, 2017. Lucetta Scaraffia, Anna Foa, Franca Giansoldati, Agnus dei, gli abusi sessuali del clero in Italia, Solferino, Milano, 2022.
6. Per esempio Catholic Women's Council, Donne per la Chiesa, Voices of Faith.
7. Espressioni ricavate dalle testimonianze delle vittime che riportano i giudizi espressi su di loro dai superiori o dai vertici dei movimenti o delle congregazioni.
8. Le segnalazioni sono documentate.
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