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Per capire le Scritture. Dal linguaggio teocratico al linguaggio secolare

Per capire le Scritture. Dal linguaggio teocratico al linguaggio secolare

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 05/04/2025

Ma intanto il mondo cambia (Ventura Edizioni, 12€), sulla falsa riga di Galilei: «Eppur si muove», una frase semplice, ma ha cambiato il mondo, dal sistema tolemaico al sistema copernicano è il mio ultimo libro sul tema del cambiamento nella Chiesa. Non siamo al passo con la storia e la scienza. Il problema di fondo è la trasposizione del messaggio evangelico dal linguaggio teocratico dei secoli passati al linguaggio secolare dei nostri giorni. Il libro affronta vari problemi, l’unità del contenuto sta nella prospettiva di fondo verso un progetto alternativo dell’esperienza religiosa.

Gesù sacerdote. Lo stile della vita di Gesù non è sacerdotale, ma laico. Sto scorrendo con la mente i vari episodi della vita di Gesù narrati nei vangeli per vedere se ce ne sia qualcuno in cui Gesù si è comportato come sacerdote. Non sono capace di trovarne nemmeno uno, persino nel momento della preghiera. Non va al tempio, ma cerca il silenzio e l’immensità della natura, questo è il luogo più opportuno per dialogare con Dio. Non usa mai il termine sacerdote per indicare i suoi, ma solo per quelli del tempio, sempre giudicati negativamente. «i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli» (Mt 21,31). È uno scherzo di cattivo gusto qualificarlo con un termine che lui reputa negativo.

Sacrificio espiatorio. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv. 3, 16). Chiedo se qualcuno, ai nostri tempi, ha mai inteso dire che un padre ha mandato il figlio a morire d’una morte feroce come la croce per salvare gli amici. Chiedo ancora: se per caso qualcuno venisse a sapere che esiste un simile padre lo ammirerebbe per la generosità, o piuttosto lo denuncerebbe alla forza pubblica per chiuderlo in carcere perché disumano e pericoloso? Aggiungo una precisazione non secondaria. Questo padre chiede al figlio un sacrificio cruento e crudele non direttamente per gli amici, ma per sé, come riparazione a una offesa ricevuta. Riparata l’offesa, allora si può mostrare misericordioso verso gli uomini, altrimenti avrebbe dovuto destinarli inesorabilmente all’eterna dannazione caratterizzata dalle pene più atroci e inestinguibili (l’umanità come massa damnatorum). Assurdo raffigurarsi Dio in questa maniera. Il sacrificio espiatorio non ci rivela il volto di Dio, ma è l’orizzonte culturale, il linguaggio di una umanità ancora sepolta nella ferocia della barbarie, teocratica e patriarcale.

Senza spargimento di sangue non c’è remissione dei peccati (Lettera agli Ebrei 9,22). Questo non è Dio, la retta ragione non può pensare Dio in questa maniera. Gesù ci ha rivelato un volto di Dio totalmente diverso: è padre amoroso che lascia libero il figlio di volgergli le spalle, ma ne attende il ritorno, gli corre incontro quando lo vede spuntare all’orizzonte, non lo sottopone al giudizio di un tribunale, né gli chiede un sacrificio espiatorio, ma lo abbraccia e lo reintegra nella sua dignità. Con lo stesso senso nel vangelo la parola sacrificio ricorre in una frase ripetuta due volte riprendendo il pensiero del profeta Osea: «Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 9,12).

Peccato originale. L’espressione peccato originale non si trova mai nel Nuovo Testamento. Non ne possiamo parlare perché non conosciamo l’origine. Abbiamo sempre creduto a questa verità, il peccato di Adamo, perché è all’origine dell’umanità e tutta la invade. Il testo della genesi che racconta la vicenda di Adamo ed Eva oggi viene letto in maniera diversa, non è la narrazione di un evento storico, ma esprime la preoccupazione della situazione morale dell’umanità.

Battesimo. Nel battesimo l’orientamento della vita è scopo primario, il perdono dei peccati una sua conseguenza, ciò è chiaramente espresso nella narrazione evangelica. Giovanni Battista «battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mar 1,5). Gi evangelisti Matteo e Luca ribadiscono il primato della conversione (Lc 3,3) nel battesimo e talora persino omettono il richiamo al perdono dei peccati.

