VERONA OK. MA ORA COMUNICAZIONE E MONDIALITÀ
Tratto da: Adista Documenti n° 78 del 04/11/2006
Per prima cosa vorrei sottolineare cosa il Convegno di Verona non è stato: non è stato uno dei tanti ‘grandi eventi', da dare in pasto al circo mediatico in cerca di notizie che fanno audience. È stato invece qualcosa di molto diverso. In primo luogo, una forte esperienza ecclesiale, armonica e vivace, e un passaggio salutare della Chiesa italiana verso una più piena assimilazione del Concilio Vaticano II. Mi è sembrato particolarmente significativo che questo Convegno abbia mostrato la presenza nella Chiesa di un laicato intelligente e vivace, per nulla subalterno. Credo che un punto cruciale nello svolgimento dei lavori sia stato rappresentato dall'introduzione tematica del card. Tettamanzi. La sua relazione ha "riaperto" il Convegno, perché ha ricentrato il cuore del dibattito sul ruolo del laicato. Da evidenziare il passaggio dell'arcivescovo di Milano in cui, richiamando Lazzati, si pone l'accento sulla necessità da parte della Chiesa di dare concretezza storica ad una vera "teologia del laicato", il suo invito a ricentrare i lavori sul Concilio e sul magistero di Paolo VI (ripreso poi anche dall'inter-vento del papa). La riflessione di Benedetto XVI mi è apparsa profonda e culturalmente alta: nel suo impianto fondativo ha esortato la Chiesa italiana a perseguire tre scelte particolarmente significative, non sufficientemente colte da chi si è preoccupato di sottolineare le parti del discorso del papa più legate all'attualità politica e sociale della vita del Paese. Anzitutto il papa ha ribadito la scelta antropologica della Chiesa, riaffermando la centralità dell'uomo ed evidenziandone la capacità di esercitare la ragione e l'amore.
In secondo luogo, Ratzinger ha sottolineato l'esigenza di una scelta culturale e formativa cui è chiamata la Chiesa italiana: nella necessaria e fiduciosa scommessa sull'uomo una funzione centralissima è affidata infatti alla formazione integrale della persona. Il papa sembra dire alla Chiesa italiana di "darsi una mossa" in questo senso, di ricominciare cioè ad investire grandi energie nella formazione delle coscienze. Per l'Ac questo è ciò che si suol dire "un invito a nozze", una seria sfida a dare corpo e gambe a quella "esemplarità formativa" che anche i vescovi avevano indicato. Per tutta la Chiesa italiana, inoltre, questo passaggio del discorso del papa è un appello a farsi vicina all'uomo, accompagnandolo con uno stile realmente pastorale, in un rapporto quanto più personale possibile, a non accontentarsi di intercettarlo "a distanza", nel rapporto 1 a 100mila spettatori, 1 a 10 milioni di telespettatori, tipico delle società massmediali.
Infine, il papa ha ribadito a Verona l'attualità della scelta religiosa, di chiara fisionomia conciliare. Ha cioè riaffermato un'idea di laicato speso nella vita civile e politica, nel mondo e per il mondo e non in primo luogo nella chiesa e per la chiesa. E, riprendendo la Deus caritas est, ha precisato il rapporto tra fede e impegno politico, Chiesa e mondo, speranza cristiana e speranze umane; fra la giustizia ricercata dalla Chiesa e l'impegno politico dei laici nella società.
Ho trovato efficaci e qualificate le quattro relazioni tematiche fatte al Convegno: F. Brambilla, Paola Bignardi, Ornaghi e Savino Pezzotta hanno felicemente sviluppato le linee introduttive di Tettamanzi rileggendo la contemporaneità come pro-vocazione per i cristiani.
Il lavoro per ambiti ha avuto nelle introduzioni tematiche il suo momento critico: interventi spesso connotati da un orizzonte troppo personalistico o espressione delle specifiche sensibilità dei relatori. Più stimolante è stato il lavoro dei gruppi, che ha smentito le preoccupazioni della vigilia, che rappresentavano un laicato poco vivace e propositivo. Nei gruppi è invece emersa la capacità del convegno di far dialogare fra loro le diversità e di saper accogliere e dar voce alle diverse realtà del popolo di Dio. Ne sono quindi scaturite interessanti sintesi in assemblea: va dato atto ai moderatori di essersi lasciati fortemente interpellare dal lavoro dei gruppi e dai dibattiti e di aver riportato con fedeltà di esposizione e onestà intellettuale il frutto del dibattito dei delegati. Così, gli elementi di criticità delle introduzioni sono stati superati nelle sintesi finali. Tra i lati positivi di questo convegno, va quindi senz'altro segnalata una forte e qualificata partecipazione, risultato anche di un buon lavoro di preparazione fatto dalle diocesi e a livello regionale. La presenza a Verona di rappresentanti della Chiesa italiana operanti in altre nazioni europee e del mondo e dei missionari ha poi ulteriormente arricchito il dibattito. Possiamo tuttavia cogliere in questo IV Convegno ecclesiale anche alcune ombre. Anzitutto una recensione parziale da parte di diversi media, che evidenzia una difficoltà comunicativa dell'orga-nizzazione del Convegno ed una ricerca del sensazionalismo ancora troppo marcata da parte degli organi di informazione. Con qualche positiva eccezione, come il qualificato intervento di Scoppola su Repubblica. A Verona si è inoltre manifestato un orizzonte ancora troppo relegato negli angusti confini italiani. È mancato cioè un più ampio confronto interculturale: discreto quello sviluppato in ambito europeo, ma ancora insufficiente quello con le altre chiese e con il mondo missionario; auspicabile e non intrapreso quello fra le tre grandi religioni monoteiste (si è notata l'assenza di un esponente del mondo islamico, mentre era presente un rappresentante dell'ebraismo). Così come ancora scarsa è l'apertura sui temi della mondialità. Ad esempio, rimaniamo ancora troppo ancorati ad una visione esclusiva della cittadinanza che si fonda sul rapporto cittadino-straniero, mentre stenta ad imporsi un concetto di cittadinanza mondiale dove l'appartenenza delle persone all'unica famiglia umana diviene elemento fondamentale per l'elaborazione di un nuovo diritto di carattere planetario.
A Verona si è avvertita infatti l'esigenza di un più ampio esercizio della speranza nell'attuale momento storico e il Convegno si è concluso aprendosi alla prospettiva, tipicamente lapiriana, dell'unità, armonia, giustizia e pace universale che esige credenti capaci di dare ragione, con la testimonianza della vita prima che a parole, della speranza che è in loro: "spes contra spem", ci avrebbe ripetuto La Pira.
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