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ANNUNCIARE UN VANGELO DI GIUSTIZIA E LIBERAZIONE: L'IMPEGNO DELLE CHIESE CALABRE ALLA SETTIMANA SOCIALE

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 25/03/2006

33287. VIBO VALENTIA-ADISTA. "Scrutare" e "interpretare" i segni dei tempi per "rispondere", con la radicalità che è propria del Vangelo, ad una realtà sociale che interpella anche la Chiesa. Questo è stato il senso e l'obiettivo della Settimana Sociale delle Chiese di Calabria che si è svolta al Lido degli Aranci di Vibo Valentia lo scorso 3-5 marzo: vescovi e delegati laici provenienti dalle 12 diocesi calabresi per 3 giorni si sono confrontati sulle urgenze dei loro territori per tracciare collettivamente il cammino dei prossimi anni. Il quadro emerso è quello di una regione ricca di risorse, ma appesantita da gravi problemi – primo fra tutti quello della presenza di una criminalità mafiosa organizzata che si delinea come vera e propria "struttura di peccato" –; di una Chiesa desiderosa di fare autocritica e di ‘uscire dalla sacrestia' per collaborare alla costruzione di una autentica democrazia partecipata, e di un laicato che intende conquistare autonomia e diventare protagonista del cambiamento dal basso.

"Penso che la situazione potrà cambiare esclusivamente se non soltanto lo Stato farà la sua parte e sarà presente – dice mons. Vittorio Mondello, presidente della Conferenza episcopale calabra e arcivescovo di Reggio Calabria, aprendo la Settimana – ma se noi calabresi prenderemo in mano i problemi di questa terra, portandoli personalmente e comunitariamente a soluzione". Un invito alla partecipazione condiviso e ribadito da Piero Fantozzi, docente di Sociologia all'Università della Calabria, che chiama in causa anche le responsabilità della Chiesa: "Di fronte ai gravi fenomeni di disuguaglianza e criminalità, non dobbiamo insegnare agli altri cosa fare, ma dobbiamo partecipare alla costruzione della società; non dobbiamo solo prendere posizione, ma dobbiamo partecipare tutti attivamente ai processi di coesione" e di "reintegrazione sociale". "La speranza si costruisce iniziando a camminare, evidenziando gli elementi comuni a tutti i cristiani e soprattutto rafforzando la coerenza e la credibilità della propria testimonianza individuale e comunitaria". A partire dalla "denuncia delle ingiustizie" e dall' "annuncio del Vangelo della liberazione", spiega Vito Teti, docente di Etnologia all'Università della Calabria: una denuncia che non sia "sterile lamentazione", ma che "abbia come fine il cambiamento".

Denunciare le ingiustizie in Calabria significa soprattutto schierarsi contro la ‘ndrangheta, le massonerie deviate, il clientelismo e la corruzione, "strutture di peccato" che strangolano i corpi e soffocano le coscienze: "violenze occulte e trame oscure che arrivano a progettare e realizzare la sottomissione dell'altro, lo spadroneggiare sulle risorse (usura e strozzinaggio), il taglieggiamento delle attività produttive (‘pizzo' e tangenti), il controllo mafioso del territorio e di ogni genere di risorsa (incluso lo smaltimento dei rifiuti)", spiega il teologo don Giovanni Mazzillo, che chiede alla Chiesa di uscire allo scoperto, imparando "la lezione dei giovani di Locri" ("e adesso ammazzateci tutti", v. Adista n. 75/05), e di assumere come "finalità prioritaria del suo operare e del suo essere" l'impegno per "la legalità" e "la giustizia". La Chiesa "non può restare cieca di fronte alle situazioni torbide che innervano singoli e istituzioni e che irretiscono privati cittadini e personaggi politici. Gli uomini e le donne di Chiesa non possono e non debbono assolutamente tollerare l'incultura malsana dell'intrigo, delle situazioni ambigue, peggio ancora della mafia e della delinquenza organizzata", che spesso si inserisce e vive all'interno della stessa comunità ecclesiale colpevolmente silente (tante manifestazioni e riti della religiosità popolare, nota Teti, hanno come protagonisti "uomini della criminalità organizzata in cerca di visibilità e che finiscono con l'inquinare le forme della devozione popolare"). "Dobbiamo liberare - aggiunge Mazzillo - una certa religiosità ancora immatura e talora masochista, che considera Dio più come padrone che come padre, e la vita umana sulla terra più come punizione da scontare che come missione da vivere".

L'assemblea generale dei delegati, su proposta degli 8 gruppi di lavoro, individua tre percorsi che dovranno segnare il cammino della Chiesa calabrese nel prossimo futuro: la formazione dei laici e delle associazioni alla dimensione socio-politica, e dei sacerdoti ai principi della Dottrina sociale della Chiesa (a tale proposito va segnalata la pubblicazione degli atti del I Convegno regionale dei seminaristi della Calabria - "La formazione umana, fondamento dell'intera formazione sacerdotale" - con interessanti interventi sui temi della formazione, dell'affettività, della sessualità, della responsabilità e della libertà); il lavoro di rete tra le associazioni ecclesiali, la società civile, gli enti e le istituzioni; la dimensione progettuale della Chiesa, puntando al recupero dell'unitarietà delle pastorali. Al centro il laicato e la riscoperta della "vocazione laicale" che non ammette sconti sulla radicalità evangelica: "non si può essere laici cristiani in Calabria senza essere considerati un'anomalia scomoda di questo sistema, senza scoprire e combattere queste strutture di peccato – dice Vincenzo Linarello, presidente del consorzio di cooperative sociali calabresi Goel. –. Se non siamo così considerati spesso è perché non abbiamo ancora detto sì alla nostra vocazione di cristiani laici, magari perché le logiche del mondo ci hanno ‘integrati', o magari perché ancora non abbiamo messo mano all'aratro, o magari perché ormai ci siamo rassegnati al destino". (luca kocci)

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