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IL POTERE E IL SERVIZIO

Tratto da: Adista Documenti n° 74 del 27/10/2007

Non è passata inosservata la visita nel nostro Paese del cardinal Sodano, che è stato nunzio vaticano in Cile tra il 1978 e il 1988. Di giorno in giorno, sono apparsi sempre più commenti, più analisi, più riflessioni: alcuni commenti di corridoio, più timidi, specialmente da parte di ecclesiastici (la “parte clero”, direbbe Pinochet) e altri pubblici, come gli articoli di stampa. Il tutto, forse, in risposta ad una domanda che mi sono formulato più di una volta: che è venuto a fare Sodano?

All’inizio, mi è stato difficile cercare una risposta, perché realmente non so cosa sia venuto a fare. Oggettivamente, è venuto ad unirsi (e, in un certo modo, a guidare) la celebrazione del centesimo anniversario della nascita di un altro cardinale, il cileno Raúl Silva Henríquez, ma la domanda punta chiaramente verso una motivazione più profonda.

In un articolo dal titolo “Angelo & Raúl”, il giornalista e scrittore Pablo Azócar (El Mostrador, 29 settembre) valuta la visita del cardinal Sodano come un gesto da inquadrare nell’“arte della diplomazia”, che “è l’arte delle omissioni, delle ellissi e dei silenzi”. Ma rispetto alla quale Sodano avrebbe perso tutte le forme, in modo persino “bestiale”, partecipando con tanta solennità e disinvoltura a questo omaggio al cardinal Silva. Perché questa valutazione di Azócar? Perché egli è convinto dell’inimicizia storica tra i due cardinali. E lo esprime così: “Sono stati diversi i testimoni e molti gli autori che hanno documentato l’episodio del maggio del 1983, quando un umiliato Raúl lasciò la carica di arcivescovo di Santiago sbattendo la porta in faccia a un imperterrito Angelo. Si cristallizzava lì, fisicamente, una lotta senza quartiere di molti anni”.

Quanti di noi hanno conosciuto don Raúl (personalmente, ho ricevuto dalle sue mani l’ordinazione sacerdotale), hanno sempre saputo dell’evoluzione del suo pensiero e del suo atteggiamento, in aperta resistenza a un sistema che non aveva tardato a combattere. Quando le cose gli si rivelarono chiaramente, non dubitò, non ebbe paura e, accompagnato e reso più forte dai suoi più vicini collaboratori, operò con un’audacia di cui lo ringrazieremo sempre. Il suo motto episcopale lo aveva ripreso da un appassionato testo dell’apostolo Paolo, che dice: “L’amore di Cristo ci spinge”, e nessuno ha mai dubitato che da lì provenissero la sua lucidità e il suo coraggio. Come non ricordare, per esempio, che, quando la dittatura ordinò la chiusura dell’ecumenico Comitato per la Pace, il cardinale stava già creando per conto suo, e a suo rischio e pericolo, la Vicaria della Solidarietà?

Lo vidi piangere singhiozzando nel raccontare a un gruppo di sacerdoti di quando gli aveva fatto visita un cappellano militare armato di una mitraglietta. “Una pistola di questo calibro”, ci disse testualmente, prima di scoppiare a piangere: “Perdonatemi, sono solo un uomo”. E dal fondo un sacerdote levò la sua voce: “E che uomo, signor cardinale!”. E venne un applauso scrosciante che soffocò a fatica il suo pianto. Subito ci esortò a nascondere gente nelle nostre case, a proteggere i perseguitati, a dare asilo a quanti erano minacciati, a difendere la vita.

