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DON CARLO MOLARI: QUESTO CATECHISMO FARÀ DEL MALEALLA CHIESA. NOSTRA INTERVISTA

Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 05/04/1990

21896. ROMA-ADISTA. “Leggendo questo testo, ho veramente sofferto. Sono convinto che realmente potrà fare del male alla Chiesa”. Sono le parole, dure e meditate, di don Carlo Molari, a proposito della bozza vaticana del “catechismo per la Chiesa universale”, che dovrà dettare le linee per tutti i catechismi che gli episcopati nazionali elaboreranno in futuro (v. notizia precedente). Don Carlo Molari, 62 anni, è tra i più noti teologi italiani. Ha insegnato teologia dogmatica nelle Università romane Lateranense (dal 1955 al 1968), Gregoriana (Istituto di scienze religiose, dal 1966 al 1976) e Urbaniana (dal 1962 al 1978). Negli anni a cavallo del Concilio Vaticano II ha lavorato come “sostituto notaro” al Sant’Uffizio, esperienza da cui fu molto scosso e che dopo qualche tempo abbandonò. Tra il 1970 e il 1978 è stato segretario dell’ATI, l’associazione dei teologi italiani, e sin dal 1969 è membro del comitato di consultazione della sezione dogma della rivista internazionale “Concilium”. Negli anni ‘70 la sua ricerca teologica entrò nel mirino della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio di cui era stato collaboratore. Inquisito e “processato”, nel 1978 fu costretto ad abbandonare l’Università Urbaniana nella quale insegnava e a richiedere il pensionamento anticipato. Oggi svolge attività pastorale presso l’istituto S. Leone Magno di Roma e prosegue la ricerca teologica da “libero battitore”, in una sorta di ministero itinerante. Tra i suoi libri più noti ricordiamo “La fede e il suo linguaggio”, edito dalla Cittadella nel 1972; e “L’avvenire della chiesa”, insieme a Giancarlo Zizola, pubblicato nel 1970 presso le Edizioni Devoniane. Nell’intervista che ci ha rilasciato, don Molari fa una accurata analisi delle luci e delle ombre della bozza di catechismo universale. Eccone il testo. ADISTA :Partiamo da una sua opinione globale sul contesto teologico che ispira questo catechismo. MOLARI: Prima di tutto, allora, bisogna dire che si tratta di un testo provvisorio. Bisogna consolarsi in questo modo, perchè se no... Comunque devo dire che io ho sofferto leggendo questo testo,veramente ho sofferto. Sono convinto che potrà fare del male, realmente, alla Chiesa. Proprio nel periodo in cui molti ambiti culturali,scientifici per esempio,si aprono alla fede e cominciano prendere contatto con i temi religiosi per le aperture che il Concilio ha consentito in questi decenni; proprio in questo momento, questo documento dal punto di vista dei modelli e della sensibilità culturale sembra tornare indietro di decenni. E per questo fa soffrire: potrebbe realmente fare del male. Comunque il testo è stato consegnato ai vescovi, e i vescovi nella loro sensibilità pastorale, potranno non seguire tutte le indicazioni di questo testo, ma comunque è già un segno negativo nei confronti del mondo culturale preparare un documento di questo tipo. Ci sono poi degli elementi contraddittori: dice esplicitamente che non vuole inculturare la fede, cosa che lascia poi ai singoli episcopati, ma di fatto questa è tutta una presentazione dottrinale della fede inculturata, cioè con modelli culturali ben precisi, determinati, e non sempre i più armonici con la cultura del tempo. Si tratta di modelli desueti, non utilizzati più, almeno dai teologi. Questa è la contraddizione: vuole dare una indicazione per il modo in cui riformulare la fede e già la riformula con un modello culturale ben preciso. ADISTA: prima di entrare nel merito del testo, una domanda che molti cristiani si sono posti: c’è veramente necessità di un catechismo per la chiesa universale? MOLARI: questo è un problema che può essere discusso,io non sono per principio contrario ad una indicazione di tipo direttorio, come ad esempio fu il documento-base della CEI deI 1970. Il testo della CEI è veramente una indicazione delle linee generali e d’ispirazione che hanno poi trovato applicazione nei diversi catechismi. Ecco: una cosa del genere può avere un significato. Quello che disturba invece della bozza di questo catechismo è la pretesa di presentare una formulazione universale della dottrina della fede. Non delle indicazioni pastorali per la vita di fede, non delle linee generali anche per la riformulazione della dottrina. Proprio perchè questo è un testo provvisorio, ancora in formazione, è importante che ci sia lo stimolo