Nessun articolo nel carrello

Alberto Melloni:

Alberto Melloni: "Il doppio pontificato di Papa Francesco"

Con il titolo "Papa Francesco, il primo pontefice del Sud globale, il day focus dell’ISPI (Istituto per gli Studi di politica internazionale) oggi è ampiamente dedicato alla figura del pontefice, scomparso questa mattina. Il commento che quotidianamente aggiunge è firmato da Alberto Melloni, della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII. Lo riproduciamo di seguito.

Il doppio pontificato di papa Francesco

di Alberto Melloni 

Ci sono stati due Francesco sul piano temporale. Un primo pontificato è durato dal marzo 2013 alla fine di dicembre 2022, quando è morto papa Ratzinger. L’altro è quello che ha occupato gli anni finali del suo pontificato e della sua vita.

Quello che si è chiuso è un pontificato “diviso” in due su molti piani: tant’è che anziché applicare in modo sbilenco la formula dei “due papi” alla convivenza fra papa Bergoglio e papa Ratzinger, quella formula potrebbe essere assai più pertinentemente usata per i due Francesco che si sono palesati su più piani e che hanno disegnato per coppie due pontificati molto diversi fra di loro, la cui azione ha prodotto una solitudine profondissima, istituzionale e personale, vissuta dal pontefice gesuita con un coraggio da eroe di guerra e con conseguenze sulla Chiesa non facili da inventariare e recuperare.

Ci sono stati due Francesco sul piano temporale. Un primo pontificato di Francesco è durato dal marzo 2013 alla fine di dicembre 2022, quando è morto papa Ratzinger. L’altro, quello che ha occupato gli anni finali del suo pontificato e della sua vita.

a) Nel primo tempo del suo pontificato Francesco ha inciso molto energicamente sul protocollo, sul cerimoniale, sulla disciplina, sulla prassi: ma con una invisibile cautela, quasi che guardando al suo predecessore, papa Bergoglio percepisse una linea da non varcare. Mai Benedetto XVI ha dato segno, né direttamente né indirettamente, di spalleggiare il boicottaggio antibergogliano di qualche segmento ultraconservatore della chiesa: ma per papa Francesco ha come percepito tramite lui un limite che non doveva superare anche quando la sua opinione era diversa o la si presumeva diversa. Si prenda il caso dell’ordinazione di uomini sposati a presbitero, che tutti attendevano dopo il sinodo sull’Amazzonia e che Bergoglio non ha concesso, semplicemente perché non ha mai letto nell’ammissione disposta da una legge ratzingeriana di preti sposati nella Chiesa, purché anglicani, la rottura di un tabù che il papa argentino ha creduto vigente.

b) Nel secondo segmento del suo pontificato Francesco è stato molto più disinvolto e ha compiuto scelte molto più personali e noncuranti dei sed contra: fra le quali spicca la nomina del teologo “Tucho” Fernandes a prefetto del dicastero per la dottrina della fede e la sua subitanea elevazione a cardinale; a questo porporato (che ha preso il posto che fu del cardinale Ratzinger) si devono atti molto distanti fra loro come le norme per la benedizione dell’amore fra persone dello stesso sesso o la reiterata condanna della “teoria del gender”, immaginata come unitaria, senza capire che una di quelle teorie opera nella soteriologia cristiana, se il corpo maschile del Verbo incarnato morto e risorto salva ogni maschio e ogni femmina.

Questa successione ha fatto sì che, se nella prima parte solo un piccolo arcipelago di ultraconservatorismo eccitato ha aggredito nientemeno che l’ortodossia del papa, suscitando ilarità e compatimento, nella seconda parte è cresciuto il numero di vescovi che nella più piena devozione e obbedienza non sono più riusciti a capire la rotta di Francesco.

