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CHIESA E PEDOFILIA: LE PAROLE DI OGGI, LE OMISSIONI DI IERI. INTERVISTA A MARCO MARCHESE

Tratto da: Adista Notizie n° 32 del 24/04/2010

35545. ROMA-ADISTA. Man mano che la stampa internazionale rivela i casi di preti pedofili e denuncia le coperture di cui essi hanno goduto presso le curie diocesane e i dicasteri vaticani, la gerarchia cattolica corre ai ripari: rimuovendo i presbiteri colpevoli, intervenendo nei confronti degli ecclesiastici che pur sapendo tacquero, assicurando la volontà ed il proprio impegno di collaborare con le autorità civili.

Lo zelo del presente non corrisponde però alla prassi del passato. E c’è un caso che dopo molti anni, attende ancora l’intervento delle autorità ecclesiastiche. Un caso in cui emerge, con inoppugnabile chiarezza, la responsabilità del vescovo che, pur sapendo, scelse di non intervenire nei confronti di un prete della sua diocesi c’è. E lo rese pubblico, nel 2004, proprio la nostra agenzia. È quello di Marco Marchese, che nel luglio del 2004 (v. Adista nn. 53 e 54/04) raccontò ad Adista di aver subito violenze a partire dall'età di 12 anni, appena entrato nel seminario minore di Agrigento, da parte di don Bruno Puleo, che lavorava lì come assistente. Gli abusi si protrassero per 4 anni, fino a quando Marchese trovò la forza di parlarne con il vice rettore del seminario, don Silvano Castronovo, ed il rettore, don Gaetano Montana, che però gli consigliarono di stare tranquillo e di mantenere il silenzio su quegli episodi. Marco, nel novembre del 2000, si rivolse allora al vescovo di Agrigento, mons. Carmelo Ferraro. Ma Ferraro non prese alcun provvedimento contro don Bruno il quale, nel frattempo continuò ad abusare anche di altri ragazzi. Rivoltosi ad un avvocato, Marco ricevette allora dalla Curia un'offerta di risarcimento di 45 milioni di lire, sperando che la vicenda si chiudesse lì. Ma Marchese non volle accettare che sul suo caso calasse definitivamente il silenzio e decise nel 2001 di presentare un esposto alla procura della Repubblica. Solo nel 2002, don Puleo, pur mantenendo i suoi incarichi pastorali e senza che nei suoi confronti venisse avviato alcun procedimento canonico, veniva spostato dalla popolosa parrocchia di Palma di Montechiaro a quella più piccola di Sant'Anna, un borgo in provincia di Agrigento. Il procedimento giudiziario nei confronti del prete si concluse il 7 luglio 2004, quando don Puleo patteggiò una condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per abusi sessuali nei confronti di 7 ragazzi che frequentavano il seminario di Agrigento. In sede civile, Marchese chiese alla Curia un risarcimento per i danni subiti. Per tutta risposta, mons. Ferraro citò a sua volta Marchese, pretendendo dalla vittima un risarcimento di 200mila euro per i danni che lui avrebbe causato alla “immagine” e al “prestigio” della Chiesa di Agrigento presso l'“opinione pubblica”. Richiesta che Ferraro fu successivamente costretto a ritirare, sotto la pressione dell’opinione pubblica, dopo la partecipazione, nel dicembre 2006, di Marchese alla trasmissione “Mi manda RaiTre”.

A Marco Marchese, attualmente impegnato in numerose iniziative di lotta alla pedofilia ed animatore dell'Associazione per la Mobilitazione Sociale, Adista ha rivolto alcune domande sul modo con cui la Chiesa sta affrontando i nuovi casi di abusi denunciati dalla stampa internazionale.

Cominciamo dalle recenti dichiarazioni delle gerarchie vaticane sulla pedofilia all’interno della Chiesa e la necessità della denuncia alle autorità civili degli abusi dei preti. Solo proclami o qualcosa sta realmente cambiando nella Chiesa?

Da quando scoppiò il mio caso ad oggi credo che qualcosa sia effettivamente cambiato. Anche perché all’epoca la gestione di vicende come quella in cui sono stato mio malgrado coinvolto venivano gestite a livello essenzialmente locale. Oggi invece sembra che il Vaticano intenda esercitare un maggiore controllo sui tribunali diocesani. Anche altri passi annunciati in questi giorni mi sembrano importanti. Ad esempio l’annuncio che verrà abolito ogni termine di prescrizione nei casi di abusi sessuali su minori. Anche la “Guida” pubblicata sul sito del vaticano e che si dice essere del 2003, quella che contiene le linee guida da osservare nei casi dei preti pedofili, sarebbe di per sé importante. Ma o è un falso, o chi doveva applicarlo non lo ha fatto. Del resto, come ha recentemente osservato il procuratore aggiunto di Milano, Pietro Forno, non si registrano in Italia segnalazioni o denunce all’autorità giudiziaria fatte da vescovi nei confronti di preti delle loro diocesi sospettati di abusi.

