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"IL MOVIMENTO ALTERMONDIALISTA È IL NUOVO SPAZIO DELLA MISSIONE". INTERVISTA A CARLOS SUSIN SUL FORUM DI TEOLOGIA E LIBERAZIONE

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 18/03/2006

DOC-1713. ROMA-ADISTA. La decisione era stata presa già al termine dei lavori del primo Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, svoltosi lo scorso anno a Porto Alegre nell'ambito del Forum Sociale Mondiale (Adista ne ha offerto un amplissimo resoconto nei nn. 18, 20, 22 e 26 del 2005): quel fecondo incontro tra i teologi impegnati sul versante della Liberazione e i movimenti interessati alla costruzione di "un altro mondo possibile" andava ripetuto e consolidato, mantenendo anche in futuro il vincolo della Teologia della Liberazione con il movimento altermondialista. L'appuntamento, già da allora, era stato fissato per il 2007 in Africa, dove era noto che il Fsm sarebbe emigrato, dopo la parentesi policentrica di quest'anno a Bamako, Caracas e Karachi. E così, fissata a Nairobi, in Kenia, la sede del Forum del prossimo anno, sono cominciati i preparativi anche per la seconda edizione del Forum Mondiale di Teologia e Liberazione (Fmtl), che, come avvenuto a Porto Alegre, si svolgerà nei giorni immediatamente precedenti al Forum propriamente detto, in compagnia degli altri forum tematici complementari.

Per fare il punto sui preparativi, e raccogliere suggerimenti e indicazioni, sono venuti in Europa due dei massimi responsabili del processo del Forum di teologia: Carlos Susin, segretario esecutivo del Progetto Fmtl, e Sergio Torres, dell'Advisory Committe che accompagna la segreteria permanente del Forum. A Roma, una delle tappe del loro viaggio, i due teologi hanno tenuto, il 3 marzo scorso, al Sedos (Servizio di Documentazione e Studi sulla Missione), presso la sede dei Fratelli delle Scuole Cristiane, una conferenza su "Chiesa e movimenti sociali: la missione e il pensiero della Chiesa di fronte al nuovo orizzonte aperto dai Forum Sociali Mondiali. Un inizio, un cammino, una speranza".

Dinanzi alla concentrazione crescente del potere economico nelle mani delle transnazionali, al loro controllo "sulla vita del mondo intero", alla militarizzazione del pianeta, all'uso irrazionale delle risorse non rinnovabili e ai cambiamenti climatici, si è sviluppato negli ultimi anni - ha affermato Sergio Torres, tra i fondatori dell'Associazione dei teologi del Terzo Mondo e di Amerindia - un grande movimento di resistenza con l'obiettivo di porre di nuovo l'economia al servizio dei popoli, di abbattere il muro che, dopo la caduta di quello tra Est e Ovest, si è eretto tra il Nord e il Sud del pianeta, di contrastare il potere assoluto del denaro, di elaborare un progetto alternativo di economia sociale e di restituire allo Stato il potere di prendere decisioni e ridistribuire risorse. Per la Chiesa, ha proseguito Torres, questo movimento di resistenza, chiamato altermondialista, si offre come un nuovo spazio per la missione, un nuovo areopago in cui la Chiesa dovrebbe fare ingresso con un bagaglio di "spiritualità non alienata, ma legata alla vita concreta", di analisi delle cause della povertà - "cause strutturali, come oggi è diventato più che mai chiaro" -, di rinnovata capacità profetica, quella che nell'Antico Testamento si traduceva in una denuncia concreta, fatta anche di nomi di persone e di città. Un compito, questo di lottare per "un altro mondo possibile", che dovrebbe interessare tutte le religioni, in dialogo tra loro.

