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Un Concilio: perché no?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 33 del 21/03/2009

Si torna a parlare di un Concilio. Del resto anche il Vaticano II fu una sorpresa. Da anni i cardinali esaminavano l’ipotesi di un concilio che… completasse il Vaticano I. E si era concluso che era meglio non rischiare: per guidare la Chiesa bastava il Papa.

Invece Giovanni prese la decisione coraggiosa. E i risultati furono, forse, anche migliori di quel che aveva sperato. Monaci e teologi uscirono dalle catacombe dove si erano rifugiati negli anni del trionfalismo, nei giorni dell’onnipotenza. Il popolo cristiano sentì che il Concilio, la bontà e la speranza del Papa, lo interpellavano. Fiorì una primavera, e la sua aria e il suo profumo sono durati finora.

Ma i tempi sono cattivi, o almeno mutevoli ed aspri. Il volto della Chiesa è tornato arcigno. Il cardinale Walter Kasper ha detto che dopo la breve stagione conciliare “la Chiesa ha ripreso ad avere paura del proprio coraggio”. Certo: ciascuno cerca di svolgere al meglio il suo ruolo. Ma lo fa da solo, con un pizzico di diffidenza verso gli altri. Nel mondo uomini di fede, religioni e chiese sorelle cercano di testimoniare l’onnipotenza e l’amore di Dio in tante maniere, qualche volta contraddittorie. Ognuno per sé, guardando agli altri con sospetto, ostilità, invidia…

La Chiesa, ha scritto Severgnini, un giornalista che legge nell’animo della gente, non riesce più a scaldare il cuore degli uomini. Lo sperimentiamo ogni giorno. Vediamo tanti cuori che si accendono per superficiali emozioni o per fanatismo; assai meno per amore e speranza. Ecco perché qualcuno, come il teologo Vito Mancuso, invoca un nuovo concilio.

Certo, un concilio sarebbe un rischio: con l’aria che tira potrebbe essere un modo per seppellire, e non per sviluppare, il Vaticano II. Ma noi abbiamo fiducia nel Popolo di Dio e soprattutto nello Spirito. Pensiamo che un’esperienza di comunione qual è un concilio serva a trasformare le persone e a renderle capaci di un’intelligenza e una carità molto più grandi di qualsiasi ragionevole previsione. Si può sperare e pregare per un concilio che nasca anche dalla riflessione, dalla partecipazione e dalla preghiera di tutto il popolo di Dio. Un concilio che riscaldi il cuore di ciascuno e lo renda così generoso da sopportare di buon grado i vicini e da amare i lontani…

In soli cinquant’anni il mondo è cambiato in modo straordinario e cambierà anche di più. Abbiamo bisogno di essere in tanti a pensare e a credere, a immaginare il futuro e ad affrontarlo con gioia e coraggio, senza presunzioni di conquista ma senza timidezze. Un dialogo aperto e franco, nella carità, è la strada giusta. Anche la recentissima lettera di “spiegazioni” del Papa ai vescovi sulla revoca della scomunica ai lefebvriani è un bel gesto di sincerità e di dialogo, reso possibile e necessario proprio dalla vivacità e dalla sincerità con la quale i cattolici di tutto il mondo avevano espresso la loro perplessità per un gesto che appariva poco chiaro e comprensibile.

Un concilio è certo, umanamente parlando, un rischio. Ma i mille e mille conciliaboli, gli sguardi dolenti, tante coscienze deluse, il ripiegamento nell’emotività e nel devozionismo non sono un rischio maggiore?

Papa Benedetto nella sua Enciclica ci aveva ricordato che Dio è amore. Ma non sempre la Chiesa lo ricorda e lo crede davvero. Non possiamo immaginare, e credere, che possa esserci un concilio che sia una grande esperienza ecclesiale di amore (e dunque di verità e di libertà)? E che ci aiuti ad incarnare questa verità essenziale, una theologia cordis, nella vita quotidiana? Naturalmente un concilio che non si limiti a dotti e vivaci dibattiti in aula o in commissioni, ma che riscopra il primato della Parola e coinvolga, spiritualmente ma non solo, tutte le componenti del popolo di Dio, secondo le competenze e le possibilità di ciascuno.

Il clima generale della società e della chiesa è oggi piuttosto depresso, scoraggiato. Abbiamo molta paura. Quasi non si vedono le cose belle e talora straordinarie che pure accadono, i mirabilia Dei. Forse dobbiamo proprio imparare da papa Giovanni che seppe leggere la realtà con occhi nuovi, con uno stile che ricordava quello di Gesù. Ci aveva insegnato a non avere paura. Forse converrebbe proprio ripartire di lì. (ab)

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