da parte della base, dei teologi, per dare il loro contributo, per mostrare le loro reazioni, la loro sensibilità. I vescovi certamente sono responsabili di questo lavoro, ma dovranno fare un’opera che possa essere accolta, possa essere efficace e abbia una funzione positiva. Personalmente, penso che oggi sia molto più urgente un documento che dia delle linee per la vita di fede, e non tanto per la dottrina della fede. Quello che più è essenziale è individuare quegli atteggiamenti che la comunità ecclesiale oggi deve assumere per favorire la crescita della vita di fede. In questo senso, il documento non distingue sufficientemente, e anzi a volte proprio confonde tra fede e dottrina della fede. E questo è un punto che ha delle conseguenze notevoli nella stessa impostazione. ADISTA :Il Concilio, per volere di Paolo VI, non diede avvio a un catechismo universale, perchè si ritenne che già i documenti del Concilio sarebbero stati il catechismo degli anni a venire. Perchè dopo solo 25 anni dalla chiusura del Concilio, che nella economia della vita della chiesa sono una piccola cosa, è nata questa esigenza? MOLARI: Io credo che l’esigenza ha un certo fondamento nella molteplicità, nella varietà delle espressioni teologiche che nel frattempo si sono sviluppate, a volte in modo anche “selvaggio”. Credo, cioè, che un poco di responsabilità l’abbiamo anche noi teologi, per non avere sempre avuto quella correttezza necessaria - anche nell’esposizione dei punti di vista, delle nuove ipotesi, delle opinioni -, quell’attenzione alla risonanza che queste ipotesi avrebbero avuto nella comunità cristiana poteva avere. Molte volte alcune ipotesi teologiche - più provocazioni che presentazioni di ipotesi - avevano più una sintonia con il mondo laico o ateo che con il popolo credente. Questo ha portato nei vescovi l’esigenza di portare un pò di ordine. Ma altro da questa esigenza - che è legittima e ha un fondamento - è preparare un catechismo di questo tipo con una pretesa di universalità. E che - contemporaneamente - afferma la necessità dell’inculturazione. Ma non può fare una opera di inculturazione preventiva. L’inculturazione è un processo molto delicato, che non è della dottrina della fede, ma della fede. E’ la fede che si incarna nella cultura; non è una cultura che si incarna in un altra cultura. Quindi, coloro che hanno lavorate alla redazione di questo testo non hanno avvertite qual è la natura dell’inculturazione della fede. Un altro punto: tutto viene messo sullo stesse piano e mescolato insieme: dogmi di fede formulati, spiegazioni teologiche formulate secondo un determinato modello, singole citazioni degli scritti dei padri della Chiesa, discorsi del papa del mercoledì, come se costituissero un’unica dottrina con lo stesso valore. Insomma, il senso della gerarchia delle verità non appare per nulla. Tutto ha la stessa certezza: dalla messianicità di Gesù, agli angeli. Faccio un esempio: quando parla degli angeli, cita una frase di Agostino cui dà un valore particolare, mettendola persino come titolo del capitolo. La frase è “angelos esse ex fide novimus”, dalla fede conosciamo l’esistenza gli angeli. Bene, questo era quello che pensava Agostino, ma non può essere considerato - come sembra fare il catechismo- sullo stesso piano di un dogma di fede. Questo miscuglio, questa mancanza di sensibilità rispetto alla differenza tra nuclei essenziali della fede e verità periferiche, mi sembra molto grave per un documento che vuole presentarsi come indicazione per i diversi catechismi nazionali. ADISTA: Come è impostato il catechismo e a quali modelli teologici si rifà? MOLARI: Lo schema formale è buono, si divide in quattro parti classiche: la fede professata, prendendo in esame il “simbolo apostolico”; la fede celebrata; la fede vissuta e poi la preghiera, con l’esame del Padre Nostro. I problemi emergono sui modelli teologici soggiacenti, che sono modelli prevalentemente della “neoscolastica”,sia per quanto riguarda la cristologia,l’antropologia, la creazione,lo stesso modello trinitario. La teologia di questi ultimi quarant’anni non è entrata per nulla, se non in piccole cose. ADISTA :Quali sono i punti nel quali questa impostazione è più marcata? MOLARI: Innanzitutto, cosa cui ho già accennato, la concezione della fede e della Rivelazione: a me sembra che la dottrina del Vaticano II non sia stata veramente colta e recepita. La fede di per sé viene ricondotta al ritenere per vere determinate verità. Anche se si insiste con la formula della Costituzione conciliare “Dei