A questo sforzo molto può contribuire, ha affermato Susin, la Teologia della Liberazione: da sempre figlia dei segni dei tempi, nella riscoperta della storia "come luogo di libertà, di incontro tra umano e divino, di salvezza", la Tdl ha stabilito un circolo virtuoso tra mediazione socio-analitica, mediazione ermeneutica della parola di Dio e della memoria di Gesù (che delle tre è la più importante), e mediazione della prassi, creando così "una nuova forma di conoscenza, in rottura con quella anteriore". Confusa negli anni '80 con l'ideologia marxista (secondo Susin la Tdl è addittura antimarxista nella sua opposizione alla lotta di classe come motore della storia, ma presenta "un'affinità elettiva", una vicinanza con il marxismo a livello di mediazione socio-analitica), la Tdl è andata cogliendo, negli anni, nuovi segni dei tempi: la coscienza indigena e afrodiscendente, il femminismo, l'ecologia, e, infine, la convergenza mondiale di sforzi in direzione di un altro mondo possibile. Un impegno, questo, a cui la Tdl deve contribuire attraverso la sua riflessione - di cui il primo Forum di Teologia e di Liberazione ha offerto un interessante saggio - "su un'altra immagine di Dio, un'altra forma di religione, un altro discorso teologico".

Sulle sfide che attendono la Tdl a Nairobi, per la seconda edizione del Fmtl, Adista ha interrogato Carlos Susin. Di seguito l'intervista. (claudia fanti)

D: Come procedono i preparativi per il secondo Forum mondiale di Teologia e di Liberazione?

R: La nostra visita in Europa ha proprio lo scopo di muovere alcuni passi nell'organizzazione del Forum di Nairobi. Lo scorso anno si è espressa chiaramente l'intenzione di procedere non solo come Forum, ma come un processo in rete: una rete ecumenica che possa contare sulla partecipazione di teologi e teologhe di differenti tradizioni. Il nostro viaggio è iniziato a Lovanio, in Belgio, dove abbiamo incontrato alcuni partecipanti al primo Forum e membri del Comitato Internazionale, a partire da François Houtart, che fa parte anche del Comitato internazionale del Forum Sociale Mondiale. Ed è proseguito in Francia e in Italia. L'obiettivo è quello di strutturare un primo programma in termini di metodologia, partecipazione e contenuti, tenendo in considerazione i suggerimenti già ricevuti tanto alla fine del primo Forum quanto attraverso Internet. E dopo aver raccolto idee e informazioni, andremo a Nairobi, dove il Comitato locale, composto da sette teologi e presieduto da Mary Getui, ci attende per considerare le questioni pratiche e i passi da compiere. Tenendo ben chiaro che sarà l'Africa al centro del prossimo Forum.

D: Organizzare in Africa un evento come il Forum di Teologia e di Liberazione presenta maggiori difficoltà rispetto a quelle incontrate a Porto Alegre. Come pensate di affrontarle?

R: Le difficoltà, indubbiamente, sono superiori, soprattutto tenendo presenti le differenze tra Africa anglofona e Africa francofona, senza considerare le specifiche caratteristiche dell'Africa del Sud. Vi sono poi le difficoltà di spostamento: dall'Asia e dall'America Latina, per arrivare in Africa, bisogna praticamente venire in Europa. Abbiamo quindi bisogno di stringere molti contatti, per diffondere conoscenze, far circolare informazioni, offrire possibilità di partecipazione. Ci stiamo preoccupando di contattare diverse istituzioni, soprattutto qui in Europa, interessate a questo processo e disposte a contribuire, per esempio con l'acquisto di un biglietto aereo per un teologo africano o di altre regioni povere. E i segnali che stiamo ricevendo sono positivi.

D: Nel bilancio del primo Forum, pur nella generale soddisfazione, non erano mancate le critiche: che, per esempio, si era fatta una teologia accademica, lontana dal popolo; che si era parlato troppo di teologia e troppo poco di liberazione; che la realtà concreta delle comunità era rimasta sullo sfondo, oscurata dall'astrattezza dei temi; che era mancata la riflessione su quale mondo si vuole costruire e sul ruolo dei cristiani nei movimenti sociali. E aveva lasciato a desiderare, soprattutto, l'inte-grazione del Forum di teologia al più ampio Fsm. Come si intende procedere per Nairobi?

