
Carlo Acutis: santità o icona mediatica?
Tratto da: Adista Notizie n° 32 del 20/09/2025
La canonizzazione di Carlo Acutis rappresenta un evento che, per la rapidità e le modalità comunicative con cui è stata proposta, merita di essere osservato non solo dal punto di vista teologico o spirituale, ma anche attraverso le lenti della sociologia della religione. Acutis, morto nel 2006 a quindici anni, è stato canonizzato in meno di vent’anni: un tempo straordinariamente breve se confrontato con i lunghi processi che hanno caratterizzato la maggior parte delle canonizzazioni del passato.
Questa velocità non è un dettaglio: segnala un cambiamento di paradigma. La Chiesa cattolica, nella società contemporanea, sente il bisogno di offrire modelli di santità vicini, tangibili, riconoscibili, in grado di parlare a un mondo giovanile sempre più distante dalle istituzioni religiose tradizionali. In un’epoca in cui la comunicazione avviene in tempo reale, attendere decenni o secoli per proclamare un santo potrebbe risultare inefficace. La canonizzazione rapida diventa un modo per rispondere alle logiche di un tempo accelerato, dominato da social network e informazione continua. Da questo punto di vista, Acutis è stato costruito come un “santo mediatico”. La scelta di definirlo “influencer di Dio” o “patrono di Internet” non è casuale: traduce la santità in un linguaggio comprensibile ai nativi digitali, quotidianamente immersi nella tecnologia e nella cultura del web. Ma questa operazione porta con sé un’ambivalenza. Da un lato consente un’immediata identificazione: un ragazzo normale, con felpa e jeans, che usa il computer, gioca, si diverte e al tempo stesso coltiva una fede profonda. Dall’altro rischia di appiattire la complessità della spiritualità, trasformandola in immagine, in brand. Il processo di iconizzazione è evidente. Le fotografie di Carlo, spesso in posa informale davanti al laptop o in atteggiamento sorridente, sono diventate parte integrante di un immaginario religioso che abbandona l’austerità dei santi tradizionali. Questa iconografia si presta a essere consumata, replicata, trasformata in oggetto di devozione: dalle T-shirt alle statuine, fino ai gadget venduti online. È il fenomeno della “mercificazione del sacro”, in cui la spiritualità si mescola con il mercato. Non si tratta di una novità assoluta – basti pensare alle reliquie medievali o al commercio legato ai pellegrinaggi – ma il caso Acutis mostra come queste dinamiche siano oggi accelerate dai media digitali.
Dal punto di vista pedagogico, ogni canonizzazione indica un modello di vita cristiana da seguire. Acutis è presentato come un adolescente capace di coniugare normalità e fede, tecnologia e preghiera, modernità e tradizione. Questa immagine risponde a un’esigenza specifica: ridurre la distanza tra Chiesa e giovani. Ma la costruzione del “santo influencer” può risultare riduttiva. L’adolescenza, infatti, è una fase complessa, fatta di contraddizioni, conflitti interiori, sperimentazioni: rappresentarla come un archetipo positivo “pronto all’uso” rischia di semplificare eccessivamente la realtà giovanile, trasformando la santità in uno slogan rassicurante.
È da considerare anche la funzione identitaria della canonizzazione. In una società secolarizzata, Acutis diventa un eroe collettivo, un simbolo capace di mostrare che è possibile essere contemporanei senza rinunciare alla fede. In questo senso, la canonizzazione ha un valore politico-culturale: non solo propone un modello individuale, ma offre alla comunità cattolica un punto di aggregazione, un vessillo da esibire nello spazio pubblico. Tuttavia il rischio è che la dimensione simbolica prenda il sopravvento su quella biografica, facendo di Acutis più un mito che una persona reale.
La canonizzazione rapida di Carlo Acutis, dunque, va interpretata non solo come un evento religioso, ma come un indicatore sociologico: racconta la trasformazione della Chiesa cattolica nell’epoca della comunicazione globale, l’adattamento a logiche di marketing spirituale, il tentativo di rispondere a una società frammentata con figure semplici, riconoscibili, facilmente condivisibili. Rimane aperta la questione fondamentale: fino a che punto la santità può essere tradotta in linguaggio mediatico senza perdere la sua profondità spirituale? La risposta, forse, dipenderà non tanto dall’istituzione ecclesiale, quanto dall’uso che i credenti faranno della figura di Acutis: se come icona consumabile o come stimolo autentico a un percorso interiore
Arturo Formola è docente di Sociologia generale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Interdiocesano, Capua
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