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UN NUOVO PATTO PER RIFONDARE IL SISTEMA FINANZIARIO

Tratto da: Adista Documenti n° 89 del 13/12/2008

(...) È indubbio che si è giunti all'emergenza finanziaria di oggi dopo un lungo periodo nel quale, pressati dall'obiet-tivo immediato di perseguire risultati finanziari a breve, si sono trascurate le dimensioni proprie della finanza: la sua vera natura, infatti, consiste nel favorire l'impiego delle risorse risparmiate là dove esse favoriscono l'economia reale, il bene-essere, lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini (Paolo VI, Populorum progressio, 14). La Conferenza di Doha è dunque un'occasione che la comunità internazionale non deve perdere per rimettere al centro questioni di fondo importantissime per il bene comune dell'umanità: il finanziamento allo sviluppo è una di queste.

(...) In un momento di crisi, come quello attuale, è appropriato porre domande che, quando tutto sembra andare bene, sarebbero trascurate o irrise. Come mai si è arrivati a questa disastrosa situazione, dopo un decennio in cui si sono moltiplicati i discorsi sull'etica degli affari e della finanza e in cui si è diffusa l'adozione di codici etici? Come mai non è stato dato sufficiente peso al verificarsi di episodi che avrebbero dovuto far riflettere?

La risposta a queste domande non può non mettere in evidenza come la dimensione etica dell'economia e della finanza non è un qualcosa di accessorio, ma di essenziale e deve essere costantemente tenuta in considerazione e incidere realmente se si intende perseguire dinamiche economiche e finanziarie corrette, lungimiranti e feconde di progresso.

In questa prospettiva, la dottrina sociale della Chiesa, con la ricca varietà dei suoi principi morali, può e deve dare un contributo di realismo e di speranza sia alle questioni oggi sul tappeto, quali la crisi finanziaria, sia alle questioni che, pur essendo di importanza vitale per la gran parte del mondo, non ricevono l'attenzione che meritano. Si tratta della necessità di un nuovo patto per rifondare il sistema finanziario internazionale; della questione dei centri finanziari "offshore" e del nesso fra finanziamento dello sviluppo e fiscalità; del mercato finanziario e delle regole; del ruolo della società civile nel finanziamento dello sviluppo.

 

Un nuovo "patto" finanziario internazionale

(...) Siamo di fronte alla necessità di una semplice revisione, o di una vera e propria rifondazione del sistema delle istituzioni economiche e finanziarie internazionali? Molti soggetti, pubblici e privati, nazionali e internazionali, richiedono una sorta di nuova Bretton Woods. Al di là dell'e-spressione utilizzata, la crisi ha indubbiamente riportato in primo piano l'urgenza di individuare nuove forme di coordinamento internazionale in materia monetaria, finanziaria e commerciale.

Oggi appare chiaro che la sovranità nazionale è insufficiente; persino i grandi Paesi sono consapevoli del fatto che non è possibile raggiungere gli obiettivi nazionali contando unicamente sulle politiche interne: accordi, regole e istituzioni internazionali sono assolutamente necessari. Occorre evitare che si inneschi la catena del protezionismo reciproco; piuttosto si devono rafforzare le pratiche di cooperazione in materia di trasparenza e di vigilanza sul sistema finanziario. È persino possibile raggiungere soluzioni di "sovranità condivisa", come dimostra la storia dell'integrazione europea, a partire dai problemi concreti, dentro una visione di pace e di prosperità, radicata in valori condivisi.

Anche nel ridisegnare le politiche e le istituzioni internazionali si apre dunque una questione morale di grande rilevanza. In particolare, è importante che il pur necessario confronto politico fra i Paesi "più ricchi" non porti a soluzioni basate su accordi esclusivi, ma rilanci uno spazio di cooperazione aperto e tendenzialmente inclusivo. Tale spazio inclusivo di cooperazione è particolarmente rilevante in materia di finanza per lo sviluppo.