 

E poi quella “Guida” contraddice il De Delictis Gravioribus sulla fondamentale questione del silenzio…

Infatti. Da una parte nella “Guida” si afferma la collaborazione con le autorità civili; dall’altra, nel De Delictis Gravioribus la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede afferma che dei casi di pedofilia tra il clero non si deve parlare. Piuttosto contraddittorio. In ogni caso, sarebbe bastato applicare quello che c’era scritto nella “Guida”… niente di più.

 

In Italia, i casi di pedofilia che hanno coinvolto preti o religiosi sono assai pochi rispetto all’estero. Sta per arrivare uno tsunami anche nel nostro Paese?

Statisticamente in Italia ci dovrebbero essere molti più casi di quelli che sono stati fin qui registrati, anche perché i preti nel nostro Paese sono moltissimi rispetto alla popolazione. Ma i casi non emergono non solo per la cappa di silenzio imposta dalle gerarchie che qui da noi si è fatta sentire molto più che all’estero. Bisogna considerare che in Italia il rapporto di fiducia, di deferenza con tutto ciò che ha a che fare con il sacro è fortissimo. Penso ad esempio al caso di don Ruggero Conti, ex parroco della Natività di Maria Santissima, oggi agli arresti domiciliari in attesa che si celebri il processo che lo vede imputato. La comunità è quasi tutta schierata con lui. Recentemente è stata anche organizzata una veglia di preghiera in suo sostegno. Questo per dire che spesso nel nostro Paese non si ritiene nemmeno concepibile che un prete possa macchiarsi di simili delitti. Tra l’altro, trovo grave anche che gli sia stato consentito di farlo. Mi sarei infatti aspettato che il vicario del papa per la diocesi di Roma intervenisse per chiedere che si attendesse con serenità le decisioni della magistratura senza controproducenti esposizioni della comunità.

Nel tuo caso è emerso in modo inoppugnabile che il vescovo sapeva ma tacque. Nei confronti di mons. Ferraro, la Curia vaticana ha atteso il compimento del 75.mo anno di età senza intervenire in nessun modo nei suoi confronti. E don Bruno Puleo?

Non lo so. Me lo chiedono in tanti. Posso solo sottolineare che quando don Puleo patteggiò la sua condanna, la Curia non fece altro che spostarlo da una parrocchia all’altra. Oggi però, dopo che la mia vicenda è arrivata anche in televisione, forse la Curia ha preso qualche provvedimento [nell’annuario della diocesi di Agrigento il suo nome non compare più, ndr]. So invece con certezza che un prete della diocesi di Palermo, don Paolo Turturro, condannato in primo grado a sei anni e mezzo di carcere, al risarcimento per 50mila euro, con l’interdizione dai pubblici uffici, continua regolarmente a dire messa.

Se le direttive vaticane vanno nella direzione della tutela delle vittime sempre e comunque e dispongono l’allontanamento dei preti accusati di pedofilia anche prima che arrivi la sentenza dei tribunali ecclesiastici e civili, allora qui c’è un evidente cortocircuito.

 

Come giudichi le recenti dichiarazioni del card. Bertone sulla connessione tra omosessualità e pedofilia?

Anzitutto, tra i preti ad essere diffusi sono soprattutto i casi di efebofilia. Abusi non su bambini, quindi, ma su adolescenti o preadolescenti. Questi preti mostrano personalità immature e rivelano una sessualità non adeguatamente sviluppata, o vissuta male, o negata; oppure repressa. Che abbiano un orientamento omosessuale o eterosessuale è del tutto secondario. La sostanza non cambia.

 

La pedofilia ha una relazione con il potere che il prete esercita?

Nel senso della forte relazione di subordinazione che hanno le vittime nei loro confronti, direi di sì. I preti pedofili, rispetto ai pedofili in generale, godono infatti di uno status particolare: esercitano infatti un forte carisma sulle loro giovani vittime, un forte ascendente. Hanno con loro un rapporto di paternità spirituale. I ragazzi che si rivolgono a loro sono persone in difficoltà, fragili, bisognose di aiuto o in ricerca di una guida. Tra abusato ed abusatore si crea quindi una relazione molto forte, anche di dipendenza. Per questo all’interno della Chiesa è molto difficile che questi casi vengano alla luce, perché coloro che subiscono violenza difficilmente denunciano la persona nei confronti della quale nutrono tanta fiducia e devozione. (valerio gigante)

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