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“Prendetevi tutto ma lasciateci vivere”. Un’intervista sulla vita nell’Est Congo in guerra

“Prendetevi tutto ma lasciateci vivere”. Un’intervista sulla vita nell’Est Congo in guerra

Il Movimento 23 Marzo (M23), braccio armato dell’organizzazione politica Alleanza Fiume Congo (AFC), ha invaso Goma (capoluogo della provincia congolese del Nord Kivu) il 27 gennaio e Bukavu (capoluogo del Sud Kivu) il 16 febbraio. A distanza di tre mesi, la missionaria saveriana Teresina Caffi, che collabora anche con Adista, ha intervistato Raphael Wakenge, decano della Società Civile della Provincia, coordinatore dell’Iniziativa congolese per la Giustizia e la Pace, coordinatore nazionale della Coalizione congolese per la Giustizia di Transizione, che vive a Bukavu. L’intervista, pubblicata su Pressenza il 12 maggio scorso, racconta la vita quotidiana a Bukavu sotto l’occupazione del M23, che molti osservatori (Nazioni Unite comprese) ritengono armato e finanziato dal Ruanda di Paul Kagame per mantenere il controllo sul territorio oltreconfine, ricco di risorse preziose e strategiche.

Il quadro che ne emerge è terribile: a Bukavu, spiega Wakenge, «la vita umana è profanata; ogni giorno si raccolgono cadaveri, si registrano rapimenti di uomini e donne: a volte vengono ritrovati vivi, ma la maggior parte morti. Oppure scompaiono». In città si vive in uno stato di angoscia e profonda insicurezza: mancano beni necessari per la sopravvivenza come acqua, cibo, elettricità. Infrastrutture e servizi sono azzerati, le banche non erogano più denaro, gli spostamenti non sono garantiti, le terre abbandonate, i dazi e le tasse imposte alla popolazione dall’M23 accrescono soprusi e povertà.

Intanto la città è fuori controllo: alla luce del sole, spiega il rappresentante della Società Civile del sud Kivu, «vengono segnalati regolarmente casi di furti e saccheggi». Si tratta di miliziani M23, che spadroneggiano, ma anche di criminali fuggiti dalle carceri, ladri che si fingono miliziani, addirittura membri delle forze dell’ordine o della polizia che non sono fuggiti dopo l’invasione dell’M23. La Società Civile raccoglie denunce e prove di questi crimini, spiega l’intervistato, sperando che un giorno, dopo la guerra, i tribunali civili potranno fare giustizia. Speranza oggi vana, perché in città non ci sono più istituzioni statali, e la legge è amministrata in modo spontaneo e autogestito, attraverso la cosiddetta «giustizia popolare» che compie anche esecuzioni sommarie di ladri o presunti tali in mezzo alla strada.

Altro fenomeno molto diffuso è l’arruolamento dei giovani da parte dell’M23, che deve sostituire i miliziani “prestati” dal Ruanda che tornano a casa. E in assenza di scuola, in uno stato di povertà e insicurezza dilagante, per molti giovani non sembra poi la peggiore opzione.

Intanto, spiega Wakenge, diversi leader religiosi hanno avviato un processo di pacificazione delle comunità locali, mentre i rappresentanti dei governi siedono ai grandi tavoli delle trattative che portano pochi risultati e non coinvolgono la popolazione e la società civile.

Riguardo ai processi di pace, l’intervistato spiega che c’è un aspetto nuovo, importante e promettente: «Quello economico». Chi è impegnato nei negoziati per cercare soluzioni alla crisi nell’Est Congo «ha anche interessi economici», in particolare sulle risorse strategiche del sottosuolo, e questo potrebbe rappresentare una svolta. In particolare, in questi giorni, fanno discutere le trattative bilaterali aperte dagli Stati Uniti con RDCongo e Ruanda per la gestione dei minerali, di cui con Adista abbiamo parlato approfonditamente qui.  «Bisogna che a un certo punto qualcuno dia una via da seguire», spiega infatti. «Questo stanno facendo gli Usa. Ma gli interessi degli USA non sono quelli dei cinesi; quelli dei cinesi non sono quelli degli abitanti del Qatar, o del Ruanda, o della Repubblica democratica del Congo. La questione della sovranità assoluta non esiste per me: bisogna che ad un certo punto le persone accettino di cedere una parte di se stesse, ma bisogna sapere come cederla, in modo da trovare soluzioni ai problemi che abbiamo».

In chiusura dell’intervista, la missionaria Teresina Caffi si dice però «perplessa di fronte a queste aperture» da parte dell’intervistato. «Vedo i pericoli – spiega – di fidarsi di “potenti” come gli Stati Uniti e altri, che hanno dichiarato il loro interesse come principio della loro politica estera. Vedo l’ingiustizia di accettare di cedere una parte del proprio Paese per far finire la guerra. Ma capisco che dietro queste aperture ci siano decenni di indagini sugli orrori delle guerre in Congo. C’è la delusione di fronte all’unica via giusta ma trascurata: sanzioni internazionali capaci di fermare gli aggressori. C’è la preoccupazione di salvare almeno la vita dei congolesi. Questo è ciò che molti di loro dicono ormai, disperati: “Venite, prendete tutto, ma lasciateci la vita”».

Leggi l'intervista integrale sul sito di Pressenza

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