Verbum”, dell’abbandono totale a Dio, c’è però un passo rivelatore: si dice che “l’ossequio dell’intelletto e della volontà” è la fede. Il Concilio parla invece dell’”abbandonarsi interamente a Dio, prestando l’ossequio dell’intelletto e della volontà”. Quindi la fede è l’abbandonarsi a Dio, non il prestare l’ossequio dell’intelletto e della volontà. Questo perchè si possono ritenere per vere delle verità, ma senza esercitare la fede. Come dice nel Nuovo Testamento Giacomo a proposito dei demoni: che credono, ma non hanno fede che salva. Su questa questione, continuamente ritorna sempre la concezione del recepire delle verità che Dio rivela, come fosse possibile conoscere delle verità che ci riguardano per ricezione di idee o parole divine, e non invece per l’emergere di queste parole nella storia degli uomini. Insomma questa bozza sembra ritenere che ci sono delle conoscenze che noi acquisiamo direttamente da Dio, indipendentemente dalla storia, e che la scienza non può attingere. Ora, io credo che questa posizione non si possa più sostenere. Faccio un altro esempio, relativo al tema della creazione:nel catechismo si sostiene ancora la dottrina dei doni preternaturali, secondo cui l’uomo non sarebbe stato soggetto alla morte e alla sofferenza se non avesse peccato. Cose che nessun teologo, neppure tra quelli ufficiali, sostiene più; cose che non hanno fondamento neppure nella Scrittura. Lo stesso racconto della Genesi - cosa ormai ammessa dalla maggior parte dei teologi - è di tipo eziologico: cioè, a partire dalla storia,individua la fonte e narra della fonte. La storia vissuta nell’orizzonte della fede. Non invece il fatto che Dio ha detto loro qualcosa di più. Questo è il punto. Su questo c’è una grossa ambiguità nel testo. Tanto è vero che in un altro punto viene detto che “è evidente che i racconti biblici sul paradiso non ci danno le informazioni offerte dalle scienze naturali, tuttavia lo stato di giustizia originale è una realtà”. E allora? C’è da chiedersi: da dove emerge questa realtà? Dalla storia o da cosa? ADISTA : Lei vuole dire che questo testo rischia di fare un uso " fondamentalista " della Bibbia? MOLARI: Su questo punto sarebbe necessaria un’ analisi approfondita da parte di un biblista. Molte volte è realmente molto confuso: mette testi uno accanto all’altro, ma non si capisce quale significato abbiano tutti insieme, quale visione ci sia. In alcuni punti ci sono pagine ben fatte, ci sono anche contributi notevoli. Nel complesso, però, mi pare che non tenga conto dei metodi storico-critici. ADISTA :E a proposito del modo in cui vengono trattate le altre religioni? MOLARI: questo è un altro punto che io penso andrebbe rifatto tutto daccapo. Benché la bozza affermi che la rivelazione di Dio comincia con la creazione, poi dice che solo con Israele c’è la risposta alla rivelazione di Dio. Ma se la rivelazione inizia con la creazione e, quindi, continua nella storia, allora la storia degli altri popoli non è luogo di rivelazione? E la risposta che i popoli danno alla Parola di Dio non è già una risposta di fede? Questo modello, che una volta era molto diffuso, secondo cui le religioni sono il tentativo di salire a Dio, mentre solo la religione ebraico -cristiana è la venuta di Dio all’uomo, è offensivo per gli altri popoli e,soprattutto, è infondato. E' un modello senza dubbio preconciliare, che non mette in luce l’azione continua di Dio nella storia, e quindi anche nelle altre culture e religioni. Di conseguenza, manca totalmente l’importanza della “missione” vista come ascolto degli echi della Parola di Dio nelle altre religioni. Il dialogo tra le religioni ha questo fondamento teologico: non è una moda o uno stratagemma diplomatico. ADISTA :Qual è la concezione di Chiesa che ispira la bozza di catechismo universale? MOLARI: L’ecclesiologia che traspare dal documento è ancora un’ecclesiologia un po’ chiusa, che- nonostante qualche distinzione - tende a identificare Regno e Chiesa. Si dice letteralmente che sono la stessa realtà, da “diversi punti di vista”, per cui la preghiera “che il Tuo Regno venga” significa “convoca gli uomini nella tua Chiesa”. Insomma, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza: lo dice esplicitamente al paragrafo 1713. E poi cita la Lumen Gentium al cap. 14, in cui riassume la dottrina della necessità della Chiesa. Ma la L.G. non intendeva in questo senso, perchè l’azione di Dio trascende la tradizione sorta da Gesù,e l’azione dello Spirito è più ampia dell’azione della Chiesa. La Chiesa è si per la