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UN IMPERTINENTE “CUORE DI FRONTIERA”. IN RICORDO DEL TEOLOGO JOSÉ MARÍA DÍEZ-ALEGRÍA

Tratto da: Adista Documenti n° 60 del 17/07/2010

DOC-2278. MADRID-ADISTA. Sperava di non arrivare a cent’anni, il teologo spagnolo José María Díez-Alegría: non avrebbe voluto passare per un fenomeno della natura. Ed è stato accontentato, lasciando questo mondo, il 25 giugno scorso, poco prima del suo 99.mo compleanno. 99 anni che hanno lasciato un segno profondo nella Chiesa: “Per quanti non hanno potuto conoscere quest’uomo più da vicino - scrive il teologo José María Castillo -, dirò che è stata una delle personalità più influenti della Chiesa spagnola”. “Libero di spirito, testa e cuore di frontiera”, lo ha definito dom Pedro Casaldáliga.

Figlio del direttore del Banco de España nel Principato delle Asturie e fratello di alti militari (entrambi divenuti generali dell’esercito), Díez-Alegría non sembrava certo avviato a sviluppare un pensiero di sinistra. E invece, contro ogni tradizione di famiglia, finì per partecipare attivamente, come evidenzia un altro teologo spagnolo, Juan José Tamayo, al dialogo cristiano-marxista, insieme ad “altri due Josemarías con cui formava la ‘Trinità eterodossa’, padre Llanos e González Ruiz”.

Entrato nel 1930 nella Compagnia di Gesù, insegnò Etica all’Università dei gesuiti di Alcalá de Henares dal 1955 al 1961, quando venne chiamato alla cattedra di Etica e Dottrina Sociale della Chiesa all’Università Gregoriana a Roma, dove rimase fino al 1972. Fino a quando, cioè, a causa del suo libro Yo creo en la esperanza, uscito senza l’imprimatur (subito divenuto un best-seller internazionale), decise - per non creare difficoltà all’Ordine - di uscire dalla Compagnia di Gesù. Ma furono gli stessi gesuiti ad accoglierlo nella comunità di El Pozo del Tío Raimundo, a Vallecas, un sobborgo di Madrid, dove già da tempo operava un altro illustre gesuita, padre José María de Llanos Pastor. E lì visse come “jesuita sin papeles”, gesuita clandestino, come egli si autoproclamava, collaborando con l’Associazione di Teologi e Teologhe Giovanni XXIII, di cui ricoprì la presidenza per vari anni.

Impegnato “solo ed esclusivamente in difesa della libertà, della dignità e dei diritti delle persone”, lo ricorda Castillo: “Questa è sempre stata la passione di Díez Alegría. Da qui le sue posizioni critiche nei riguardi di tutto ciò che fosse repressione della libertà e oppressione degli esseri umani”. E lo ricorda, anche, come un uomo “senza traccia di risentimento, di amarezza, di disprezzo verso chicchessia”: “Tollerava, rispettava e trattava tutti con estrema delicatezza, per quanto non avesse peli sulla lingua”. “Chiedo al Padre del Cielo - conclude Castillo - che non venga mai meno questo tipo di uomini. Il loro valore è enorme. E diventano sempre più necessari”.

Tra i tanti che hanno voluto rendere omaggio al grande teologo spagnolo, il gesuita Javier Domínguez ha voluto ricordare, sul sito di Religión Digital (28/6), le parole pronunciate da Díez-Alegría in occasione del suo 97.mo compleanno, considerandole una sorta di “testamento”. “Credo - aveva detto allora il teologo, tra diverse altre cose - che Gesù di Nazareth non avrebbe compreso le disquisizioni dei concilii sulle due nature (divina ed umana) e una sola persona divina”. L’essenza del suo messaggio, affermava, “è l’opzione per i poveri. Non verremo giudicati per la nostra fede o per i nostri riti, ma per il fatto che avremo o non avremo dato da mangiare all’affamato. Sono totalmente d’accordo con la Teologia della Liberazione. Penso che la Chiesa cattolica nel suo insieme abbia tradito Gesù. Questa Chiesa non è quello che Gesù ha voluto, ma quello che hanno voluto nel corso della storia i potenti di questo mondo”.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, gli articoli di Juan G. Bedoya e di Juan José Tamayo (El País, 25/6) e un ricordo del suo biografo, il gesuita Pedro Miguel Lamet (Redes Cristianas, 30/6). (claudia fanti)

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