Riconoscere i motivi sistemici degli abusi, sostenere le vittime. Un convegno sul modello Bolzano
Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 08/11/2025
42416 MILANO-ADISTA. Riconoscere il sistema di negazione, copertura e insabbiamento degli abusi, ammettendo gli errori fatti; prestare attenzione alle «persone vittime» («le vittime non sono solo da etichettare, ma sono persone, sorelle e fratelli nostri») e fornire tutto il supporto di cui hanno bisogno: psicologico, medico, legale e soprattutto di giustizia. Ha sintetizzato così il senso del progetto di contrasto agli abusi nella Chiesa della diocesi di Bolzano-Bressanone “Il coraggio di guardare” (v. Adista Notizie nn. 41/23 e 4/25 e Segni nuovi n. 5/25) don Gottfried Ugolini, presbitero della stessa diocesi e responsabile diocesano del servizio tutela minori e persone vulnerabili, nel corso del primo di due convegni promossi a Milano da Noi siamo Chiesa, Adista e coordinamento #ItalyChurchToo il 29 ottobre scorso. Il primo incontro del convegno, intitolato “La comunità ecclesiale di fronte agli abusi: percorsi e riflessioni per una cultura della prevenzione” (il secondo è in programma per il 15 novembre prossimo), è stato dedicato proprio all’illustrazione di un progetto che si pone in antitesi, per approccio, visione e strumenti, alla politica attuata dalla Conferenza episcopale italiana. Ugolini, affiancato da Marina Bruccoleri, pedagogista, responsabile all'interno della Onlus La strada-Der Weg della sezione pari opportunità e violenza contro le donne, fa parte anche dell'équipe di esperti del servizio di tutela minori della diocesi di Bolzano-Bressanone.
Le radici del progetto
Quali sono le motivazioni che hanno spinto alla creazione del progetto? La prima, ha spiegato don Ugolini, è la necessità di «pensare alle persone vittime, sopravvissuti, offrendo centri di ascolto, accoglienza, ma soprattutto giustizia e accompagnamento, per poterle poi coinvolgere alla pari nelle nostre realtà ecclesiali». Occorre poi «offrire attenzione ai chierici accusati o incolpati, vedere qual è il ruolo dell’ordinario diocesano o dell’istituto religioso nella garanzia delle procedure canoniche, ma anche delle procedure civili cui tutti hanno diritto»: garanzia dei diritti, accompagnamento e supervisione, monitoraggio e verifica di quale possibilità di riabilitazione o provvedimenti coerenti e adeguati si possono offrire loro». È tutto il contesto che va preso in carico, afferma Ugolini: anche «la famiglia, l'ambito sociale, la scuola, il convitto, la parrocchia, l'istituto, l'istituzione, per cui dobbiamo fare tutto un lavoro di sensibilizzazione, di informazione e di comunicazione per offrire la massima trasparenza». Ogni caso va elaborato perché «ogni abuso separa, provoca una scissione, polarizzazioni all'interno delle comunità fino agli più alti livelli».
Il cammino di consapevolezza è iniziato nel 2010, quando, sull’onda dell’esplosione degli scandali di pedofilia in Germania e Austria, a Bolzano si è deciso di istituire uno sportello indipendente di ascolto, supportato poi da un gruppo di esperti. Il secondo passo è stata l’offerta di sensibilizzazione, informazione, prevenzione: «Siamo partiti con un piccolo gruppo di lavoro al riguardo che poi ha organizzato convegni e corsi all'Istituto Superiore di Filosofia, di Teologia e in altre istituzioni, corsi di formazione, di preparazione per la tutela dei minori». «Abbiamo capito che c'è un grande rischio», spiega Ugolini: «Di fare un lavoro cosmetico, cioè di non andare alle radici. Dobbiamo capire cosa è capitato veramente in passato, avere dei numeri, dei riscontri da parte delle persone che hanno subito abusi; sapere anche che cosa hanno fatto e non fatto i responsabili. Abbiamo guardato al mondo tedesco». Perché “il coraggio di guardare” riguarda proprio questo: «Guardare al passato per capire cosa possiamo imparare; il coraggio di guardare anche il presente, che cosa fare oggi; il coraggio di guardare il futuro, per dire quali cambiamenti sono necessari. Non riusciremo ad arrivare a una tolleranza zero assoluta, ma faremo quello che umanamente è possibile e che il Vangelo ci insegna».
Un cammino accidentato
Un primo progetto è stato elaborato nel 2018 con il professor prof. Heinrich Keupp di Monaco, che insegna a Bressanone. È stato respinto dal vescovo, già mons. Ivo Muser. «Però noi abbiamo tenuto duro», sospira Ugolini. Un nuovo gruppo di lavoro ha lavorato per un anno con la professoressa Ulrike Elfriede Loch dell’Università di Bolzano: «Per il vescovo era importante avere qualcosa che si sia sviluppato nella nostra diocesi, che ha una specificità culturale. Ma anche questo progetto è stato respinto. «Sono caduto in depressione» racconta don Ugolini «però nonostante le fatiche abbiamo detto no, è importante andare avanti. Abbiamo invitato padre Zollner, uno dei più esperti nella Chiesa. Ha preparato il terreno per arrivare a un terzo progetto che abbiamo chiamato “Il coraggio di guardare”, realizzato insieme all’Istituto di antropologia di cui Zollner è il preside. Ci vuole determinazione e coraggio per andare avanti». Nel 2022 il convegno “Victims first” ha stabilito il principio: mettere al centro le persone che hanno subìto abusi. Nel 2023 “il coraggio di guardare” è stato presentato; l’anno dopo si sono approfonditi gli aspetti sistemici dell'abuso e il 7 novembre prossimo ci sarà il convegno “Il coraggio di agire”.