I flussi finanziari che connettono i Paesi sviluppati coi Paesi a basso reddito presentano almeno due elementi paradossali. Il primo è rappresentato dal fatto che nel sistema globale sono i Paesi "poveri" a finanziare i Paesi "ricchi", che ricevono risorse provenienti sia dalle fughe di capitale privato, sia dalle decisioni governative di accantonare riserve ufficiali sotto forma di attività finanziarie "sicure" collocate nei mercati finanziariamente evoluti o nei mercati "offshore". Il secondo paradosso è che le rimesse degli emigrati - cioè della componente meno "liberalizzata" dei processi di globalizzazione - comportano un afflusso di risorse che, a livello macro, superano largamente i flussi di aiuto pubblico allo sviluppo. È come dire che i poveri del "Sud" finanziano i ricchi del "Nord" e gli stessi poveri del "Sud" devono emigrare e lavorare al "Nord" per sostenere le loro famiglie al "Sud".

 

I centri finanziari "offshore"

(...) Le stime dell'ammontare della ricchezza detenuta nei centri "offshore" sono di difficile valutazione, ma abbastanza impressionanti se si confermassero le informazioni in circolazione:  si dice che una vasta schiera di gruppi e individui deterrebbero applicazioni finanziarie nei centri "offshore" che potrebbero rendere circa 860 miliardi di dollari all'anno e che corrisponderebbero a un mancato introito fiscale di circa 255 miliardi di dollari: più di tre volte l'intero ammontare dell'aiuto pubblico allo sviluppo da parte dei Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).

Poiché il finanziamento pubblico allo sviluppo non può che venire dal prelievo fiscale, questo diventa quanto meno critico in epoca di globalizzazione. (...). Si erode il prelievo fiscale sulle attività imprenditoriali più grandi e più mobili in campo internazionale o che possono facilmente ricorrere ai centri "offshore". Si tassano invece maggiormente i fattori produttivi meno "mobili" e che difficilmente possono sfuggire all'onere fiscale, e cioè i lavoratori e le piccole imprese. (...).

 

Regolamentazione del mercato finanziario

(...) I mercati finanziari non possono operare senza fiducia; e senza trasparenza e senza regole non ci può essere fiducia. Il buon funzionamento del mercato richiede dunque un importante ruolo dello Stato e, dove appropriato, della comunità internazionale nel fissare e nel far rispettare regole di trasparenza e di prudenza. Si deve ricordare, però, che nessun intervento di regolazione può "garantire" la sua efficacia a prescindere dalla coscienza morale ben formata e dalla responsabilità quotidiana degli operatori del mercato, specie degli imprenditori e dei grandi operatori finanziari.

(...) Occorre raggiungere l'essere morale più profondo delle persone, occorre una reale educazione all'esercizio della responsabilità nei confronti del bene di tutti, da parte di tutti i soggetti, a tutti i livelli: operatori finanziari, famiglie, imprese, istituzioni finanziarie, autorità pubbliche, società civile.

Questa educazione alla responsabilità può trovare un fondamento solido in alcuni principi indicati dalla dottrina sociale, che sono patrimonio di tutti e base di tutta la vita sociale: il bene comune universale, la destinazione universale dei beni, la priorità del lavoro sul capitale.

In fondo, la crisi finanziaria è l'esito di una prassi quotidiana che aveva il suo caposaldo nella assoluta "priorità del capitale" rispetto al lavoro - incluso il lavoro, alienato, degli stessi operatori finanziari (ore di lavoro lunghissime e stressanti, orizzonte temporale di riferimento per le decisioni cortissimo). È anche l'esito di una prassi distorta per cui si presta più volentieri a chi è "troppo grande per fallire" e non a chi si assume il rischio di creare reali occasioni di sviluppo.