Celibato. Scoppiano le contraddizioni, ma nulla si muove. Ai tempi dell’ordinazione (1961) i cosiddetti padri educatori mi hanno spinto a pronunciare il voto di castità per esprimere tutto il valore del celibato. Per il mio innato senso critico non ho accettato. Ancora all’incarico di parroco mi è stato richiesto il giuramento di fedeltà al celibato e mi son rifiutato di giurare per qualunque cosa secondo lo spirito evangelico; ogni anno alla Messa Crismatis si ripete la promessa di fedeltà al celibato, tutti in coro, alla maniera della truppa militare. C’è poi tutto un orizzonte culturale affine, dalle prediche del seminario a quelle degli esercizi spirituali di ogni anno, con pittoresche descrizioni delle indicibili sofferenze dell’inferno per gli impudichi, specie se preti. Dopo tutto questo discorso e la sua triste storia oggi, leggo un’intervista di papa Francesco al giornalista Daniel Hadad del portale argentino Infobae: «Il celibato nella Chiesa occidentale è una prescrizione temporanea» perciò può essere rivisto. Ultimamente una piccola aggiunta: l’astensione non è di per sé virtù.

Ma allora dove si fondava tanto zelo delle ispirate guide spirituali? Forse sulla loro squilibrata coscienza fatta di sessuofobia e di sadismo: incapaci di viver la gioia della vita, hanno cercato di toglierla agli altri (Nietzsche). Questo mette in crisi la credibilità dell’istituzione. Mi sento devastato, anche se ora posso gridare che avevo ragione con le mie critiche.

Da Dio all’uomo. La conoscenza di Dio si rivela nella penombra dell’alba o del crepuscolo, mai raggiunge la solarità meridiana tanto da fugare ogni dubbio, né precipita nell’oscurità della notte che tutto nasconde tanto da non far sorgere inquietanti domande. Dopo che sulla piazza del mercato il pazzo ha annunciato la morte di dio (Nietzsche) l’uomo moderno cammina nel deserto, senza traccia di sentiero, senza meta, solo, portandosi sulle spalle il cadavere del vecchio dio: cadavere, perché dove troppo si parla di lui è solo un rudere del passato, mentre è inquietante dove lo si vuol cancellare. Indifferenti sono solo gli uomini che brulicano nel supermercato «quorum deus venter est». «Dio non l’ha mai visto nessuno», dice l’evangelista Giovanni, ce lo ha rivelato Gesù nella sua dimensione umana, di persona che nasce in una stalla, vive tra la povera gente curando la sofferenza fisica e annunciando una parola che apre un orizzonte di speranza, muore tra i reietti della società. Gesù ci presenta Dio come padre.

Questo richiamo ha la sua radice più profonda nella coscienza dell’uomo ogni volta che pone la domanda di senso del vivere quotidiano, di se stesso, dell’universo in cui si trova immerso. L’uomo non può essere definito una volta per sempre, prende coscienza di sé progressivamente mentre costruisce la propria identità e lavora per dominare il mondo. L’uomo si caratterizza per la capacità di trascendere se stesso all’infinito.

Il ruolo della donna. In questo contesto diventa sempre più assurda l’esclusione della donna dal ruolo di presbitero. E comprensibile una certa difficoltà di realizzazione, ma per noi educati alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo (1948) è inderogabile l’affermazione di principio dell’uguaglianza tra uomo e donna anche nella vita della Chiesa. Oltre questa linea sta l’oscurantismo e il pregiudizio. 

Vittorio Mencucci è prete della diocesi di Senigallia, teologo di frontiera e saggista. Ha appena pubblicato sugli stessi temi oggetto del suo intervento Ma intanto il mondo cambia, eppur si muove! Invito al confronto e al dialogo, Ventura edizioni, pp. 162, euro 12. Ha scritto: “Perché cambiare. Ripensare l’uguaglianza originaria dei battezzati nella comunità (il Pozzo di Giacobbe, 2021)

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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