Che cosa bisogna cambiare?
È necessario cambiare mentalità, atteggiamenti, strutture; «anche a livello sistemico», rincara don Ugolini, «che vuol dire rivedere la teologia, la spiritualità, gli approcci pastorali, perché il sacerdote è stato messo in una posizione così inattaccabile». Un cambiamento che incontra una forte resistenza: «I promotori sono il 5%; gli inibitori (persone che hanno paure, preoccupazioni) sono il 40%, gli scettici il 40% e avremo un gruppo del 15% di resistenti che mai cambieranno», presenti nella popolazione ma anche «ai più alti vertici della Chiesa, forse lì ancora di più». Ci vogliono anche nuove strutture, nuove procedure e standard anche nei movimenti «dove sappiamo che il grado di abusi è ancora più alto che nelle parrocchie». Un processo «partecipativo, che deve coinvolgere sempre più persone».
A che punto è il progetto
Essendo il progetto triennale, la prima fase, la ricognizione dei casi, effettuata dallo studio legale di Monaco di Baviera Westpfahl Spilker Wastl – con all’attivo altre inchieste indipendenti in Germania, e coadiuvato da uno studio trilingue di Brunico – si è conclusa con un rapporto che copre 60 anni che ha attinto agli archivi del territorio diocesano (tranne quelli degli istituti religiosi, su cui la diocesi non ha competenza) ma anche a colloqui con testimoni e persone abusate sollecitati da un appello pubblico.
Don Ugolini ha illustrato dati, cause sistemiche e raccomandazioni degli avvocati. L’attuale fase riguarda l'attuazione delle raccomandazioni, mentre la terza riguarda la prevenzione degli abusi. Al primo posto, i diritti dei minori: «Anche la scelta del personale – ha detto Ugolini – è importantissima». Se per un educare un bambino ci vuole un intero villaggio, lo stesso vale per l’abuso di un bambino, per la guarigione dalle ferite e per la giustizia.
Marina Bruccoleri: le persone dietro al progetto
Bruccoleri, oggi nel gruppo direttivo, del Servizio tutela, ha ribadito la necessità di mettere al centro le vittime, la loro sofferenza, per superare spaccature ideologiche e polarizzazioni. «Oggi siamo qui per testimoniare che è possibile farlo, ma nel nome della giustizia sociale, nel nome dei valori umani, nel nome del Vangelo». Si tratta anche di mettere a disposizione risorse e competenze: «Nel servizio diocesano, abbiamo 14 persone, 7 che hanno a che fare con la Chiesa o dipendenti e 7 esterni». È fondamentale imparare dagli errori, usarli come opportunità, e in questa luce viene letto lo scivolone del vescovo Muser che ha provocato una petizione che ne chiede le dimissioni: lo scorso settembre, Muser aveva trasferito a una posizione pastorale don Giorgio Carli, prete già condannato in appello per abusi, poi prescritto e mai sanzionato dalla diocesi (la prescrizione riguardava la pena ma non il reato, confermato dalla Cassazione che ha dato motivo a un risarcimento di 700mila euro pagato dalla diocesi). Di fronte all’indignazione, Muser aveva poi fatto marcia indietro. «Certo che sono stati fatti degli errori, ma questo è un tema che spacca; l'importante è accorgersi e fare marcia indietro», ha detto Bruccoleri.
Bolzano e la CEI
Sulla politica di contrasto agli abusi della CEI, Ugolini ha detto: «Ho l'impressione che anche la nostra Conferenza episcopale non sia ancora in grado di affrontare concretamente il tema degli abusi. Io ho fatto la proposta al cardinal Zuppi di istituire una fondazione, per i risarcimenti dei danni subiti, per le terapie e così via. Niente». Insomma: «Cioè vuol dire che non c'è ancora questa attenzione sufficiente per le persone che hanno subito. Non c'è ancora». «Quante volte mi sono sentito dire nel consiglio presidenziale [del Servizio tutela minori Cei, di cui don Ugolini faceva parte, ndr] dove c'era mons. Ghizzoni, che la ricerca che hanno fatto in Francia ha dei grossissimi errori metodologici eccetera, proprio perché non si vuole guardare alla realtà». E in Italia? C’è qualche altra diocesi interessata a seguire l’esempio di Bolzano-Bressanone, esempio del tutto ignorato dalla Cei? «Sì, l'interesse di alcune diocesi c’è. Siamo stati a Trento, siamo qui a Milano…
Presenteremo il progetto alla regione del Triveneto, ma per ora niente di sostanziale». E se non ci sono state denunce all'autorità giudiziaria perché i casi erano prescritti, «altrimenti l'avremmo fatto», per quanto riguarda i risarcimenti la diocesi «paga la terapia alle vittime che ne hanno bisogno con un monte ore di 100 ore.
*Foto presa da Wikiemdia Commons, immagine originale e licenza
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!