 

Ruolo della società civile nel finanziamento allo sviluppo

(...) La finanza per lo sviluppo richiede di mettere a tema sia l'aiuto pubblico allo sviluppo, sia il ruolo degli altri attori: persone, imprese, organizzazioni. In particolare, la società civile non solo svolge un importante ruolo attivo nella cooperazione allo sviluppo, ma essa riveste un ruolo significativo anche nel finanziamento dello sviluppo. (...). Anche l'adozio-ne di comportamenti responsabili in materia di consumo e di investimento costituisce una importante risorsa per lo sviluppo. Il diffondersi di tali comportamenti responsabili, dal punto di vista degli effetti materiali, può fare la differenza sul funzionamento di certi particolari mercati; ma la loro importanza risiede soprattutto nel fatto che essi esprimono una concreta partecipazione da parte delle persone - in quanto consumatori, in quanto investitori del risparmio familiare oppure in quanto decisori delle strategie aziendali - alla possibilità che i più poveri escano dalla loro condizione di povertà.

 

Crisi finanziaria e aiuti pubblici allo sviluppo

(...) È ragionevole pensare che l'aiuto pubblico allo sviluppo, che proviene da stanziamenti di bilancio che ogni Paese stabilisce di anno in anno, soffrirà a causa delle ingenti risorse pubbliche necessarie a tamponare l'emergenza della crisi finanziaria. E questo è un male, indiscutibilmente. Un finanziamento dello sviluppo adeguato richiede un orizzonte di lungo periodo: è necessario che le risorse affluiscano in modo prevedibile, a condizioni favorevoli, per finanziare opere che talvolta richiedono molto tempo prima di recare beneficio alla popolazione locale.

Tuttavia, (...) esiste, e va tenacemente ricercata, la possibilità di contribuire a una uscita sostenibile dalla crisi finanziaria, anche costruendo le condizioni perché i risparmi che si generano siano indirizzati davvero allo sviluppo, cioè alla creazione di occasioni di lavoro. Basta pensare a quanti bisogni insoddisfatti esistono, specie nei Paesi a basso reddito: quei bisogni sono l'altra faccia delle occasioni di lavoro che è possibile, quindi doveroso, creare. (...).

Gli attuali investimenti diretti nei Paesi poveri

(...) Occorre (...) cautela prima di interpretare gli afflussi di capitale verso i Paesi come un segnale inequivocabilmente positivo, e quindi puntare a incrementarne semplicemente la quantità. In molti casi, si tratta effettivamente di importanti occasioni di crescita economica e di sviluppo sociale; in altri, non è così. Ci sono, infatti, investimenti che comportano il coinvolgimento e la formazione dei lavoratori locali, il trasferimento di tecnologia, la diffusione di pratiche manageriali responsabili; ma ci sono anche investimenti che si limitano a valorizzare le risorse minerarie a beneficio di pochi - dell'élite politica o economica locale - oltre che, naturalmente, dell'investitore straniero.

 

Cooperazione finanziaria per lo sviluppo

A seguito della Conferenza di Monterrey, sono stati compiuti alcuni significativi passi avanti, perseguendo talune delle direzioni indicate dal "Monterrey Consensus". Nella "Action against Hunger and Poverty", inizialmente promossa da alcuni Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo e successivamente fatta propria da numerosi altri Stati, sono state identificate diverse possibili fonti innovative di finanziamento (...).

Nonostante i progressi, però, la cooperazione finanziaria per lo sviluppo rimane ancora un enorme problema. Inoltre, molti altri ambiti di azione inclusi nel "Monterrey Consensus" non hanno visto progressi di sorta; questo vale soprattutto a proposito delle questioni sistemiche e in particolare della coerenza delle politiche economiche internazionali. Si pensi, per esempio, al nesso fra le politiche di aiuto allo sviluppo e le politiche commerciali dei Paesi avanzati: le diverse forme di protezionismo palese o nascosto, così come le persistenti limitazioni all'accesso delle esportazioni dei Paesi poveri nei mercati dei Paesi ricchi, sono un ostacolo enorme allo sviluppo. Le politiche nazionali restano fortemente incoerenti: con una mano si dà, con l'altra si toglie.