R: Abbiamo accolto i suggerimenti per una metodologia più simile a quella del Forum Sociale Mondiale, più aperta all'esperienza di base e meno accademica: pertanto, vi saranno meno conferenze classiche e più laboratori e gruppi di lavoro. Verranno assicurati due livelli di partecipazione: quello dei delegati di gruppi, organizzazioni, ecc. e quello dei singoli partecipanti, in modo tale da permettere una presenza anche a titolo individuale. Chi poi si iscrive come delegato potrà proporre, a nome del suo gruppo, del suo movimento, della sua tradizione ecclesiale, seminari o workshop, proprio come al Fsm. Accanto ai professori di teologia vi saranno operatori pastorali, sacerdoti, laici con esperienze di liberazione. Questa novità, rispetto allo scorso anno, quando si è proceduto solo per inviti, rappresenta per noi un'altra sfida importante, perché una maggiore apertura può comportare molte più sorprese. Con una metodologia aperta, i gruppi stessi porteranno la loro spiritualità. E noi dell'organizzazione potremo motivare le basi, dare suggerimenti, ma non determinare i contenuti.

Rispetto all'integrazione con il Forum Sociale Mondiale, il nostro obiettivo è quello di riportare all'interno del Fsm, in particolare nel filone tematico su spiritualità e cosmovisione, alcune delle grandi idee del Fmtl, soprattutto in relazione al tema della spiritualità per un altro mondo possibile, in dialogo e in collaborazione con le altre religioni. Si inviteranno rappresentanti di altre tradizioni religiose, anche se non siamo ancora in grado di fare il salto verso un Forum interreligioso: il nostro rimarrà un Forum di spiritualità e di tradizione cristiana, perché non abbiamo ancora una visione sufficiente della complessità delle tradizioni religiose per fare qualcosa insieme, ma procederemo verso quella direzione. Si tratta però ancora solo di idee e di suggerimenti. Sarà il Comitato di Nairobi a concretizzare tutto questo.

D: È in corso in America Latina - e il Forum di Caracas lo ha significativamente dimostrato - un dibattito su quello che viene chiamato "Socialismo del XXI secolo", un socialismo che non sia la copia di modelli falliti ma sappia coniugare giustizia e democrazia, "fame di pane e fame di bellezza": un socialismo indicato come unica possibile alternativa al capitalismo. Al Forum di teologia dello scorso anno questo dibattito è stato completamente assente. Sarà così anche al prossimo?

R: Per quanto la programmazione sia ancora molto aperta, sappiamo già di dover garantire all'Africa uno spazio centrale, in maniera che possa manifestarsi con tutte le sue risorse, i suoi problemi, le sue complessità e soprattutto la sua spiritualità, che è il nostro specifico ambito di lavoro. E poi vi è il tema dello spazio pubblico: credo che sul collegamento tra spiritualità, cittadinanza e spazio pubblico si possa lavorare di più. All'interno del dibattito sul socialismo in America Latina si porta avanti anche un discorso attorno alla creazione di uno spazio pubblico non statale, che è qualcosa di diverso tanto da un intervento continuo dello Stato quanto da una via di mezzo tra Stato e mercato. È una discussione a livello politico che procede insieme a questo grande slogan che è "socialismo con democrazia".

D: Proprio riguardo alla sfida prioritaria dell'elabora-zione di un nuovo modello, si ha l'impressione che la Tdl abbia perso molto smalto in termini di denuncia profetica delle strutture e di perdita di un chiaro orizzonte ideologico. Tanti anni di repressione sembrano aver lasciato il segno...