Papa Bergoglio, allo stesso tempo, s’è presentato al popolo fedele e all’opinione pubblica in due vesti di diseguale visibilità e leggibilità.

a) C’è stato infatti un Francesco del pulpito: uomo di una freschezza evangelica assoluta; tutti hanno percepito qualcosa di eloquente nel suo modo di predicare, nella credibilità dei suoi gesti, nella radicalità della sua rinuncia al cerimoniale del monarcato pontificio, e molti ne sono rimasti incantati e molti commossi, perché una Chiesa apparsa tante volte matrigna riprendeva un volto materno e fraterno.

b) Tutto diverso il Francesco del trono, quello che ha governato con una verticalità che non si vedeva da oltre un secolo: un pastore della chiesa universale che usa la giurisdizione che il diritto canonico gli riconosce anche a livelli minutissimi, si appropria delle mansioni della curia, sceglie i vescovi delle diocesi grandi e piccole, non di rado perfino gli ausiliari, suscitando non solo sorpresa, ma talora anche allergie e sconcerto. Quasi tutti i collaboratori più diretti hanno dovuto far buon viso a decisioni prese senza nemmeno informarli e recedere sulla base di disposizioni che più d’una volta sono state prese senza una istruttoria completa o soddisfacente. Che ciò sia dipeso da una cultura politica peronista o dall’uso del superiore gesuita che ascolta tutti e decide da sé, è questione non facilissima da dipanare: ma ha fatto sì che, pur avendo Francesco promosso persone di caratura non sempre eccelsa a posti di altissima responsabilità, alla fine non abbia avuto la riconoscenza di nessuno.

Non ultima va sottolineata la distanza fra il ruolo del romano pontefice e del sovrano della Città del Vaticano.

a) Per riformare il governo della Curia romana, papa Francesco ha dissotterrato una distinzione medievale fra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione: scavalcata dal Concilio Vaticano II e dalla sua adozione della teologia dei tria munera dei vescovi, questa anticaglia giuridica gli ha permesso di affidare anche a donne ruoli e poteri nella Curia romana, dicendosi e dicendo che ciò permetteva al papa di delegare chi voleva a svolgere funzioni nelle quali le potestà supreme del romano pontefice vengono devolute a figure che non è necessario siano rivestite della grazia dell’episcopato (nonostante le affermazioni del Vaticano II).

b) Dall’altra parte, in una revisione della costituzione della Città del Vaticano, ha inserito una frase che fa risalire al munus petrinum (cioè all’autorità conferita a Pietro) le funzioni di capo di Stato e l’esercizio del potere esecutivo, legislativo e giudiziario che per tradizione appartengono al papa-re. Tesi mai sostenuta da nessuno dei suoi predecessori; così come nessuno dei papi che hanno regnato dopo la fine del potere temporale nel 1870 e dopo la stipula del concordato, ha mai fatto davvero uso della vera sovranità sulla Città del Vaticano per governare e punire i suoi sudditi, come è invece accaduto con Francesco. Se infatti il “processo” al maggiordomo infedele di Benedetto XVI e ai giornalisti che comperavano carte da lui aveva, pur nella sua goffaggine, un carattere del tutto simbolico e s’è concluso con assoluzioni e grazie che ne rivelavano la natura di un processo caricato a salve, Francesco ha mandato davanti al suo tribunale un nunzio e perfino un cardinale, fornendo all’accusa provvedimenti necessari ad impedire che il procedimento si incagliasse e lasciando comminare una condanna nel suo nome contro il suo ex sostituto.

In questa saldatura fra una restaurazione di un potere temporale lillipuziano per dimensioni, ma vero per la sua efficacia, e una concentrazione non solo di decisioni ma dell’iter di preparazione delle decisioni nella persona del pontefice, s’è creata la sensazione che il papa percepito da tanta opinione pubblica per la sottolineatura della misericordia come criterio teologico-pastorale sia stato ad intra il papa del pugno di ferro.

Questi problemi è prevedibile che saranno oggetto di discussioni profonde nel collegio dei cardinali e che fra essi ci si chieda come “salvare” del pendolarismo ideale che spesso segna la successione del vescovo di Roma, quelle perle senza ambiguità del pontificato bergogliano – la prassi della misericordia, la dottrina della fraternità universale, la condanna morale del possesso delle armi atomiche, la esigenza di povertà cristiana – che costituiscono una eredità che può essere compromessa dall’esigenza di risolvere le altre ambiguità, ma che identifica un nucleo riformatore di cui la chiesa cattolica ha bisogno nella transizione dalla lunga stagione dominata dall’agenda e da una cultura euroamericana oggi disfatta dallo scivolamento in democrazie post-democratiche e liberismi post-capitalisti ad una agenda e ad una cultura afroasiatica di cui nessuno vede ancora i contorni ideologici o politici, ma che certo non saranno indolori per nessuno.

 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.