Un'ultima, importante cautela: bisogna stare attenti a non confondere i mezzi (le risorse finanziarie) e il fine, ossia lo sviluppo. Non basta predisporre un ammontare adeguato di finanziamenti per pensare di ottenere, in modo meccanico, lo sviluppo. Esso non è tanto il "risultato" che si troverà alla fine, ma la strada che giorno per giorno viene tracciata dalle scelte concrete di molteplici attori: governi donatori e riceventi, organizzazioni non governative, comunità locali. (...).

Oggi, la tendenza preponderante è quella di considerare il canale "da Stato a Stato", il cosiddetto budget support, come la via più efficace per far arrivare risorse ai Paesi a basso reddito. Questa tendenza va guardata con una qualche preoccupazione, perché porta con sé il rischio di una "burocratizzazione" delle politiche nazionali di lotta alla povertà e di un ridimensionamento delle risorse disponibili per le varie forme di iniziativa sociale locale, sia da parte delle organizzazioni della società civile, sia da parte di realtà locali radicate nel territorio quali le faith based organizations. Eppure, queste realtà sono le vere protagoniste dello sviluppo inteso come percorso da tracciare giorno per giorno.

 

Africa e finanziamento dello sviluppo

Un'attenzione particolare al Continente africano, in cui la mappa dello sviluppo registra forti disparità, è doverosa. In Africa la situazione è diversa da Paese a Paese; anzi, si nota una tendenza alla polarizzazione fra le situazioni di successo nel reperire risorse e metterle a frutto, e situazioni di totale marginalità. Per esempio, solo pochi Paesi africani attraggono investimenti esteri diretti non esclusivamente interessati allo sfruttamento delle risorse minerarie o energetiche. Molto dipende dalla situazione interna a ciascun Paese; nei termini del "Monterrey Consensus": dalla capacità di mobilitare risorse interne e di lottare contro fughe di capitali, evasione fiscale, corruzione.

Inoltre, è evidente che in situazioni di conflitto armato - numerose, purtroppo, in Africa - la dimensione economica dello sviluppo diventa semplicemente non proponibile.

Quanto al condono del debito estero, i progressi ci sono stati; tuttavia, le risorse per la cancellazione del debito raramente sono state addizionali rispetto ai flussi di aiuto e questo ha comportato degli effetti di ricomposizione dei bilanci pubblici senza un reale incremento delle risorse disponibili per le azioni di lotta alla povertà.

Due punti vanno opportunamente sottolineati. Uno riguarda le scelte di politica internazionale dei Governi africani: va sostenuta la crescente volontà di cooperazione internazionale Sud-Sud, in un continente dove acquisire una certa consuetudine alla cooperazione internazionale potrebbe contribuire a incanalare preventivamente i conflitti in uno spazio negoziale non cruento. La seconda riguarda le scelte di politica interna, in materia di lotta alla povertà e sviluppo:  occorre essere convinti sostenitori della soluzione sussidiaria, che valorizzi e rafforzi le forme di risposta ai bisogni che nascono "dal di dentro" della società africana, la quale possiede un grande patrimonio di cultura solidale che sa esprimersi con una straordinaria forza di testimonianza.

L'esperienza di cooperazione internazionale allo sviluppo è ormai sufficientemente ampia da permettere di concludere che politiche e risorse "calate dall'alto" possono produrre effetti benefici immediati, ma da sole non forniscono risposte adeguate a come uscire, in modo sostenibile, dalla povertà. I principi di sussidiarietà e di solidarietà, tanto cari alla dottrina sociale della Chiesa, possono ispirare un autentico sviluppo nel segno di un umanesimo integrale e solidale.

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