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Da Francesco a Leone XIV: riflessioni sul futuro della Chiesa nelle sfide globali

Da Francesco a Leone XIV: riflessioni sul futuro della Chiesa nelle sfide globali

Segnaliamo la pubblicazione di due interessanti articoli da parte del Centro per la Riforma dello Stato (CRS): “Le ‘cose nuove’ di Leone XIV” di Ida Dominijanni e “Promemoria per il nuovo Pontefice” di Adriano Labbucci.

Nel primo articolo, l’autrice racconta quanto sono state confortanti le prime parole del papa sulla «pace disarmata e disarmante», impellente eredità del precedente pontificato. Colpisce che, «di fronte al disordine mondiale in cui siamo immersi, e di cui sono magna pars la frattura interna all’Occidente fra Stati uniti ed Europa e la crisi verticale in cui versa sotto ogni profilo la democrazia statunitense (non che quelle europee stiano molto meglio)», spiega Dominijanni, «la Chiesa globalizzata riunita e rappresentata nel Conclave più multiculturale della sua storia abbia reagito non evitando il campo minato, come avrebbe potuto fare eleggendo un papa asiatico o africano (ipotesi ben più coerente con i tempi di quanto non sarebbe stata quella di un “ritorno all’Europa”, o all’Italia), ma decidendo di attraversarlo e di sfidarlo con tutto il peso della propria autorità, incarnata da un papa che da quel campo viene e che lo conosce a fondo». «Prevost, leggiamo da giorni, sembra avere tutte le carte in regola per giocare al meglio sia la partita geopolitica sia quella interna alla Chiesa».

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Successore di Pietro o di Francesco? Eletto il nuovo papa, si è subito corsi a formulare ipotesi sulla possibile (e auspicata!) continuità con Bergoglio, pontefice da molti superficialmente definito “progressista”. Labbucci così scrive: «Più che l’etichetta progressista, che è fuorviante, Bergoglio è stato “radicale”, nel senso di chi vuole afferrare le cose dalla radice. Ha riportato al centro il messaggio evangelico, che per sua natura esprime una irriducibile radicalità». «Accanto alla “rivoluzione delle radici” l’altro tratto del pontificato è sotto il segno della misercordia, cioè la capacità di aprire il cuore all’altro, soprattutto ai più deboli e sofferenti, rompendo steccati». La radicalità di papa Francesco gli è costata una distanza incolmabile con le elites cattoliche del mondo, che puntualmente hanno ignorato le sue parole. I cardinali rinchiusi in Conclave hanno deciso dunque che tornare indietro a chiusure e dogmatismi del passato sarebbe stato impossibile e deleterio ma che, allo stesso tempo, era necessario «ricucire accelerazioni e strappi che Bergoglio, con il suo stile diretto e “impulsivo”, come diceva di se stesso, ha introdotto nella vita della Chiesa»

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