NON SI PUÒ FARE TEOLOGIA IGNORANDO L’AFRICA. SPERANZE ED ATTESE DELLA CHIESA DEL CONTINENTE
Tratto da: Adista Documenti n° 103 del 17/10/2009
DOC-2199. ROMA-ADISTA. Se, come ha scritto il teologo tedesco Johann Baptist Metz, “non si può fare teologia ignorando Auschwitz”, lo stesso andrebbe detto per l’Africa, definita non a caso da dom Pedro Casaldáliga “la shoah del nostro tempo”. Lo aveva compreso molto bene il grande teologo e sociologo camerunese Jean-Marc Ela, scomparso il giorno di Natale del 2008, a 72 anni, nel suo volontario esilio canadese: “A partire dall'olocausto africano, possiamo chiederci da che parte sta, in verità, la Chiesa”. Una Chiesa a cui Ela rimproverava l’adozione di un modello di fede incapace di rispondere alle necessità dei popoli africani. Una Chiesa che, secondo la teologa keniana Philomena Njeri Mwaura, del Dipartimento di filosofia e di studi religiosi della Kenyatta University di Nairobi, non sembra “sia riuscita a promuovere a sufficienza un’autentica identità cristiana e a dar vita a comunità che trascendano le barriere etniche”, rivelandosi per esempio incapace, durante la crisi esplosa in Kenya all'inizio del 2008 (in seguito a un un’elezione presidenziale controversa che, tuttavia, è stata “solo il fattore scatenante di un profondo odio etnico”), di “assumere un ruolo profetico”, di “essere la coscienza della nazione”. Una Chiesa - ha affermato la teologa durante un seminario di formazione promosso a Nairobi, dal 18 al 22 agosto, dal Forum internazionale dell’Azione Cattolica (Ifca) e dalla Commissione per la pastorale, l’apostolato dei laici e la vita familiare del Consiglio Ecumenico delle Chiese, sul tema “Voi siete il Sale della Terra... Voi siete la luce del mondo” - spesso inadeguata a far fronte all'erosione del tessuto morale e sociale del continente conseguente alla distruzione dell’identità culturale africana, e messa “a dura prova” dalle ingiustizie storiche, dall’esclusione sociale, dalla disoccupazione, dallo squilibrio economico, dalla povertà, dagli opposti interessi politici. Finché il Vangelo non avrà portato a compimento la trasformazione della società inculturandosi nel contesto africano, sottolinea Philomena Njeri Mwaura, “dovremo continuare a lamentare una ‘missione incompleta’, un ‘Vangelo superficiale’ e un ‘cristianesimo schizofrenico’”.
Ma quella “shoah del nostro tempo” che per Casaldáliga è l’Africa interpella tutti i cristiani e in particolar modo quelli europei. Non per nulla l’economista spagnolo Luis de Sebastián, scomparso lo scorso maggio all’età di 74 anni, ha titolato uno dei suoi ultimi libri “Africa, peccato dell'Europa”. “L'Africa - scrive il missionario comboniano Alex Zanotelli - è oggi l'immagine viva del Servo Sofferente, del Cristo Crocifisso: è un continente crocifisso, che ci interpella direttamente come Chiesa universale e Chiesa italiana”. Se infatti l’Africa è il peccato dell’Europa, lo è sicuramente anche del nostro Paese, come Zanotelli dimostra esaurientemente nel suo articolo “E noi italiani?”.
A cominciare dai misfatti, sempre molto sottovalutati, degli interventi coloniali italiani, primi fra tutti i massacri in Libia e in Etiopia, per continuare con “i guai che la nostra politica ha creato in quelle nazioni dopo la loro indipendenza, in particolare nel Corno d'Africa, dove abbiamo perseguito solo gli interessi delle nostre compagnie”, fino al disastro dell’attuale politica estera italiana nei confronti dell’Africa, è fondamentale, sottolinea Zanotelli, “iniziare ad assumerci le nostre responsabilità in questa tormentata storia del continente”. Così, se l’Italia figura all’ultimo posto tra i Paesi donatori industrializzati (e gli scarsissimi fondi disponibili vengono destinati in maniera privilegiata ai Paesi che collaborano nella lotta ai flussi migratori - nel contesto, oltretutto, di una gestione pesantemente affaristica della cooperazione), il nostro Paese gioca però un ruolo di spicco sul terreno militare, non solo attraverso un’industria delle armi tra le più fiorenti al mondo (all’ottavo posto per le armi pesanti e addirittura al secondo per quelle leggere), ma anche mediante l’o-spitalità offerta all’Africom, il comando delle forze armate Usa per l’Africa, “per tenere militarmente in pugno” il continente. Per non parlare, poi, delle leggi “razziste e razziali” che configurano l’attuale politica migratoria dell’Italia, dal-l’introduzione del reato di immigrazione irregolare fino ai respingimenti dei barconi, rispediti in Libia “come se portassero rifiuti tossici”. Di seguito ampi stralci dell’intervento tenuto dalla teologa Philomena Njeri Mwaura al seminario di Nairobi, in una nostra traduzione dall’inglese, e la versione integrale dell’articolo di Alex Zanotelli sulle responsabilità italiane nei confronti dell’Africa. (claudia fanti)
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