salvezza degli uomini, perchè raggiungano la propria identità, la perfezione dei figli di Dio, ma non perchè entrino nella Chiesa o diventino cristiani. Questa idea espressa invece nella bozza è davvero un passo indietro. Io credo che su questo i vescovi suggeriranno diversi cambiamenti. Certamente sarebbe dannosa la pubblicazione del testo così com’è, proprio per la missione della Chiesa e per il volto che la Chiesa presenta al mondo: il lavoro che il Vaticano II ha fatto per dare un nuovo volto alla Chiesa qui di fatto viene annullato. ADISTA :E per quanto riguarda la figura di Gesù Cristo? MOLARI: La cristologia è un’altro dei punti in cui la bozza dovrebbe essere riscritta da principio. Il modello che viene assunto, e che è molto discutibile, è “neocalcedonese”. Rahner direbbe“cripto- monofisita”, di tendenza cioè nascostamente monofisita, che tende ad attribuire a Gesù esclusivamente la natura divina. Vi è un voler ricondurre tutta l’azione di Gesù all’attività divina, mentre è un’attività storica, che riflette e che incarna l’azione di Dio. Il concetto di incarnazione viene stravolto. ADISTA:lei in questa analisi, così puntuale, mette in luce questi modelli teologici che ispirano la bozza del catechismo universale. Eppure, i sette vescovi che hanno redatto il documento hanno insistito pubblicamente sul fatto che durante la stesura del testo si è accuratamente messa da parte ogni opinione teologica. MOLARI: Può darsi che abbiano avuto questa intenzione, ma allora si vede che hanno una concezione dei confini tra teologia e dottrina della fede molto, molto ampia. Per cui la dottrina della fede comprende gran parte della teologia. E i modelli teologici usati - lo ribadisco - sono molto discutibili. Faccio un esempio. Il modello anima-corpo viene usato continuamente senza precisare assolutamente che di per sé è un modello culturale, che in alcuni ambienti orientali potrebbe non avere significato, o che si può prestare ad interpretazioni di tipo dualistico. Quello che rende più perplessi, insomma, è la mancanza di precisazioni. Si utilizzano dei modelli, perchè è necessario. Ma bisogna precisare che non si tratta di dati di fede, ma dì strumenti culturali per esprimere la fede. Solo in questo modo è possibile il processo di inculturazione, che deve essere lasciato alle diverse realtà. ADISTA : Nella bozza si ritorna a parlare con un certo spazio di realtà spirituali, di cui dal Concilio in poi si era parlato con maggiore cautela: ad esempio, gli angeli, il purgatorio, l’inferno... MOLARI: Anche questo dipende da quella mancata distinzione tra fede e dottrina della fede, tra Rivelazione vitale e rivelazione intellettuale. Se si crede che tutto quello che è nella Tradizione non discende dall’esperienza storica, ma viene da altra Fonte, allora tutto quello che si trova nella Scrittura viene attribuito a rivelazione di Dio. Mi spiego meglio. La Rivelazione di Dio si realizza attraverso eventi storici accompagnati da parole. La verità verso la quale siamo condotti non ci è comunicata attraverso idee infuse da Dio - come sembra suggerire in alcuni punti la bozza di catechismo ma attraverso esperienze, narrate poi con formule e con parole umane. Le formule degli uomini includono modelli di pensiero che non appartengono all’esperienza in sé e quindi alla Rivelazione, ma all’interpretazione che gli uomini in un determinato contesto culturale ne danno. Da qui nasce l’esigenza dell’interpretazione, del discernimento, e del Magistero. ADISTA: E quindi anche la necessità della Chiesa. Ma vista in che ottica? MOLARI: Il testo del nuovo catechismo dice, con il Concilio, che tutto il popolo di Dio trasmette la fede, però non dice che “interpreta". L’interpretazione sembra riservarla solo al Magistero. Il che non è esatto, perchè anche il popolo “interpreta”, vivendo la fede. E l’interpretazione autentica del Magistero è tale quando è precisamente la risonanza di ciò che emerge dall’esperienza di fede della Chiesa intera. ADISTA: in conclusione, mi pare che le sue critiche al nuovo catechismo universale segnalino anche un “difetto” complessivo nella costruzione e negli obiettivi che questo testo si propone... MOLARI: secondo me, la preoccupazione principale oggi nella Chiesa dovrebbe essere quella di costituire comunità di santi, non gruppi di uomini che hanno le stesse idee. La fedeltà alla vita è molto più esigente di una dottrina. Ciò che serve alla comunità ecclesiale è prima di tutto la fedeltà all’Evangelo di vita.

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