Commenta Pablo Azócar: “L’uomo dal sorriso ebete (Angelo) si scontrò duramente con Raúl”. E riporta a sostegno della sua affermazione alcuni argomenti. Ma, per contrasto, raccoglie anche la dichiarazione del cardinal Sodano alla stampa, appena atterrato a Pudahuel: “Non so chi ha inventato la menzogna dei dissapori con Raúl, so che in Cile non vi sono bugiardi”. Aggiunge Azócar: “Commosso, (Sodano) ha ringraziato Francisco Javier Errázuriz per l’invito a presiedere la cerimonia di celebrazione dei cent’anni dalla nascita di Raúl”.

In realtà, non è stato propriamente il card. Errázuriz a invitare in Cile il card. Sodano. Lo ha invitato la Fondazione Giovanni Paolo II, istituzione fondata ufficialmente dal card. Fresno, successore immediato di Silva Henríquez, ma creata di fatto da un gruppo di potenti imprenditori cileni, che intrattengono con il card. Sodano una stretta amicizia. Tra loro, Anacleto Angelini, Ricardo Claro, José Luis Del Río, Eliodoro Matte, Jorge Matetic e Jorge Yarur. La Fondazione è nata nell’ottobre del 1987, mesi dopo la visita del papa in Cile, e pertanto sta compiendo 20 anni, gli stessi di quella visita. Sarebbe questa l’“occasione” dell’invito all’amico Sodano, che “curiosamente” è venuta a coincidere con la celebrazione del centesimo anniversario della nascita del card. Silva Henríquez?

Una persona mi ha detto: avranno voluto ringraziarlo per qualche “favore concesso” o consolarlo per la fine della sua carriera in Vaticano? E ha sorriso. Ma mi è venuto da pensare.

Che poteva fare allora l’episcopato cileno di fronte a un fatto già deciso da altri? “Nulla”, mi dice una persona vicina all’arcidiocesi di Santiago, “cioè nient’altro che arrendersi, piacesse o meno all’arcivescovo e all’episcopato”. Così, Francisco Javier Errázuriz, arcivescovo di Santiago, ha dovuto cedere la presidenza della celebrazione al card. Angelo Sodano, gesto apparso a molti totalmente insolito. “L’epi-scopato si è sentito realmente in trappola”, mi ha detto un’altra fonte, “tanto che ci sono stati vescovi che non hanno esplicitamente voluto partecipare alla celebrazione nella cattedrale di Santiago”.

In una dichiarazione pubblica firmata da varie persone e da alcune istituzioni, si denuncia con forza l’“amicizia intima” del card. Sodano con il dittatore Augusto Pinochet nei dieci anni in cui Sodano è stato nunzio in Cile. Ma ancora di più si rimprovera al cardinale il fatto di “essere rimasto in silenzio di fronte alla cattura e all’assassinio dei preti Joan Alsina, Miguel Woodward, Antonio Llidó, Gerardo Poblete e André Jarlan”.

Aggiungono i firmatari: “Esprimiamo la nostra opinione affinché ciascuno, a partire dalla propria coscienza, tenga conto di tutti i fatti che hanno circondato questo controverso cardinale. Lo facciamo per amore del Vangelo e perché, se tacessimo, ci renderemmo complici di episodi gravi e dolorosi della nostra storia recente. E anche per rispetto alla testimonianza e al martirio di tanti nostri fratelli che hanno sofferto l’indifferenza e la persecuzione”. (…)

 

Cose di cardinali

L’avvocato ed editorialista Carlos Peña (El Mercurio, 30 settembre) ha affrontato con la sua consueta acutezza il nodo della questione. In un articolo dal titolo “Cose di cardinali”, egli sottolinea che “la celebrazione del centesimo anniversario della nascita del card. Silva Henríquez ha riportato alla memoria il vecchio scontro con Sodano. È l’ambiguità della Chiesa, che si muove tra il fervore per la giustizia, la difesa di valori astratti legati alla vita intima e il gusto del potere”. Il giorno successivo alla pubblicazione di questo testo, un saggio sacerdote di quasi 90 anni mi ha detto: “È duro. Ma è anche qualcosa di peggio: è vero”.