R: Sì, infatti. Dopo il Concilio Vaticano II e l'interpreta-zione che ne ha dato l'America Latina a Medellín, si è registrato qui da noi un grande consenso tra vescovi, preti, teologi, operatori pastorali, basi impegnate nel movimento di trasformazione sociale. Oggi questo consenso non esiste più. Oggi dobbiamo riconoscere che sappiamo ciò che non vogliamo, ma che non sappiamo bene ciò che vogliamo. Ci si trova di fronte alla sfida di passare da un socialismo che non serve più alla costruzione di un socialismo che non sappiamo ancora bene cosa sia. Per esempio, in America Latina il socialismo è di nuovo presente nel dibattito politico, ma la politica economica non è minimamente socialista, da nessuna parte. Rispetto al nostro ambito, quello di una spiritualità di trasformazione per un altro mondo possibile, noi dobbiamo almeno difendere una capacità critica, mantenere la distinzione tra quella che è la nostra realtà e ciò a cui dobbiamo puntare. Il nostro obiettivo deve essere quello di una spiritualità che dia nuovo rilievo alla chiamata profetica. In passato abbiamo avuto vescovi capaci di dire una parola profetica forte. Adesso, in uno scenario ormai mutato, quello che pensiamo di fare è estendere la rete che stiamo creando a tutto il mondo. In questo senso, il prossimo Forum di Nairobi sarà per noi dell'America Latina una preziosa opportunità per conoscere meglio l'Africa, per imparare qualcosa di più di quella spiritualità originaria africana, di cui abbiamo ricevuto gli influssi, ma senza aver mai la possibilità di andare alle radici.

D: Ma, insomma, in che stato si trova la Tdl?

R: È un po' in condizione pasquale, quella di dover sempre resuscitare, di essere vittima di fraintendimenti che provocano dolore e di essere di nuovo presente. Sempre legata alla storia, al momento storico, sempre un po' messa in discussione, fraintesa, repressa, ma sempre ricca di speranza, perché chi fa questa teologia è molto vicino alla gente che ha una fede viva, una fede che sostiene la nostra spiritualità.

D: Del resto, se non facesse più paura a nessuno, se non fosse più capace di rottura, sarebbe un brutto segno…

R: Sì, sarebbe un brutto segno. Il fatto è che non si cerca la rottura, ma che questa è inevitabile. Perché chi si trova bello comodo in questo mondo capitalista non vuole l'incomodo di questa teologia. Però è sempre più diffusa la coscienza che il mondo non può andare avanti in questa direzione. E perciò c'è molta gente interessata a un pensiero alternativo, anche se questo sarà inevitabilmente conflittuale.

D: Si dice che l'ultima frontiera della Teologia della Liberazione sia rappresentata dalla Teologia del pluralismo religioso. L'anno scorso, a Porto Alegre, il tema è stato affrontato con molta prudenza…

R: È un tema da sviluppare anche a livello di discernimento della religione. Perché, dal punto di vista della liberazione, non è sufficiente accettare il pluralismo e disporsi al dialogo: bisogna operare un discernimento sulla nostra tendenza alla violenza attraverso la religione. Che poi sarebbe il grande problema del fondamentalismo. E questo è un tema di grande attualità che dovrà essere affrontato in Africa.

D: Cosa vi aspettate dalla V Conferenza dei vescovi latinoamericani?

R: Il Forum, avendo una struttura ecumenica, non parteciperà in quanto tale alla V Conferenza. Ma i teologi cattolici e alcune organizzazioni di teologia come la Soter si sono già messi al lavoro, perché, se anche, dal nostro punto di vista, la Conferenza dei vescovi non avrà l'esito che vorremmo - e sicuramente non lo avrà -, non intendiamo rinunciare ad offrire il nostro contributo: non vogliamo essere né contro, né fuori. Dobbiamo restare all'interno, ma continuando ad offrire la nostra parola critica. Senza essere così ingenui da non vedere che esistono difficoltà strutturali, una diversa fisionomia nell'episcopato latinoamericano, una maggiore preoccupazione per l'identità cattolica, ecclesiastica. Penso che la parola chiave sia quella della partecipazione. Se la parola democrazia è troppo complicata per gli operatori ecclesiastici, allora forse "comunione", "partecipazione" possono andare meglio. La parola comunione ha una grande tradizione nella Chiesa, ma a Medellín e Puebla abbiamo sviluppato il punto di vista, pratico e metodologico, che la comunione si raggiunge tramite la partecipazione, che quest'ultima rappresenta qualcosa di strategico per una vera comunione. Tutti siamo d'accordo sulla comunione, ma dobbiamo lavorare alla partecipazione. (c. f.)

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