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INTRODUZIONE - 40 ANNI DI INFORMAZIONE IN BILICO TRA TERRA E CIELO

Tratto da: Adista Notizie n° 2728 del 05/04/2008

Il tempo non si ritrova mai, perché una volta che lo si pensa è già cambiato, reso contemporaneo dal nostro coglierlo in un significato e con ciò ricomporlo nella linea di una storia. Niente e nessuno lo riporta indietro, ma lo sguardo di chi se ne sente figlio può dargli il respiro del futuro, a patto di non annientarlo nella banale imitazione o nella pigra rimozione.

Adista è figlia di questi quarant’anni che qui ripercorre, in una memoria che non ha nessuna pretesa di decifrazione o di ricostruzione scientifica, ma che nasce dal profondo riconoscimento di un arco di tempo che questa testata avverte come la propria relazione costitutiva. A costituirci, infatti, c’è sempre una relazione, più che isolate “radici”. E il tempo che ci precede ci parla di identità multiformi, di diversità e contraddizioni, di conflitti e contrasti a volte insanabili, eppure spesso capaci di reciproche sedimentazioni.

Ci riferiamo in particolare a ciò che costituisce la cifra stessa della ragione sociale di Adista, ovvero alla comunicazione circa la rilevanza pubblica di un credo, di una fede condivisa e riconosciuta in una comunità ecclesiale.Ebbene sì, sono quarant’anni che Adista ha la stessa posizione di Ratzinger (?!) sul problema che ancora oggi affanna ‘laici’ e ‘cattolici’ di casa nostra (le virgolette stanno ad indicare la ricezione socio-politica di tali equivocatissime categorie), ovvero se la fede vada relegata in un sussulto intimo della coscienza o se abbia invece una pregnanza storicamente e civilmente percepibile. Non c’è dubbio: Adista ha sempre optato per la seconda opzione. Non è in discussione qui l’adesione interiore e personalissima al colloquio con Dio, ma, ovviamente, il vissuto storico che da esso deriva.

Qualcuno vuole forse negare la rilevanza pubblica di credenti o comunità di credenti capaci di dare la vita per il loro prossimo, o capaci di organizzare insieme ad altri “uomini di buona volontà”, in tante fasi della storia e in tante parti del mondo, una resistenza in vista di una liberazione umana? E per converso, qualcuno può negare la rilevanza pubblica di un certo cattolicesimo politico tranquillamente ‘limitrofo’ e rassegnato (quando non addirittura associato) al predominio delle mafie su circa la metà del nostro Paese? Ma ancora: ha o no rilevanza pubblica la capacità di “dare ragione della propria speranza” attraverso la comune articolazione del pensiero, necessariamente relativo, in conflitto e in ricerca data la finitezza della condizione umana?

Il problema è allora cosa si vuole intendere con rilievo pubblico di una fede: la sua affermazione confessionale anche per via statuale o la sua fecondità storica? Certo, la distinzione non si taglia con l’accetta e sulle tracce della consapevolezza o meno circa almeno la domanda si è incentrato il lavoro quarantennale di Adista, un lavoro che pare ancora decisamente necessario. Con a fronte una sfida seria: evitare l’omologazione della “risposta esatta”, magari “politicamente corretta” secondo lo spirito “progressista” o “cattolico” del momento. Continuando a cercare il riscontro della laicità nella tensione verso “pace, giustizia e salvaguardia del creato”: quella tensione - non risolvibile unilateralmente - tra Terra e Cielo che la metafora dell’Incarnazione indica a tutti i “pensanti” come ascolto della coscienza umana in relazione con Altri da sé, contro ogni chiusura identitaria e contro ogni conseguente cedimento di comodo al determinismo dei fatti e dei poteri forti di questo mondo, mascherati da “razionale oggettività”. 40 anni fa l’Italia blindata dal dogma dell’unità politica dei cattolici, fu scossa dalla dirompenza del Concilio, che innescò la spinta del cambiamento. Ma il Concilio fu presto dimenticato dalle gerarchie e il processo di rinnovamento bloccato attraverso una feroce normalizzazione che ha lasciato sulla strada innumerevoli vittime, laici, preti, vescovi, teologi. Eppure, nonostante le sconfitte e gli arretramenti, la storia non si cancella e la fiaccola che si era riaccesa davanti al popolo credente è ancora là, non può essere spenta e continua ad interrogare coloro che non si rassegnano all’esistente, coloro che non rinunciano all’attesa e alla speranza di cieli nuovi e terra nuova. Di fronte, oggi, la sfida di una nuova e più pericolosa rappresentazione di unità politica: quella gestita in proprio della Cei, diventata un partito forte, che non ha bisogno del consenso popolare e che - anzi - ne fa volentieri a meno. Quelli contenuti in queste pagine sono allora 40 anni di fatti, notizie, documenti, personaggi, da rileggere d’un fiato. Per contrastare l’alzheimer politico-ecclesiale di questi nostri tempi; per imparare dalle nostre vittorie e dai nostri errori; per re-innestarci dentro un cammino di liberazione iniziato prima di noi e che – se inevitabilmente proseguirà anche dopo di noi – pure ci chiede di prendere il nostro posto, di rispondere alla nostra vocazione di laici chiamati alla costruzione del Regno.Se 40 anni fa Adista aveva 1000 ragioni per esistere, oggi a quelle 1000 se ne aggiungono altre 1000 per proseguire con la stesso impegno di allora. Adista intende infatti continuare ad essere lo strumento attraverso il quale la moltitudine dei credenti e degli uomini di buona volontà, della base, degli anonimi, dei sommersi o di chi è ridotto al silenzio può rivendicare il proprio diritto alla parola, alla conoscenza e alla coscienza. E, soprattutto, Adista intende restare luogo di incontro e di confronto, palestra e agorà per chiunque desideri difendere e diffondere, confrontare e confutare tesi e progetti, proposte e risposte. Con la speranza di vivere con la stessa intensità anche i nostri prossimi 40 anni.  

Valerio Gigante e Maria Rita Rendeù

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