Peña, in primo luogo, fa riferimento con ammirazione ed entusiasmo alla vita e all’opera di Silva Henríquez. Il suo desiderio di cambiare il mondo, di anticipare il futuro, senza paura dello scandalo, cedendo terre della Chiesa ai contadini insieme al vescovo Manuel Larraín, il suo appoggio incondizionato al Concilio Vaticano II, il suo atteggiamento favorevole alla riforma dell’Università cattolica, la sua difesa appassionata della vita e dei diritti umani. In tutto ciò, sottolinea Peña, “Egli (Sodano)e Silva Henríquez non avrebbero potuto essere più diversi”.

Come è generoso con il card. Silva, Peña è durissimo con il card. Sodano. Lasciando da parte alcune sue allusioni più personali, egli analizza le diverse strategie che guidavano i due cardinali: “Silva Henríquez, infiammato dalla fede e guidato da una rigorosa etica della convinzione. Sodano, al contrario, l’epitome del calcolo e della ragion di Stato”. Entrambi erano mossi dal senso del potere, aggiunge Peña, ma in modo diverso: Silva si rivelò un pastore che, guidato dalla fede, voleva cambiare il mondo”; Sodano, invece, era “capace di dare la comunione a gente della peggior spece”. È duro dirlo.

Forse è l’ora di applicare quello che ha detto il vescovo Gonzalo Duarte quando, guidando la delegazione cilena ad Aparecida, e facendosi eco delle critiche provenienti dall’e-sterno della Chiesa, ha dichiarato in assemblea: “Dobbiamo ascoltare lealmente i nostri detrattori per discernere quanto di vero ci sia nelle loro critiche. E rivedere, alla luce del Vangelo, il nostro stile di vita e di azione, come pure il contenuto e la pedagogia della nostra pastorale”.

È il momento di ascoltare, di analizzare, di discernere, di cercare quanto ci sia di vero. Lealmente. Lucidamente. E questo ci porta, in questo contesto, a interrogarci sul tema del potere nella Chiesa. Appena qualche giorno fa, ho avuto l’opportunità di partecipare alla conferenza di uno psichiatra in cui si accennava ad alcune caratteristiche della nostra società. Parlava della cultura attuale qualificandola come “narcisista”. E spiegava che “il narciso non è colui che ama se stesso ma colui che ingrandisce il proprio io disprezzando gli altri. Che si crede onnipotente”. Aggiungeva: “La cultura narcisista, vincolata al potere, attraversa tutti i sistemi della società, inclusa la Chiesa”.

Sono rimasto a riflettere su quest’ultima affermazione con evidente preoccupazione, perché sono un uomo di questa Chiesa. La Chiesa contaminata dalla struttura narcisista della società? E in che modo contaminata? La Chiesa attaccata al potere, soprattutto a quello che aveva prima? Una Chiesa timorosa di essere messa in discussione, che di fronte alle turbolenze reagisce chiudendosi e irrigidendosi, ponendo limiti alla libertà di opinione e di espressione, con scarsa partecipazione reale delle sue basi? Ancora peggio, una Chiesa disposta a tutto, per esempio a mentire, pur di conservare quelle forme che la aiutino a preservare il potere? Mi duole l’anima, anche solo a domandarmelo.

Guardo a Gesù, scruto il Vangelo e non trovo altro potere che il servizio, il servizio semplice ed umile, con un’opzione per i poveri, gli impoveriti e gli esclusi. E, insieme al servizio, la verità, come diceva Gesù: “Sì, sì; no, no”. È il potere-servizio. Quello che faceva sì che la gente, guardando e ammirando Gesù, dicesse: “Egli sì che ci insegna con autorità, non come ci insegnano i maestri che abbiamo”. Nella Chiesa e con la Chiesa non vorrei tradire mai questo insegnamento di Gesù. E questo è ciò che più mi interessa, anche se non arriverò mai a sapere cosa sia venuto a fare Sodano in Cile.

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