Firenze 2 Guardare ai lati d'ombra della Chiesa per crescere in responsabilità
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 15/05/2010
Il convegno di Firenze 2 ha messo a fuoco alcune tendenze di fondo nella Chiesa istituzionale e, contemporaneamente, ha mosso o dato ulteriori spinte a soggetti ed iniziative che si incoraggiano ed ammoniscono a vicenda, una rete di soggetti che è comunicativa in quanto tale, in cui il mezzo (di incontro e di condivisione) è il messaggio. Per utilizzare termini datati ma non privi di senso, sono porzioni di Chiesa che agiscono in forma di “stato nascente” nella pluralità delle strade della Chiesa. Alcuni chiedono di cambiare l’architettura istituzionale della Chiesa tagliando alcuni nodi della complessità attuale; altri dentro la stessa complessità vogliono realizzare un modo mite di camminare, sinodale, laicale, cercando risposte in un dialogo orizzontale; altri ne vorrebbero un riconoscimento dalla gerarchia. Per essere creativi bisogna però continuare a “vedere” prima di “giudicare ed agire”. In questi ultimi tempi infatti vengono messe in questione non delle verità su cui la Chiesa-istituzione si ritiene forte e per cui è convinta di essere accreditata, ma delle ferite: lati d’ombra tra persone consacrate dell’istituzione ecclesiastica, e nelle procedure e prassi con cui l’autorità ecclesiastica è impegnata a “sorvegliare e punire”.
Negli anni ‘60-‘80, nelle società occidentali sono stati fatti studi molto critici sui modi con cui la società disciplina le azioni dei propri membri, lavori che hanno mostrato come nella loro “carriera” le persone devianti facciano dei percorsi in cui influiscono moltissimo gli altri attori sociali, inclusi quelli addetti alla sorveglianza e al giudizio, sia quando le punizioni e l’etichettamento non lasciano loro scampo, sia quando invece vengono lasciati impuniti per il fatto di far parte di ceti sociali protetti. L’aspetto oscuro esploso di recente (ma conosciuto già da anni) di azioni nello stesso tempo criminali e patologiche è arrivato alla ribalta accompagnato da giudizi rapidi ed unanimi di condanna e richieste di cambiamento forte: un modo tutt’altro che benevolente di guardare alla Chiesa come istituzione da parte di molti che, a chi parla di verità, chiedono trasparenza e giustizia “civile”, non riconoscendone più una giurisdizione separata. Sarebbe utile allora fare un passo di lato, allargare lo sguardo con un minimo disincanto ed analizzare come la Chiesa definisce le azioni devianti, come “sorveglia e punisce” i propri ministri, i propri consacrati e fedeli. Le eventuali azioni criminali, in generale le devianze, non sono soltanto quelle sessuali e quelle compiute distruggendo la vita di altri, ma anche quelle auto-distruttive. Per la società è stato molto importante “vedere” certe cose, capirle, cercare di cambiare, come responsabilità comune, guardando alle vittime ma anche a coloro che fanno violenza, di qualsiasi tipo. Nella misura in cui la Chiesa è fatta di (e da) uomini e donne, non di angeli, sarebbe importante ri-conoscere ed interpretare con responsabilità come oggi si costruisce la devianza nella Chiesa, quali forme assume nelle persone, nei ruoli, nelle procedure. La misericordia non è solo una medicina ex post, ma qualcosa che dovrebbe prevenire, promuovendo altri tipi di relazioni comunicative. Ad esempio, con coloro che sono imputati di proporre idee teologiche considerate non conformi.
Aspetti d’ombra a cui si bada assai poco sono quelli autodistruttivi: ad esempio l’alcolismo (assai nascosto) o l’“esaurimento” di molti preti e religiosi, parroci e superiori. Pochi anni fa una ricerca (G. Ronzoni, Ardere, non bruciarsi, Ed. Messaggero, Pd, 2008) ha cercato di toccare con mano il burn-out dei preti, che entrano in crisi e “hanno un esaurimento”. Se ne è perso rapidissimamente traccia, trattato come un fatto che riguarda la singola persona che non ce la fa per motivi suoi, da assistere con interventi psichiatrici e spirituali ad hoc: le con-cause ecclesiali non vengono mai fatte proprie dalle comunità ecclesiali, che non le affrontano come problema ecclesiale e perciò non fanno crescere la corresponsabilità dei fedeli. Le autorità religiose individuano, allontanano per qualche tempo, fanno curare, e cercano di non parlarne.
Un’esperienza di formazione permanente del clero di una diocesi del nord-est durata alcuni anni, è stata bene accolta perché ha messo a fuoco il tema dei preti come “persone”: paradossalmente una novità, per persone chiamate ad auto-comprendersi in persona Christi.
* Docente di Sociologia (Università di Padova) e di Licenze in Teologia pastorale e Liturgia pastorale (Pd)
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!