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La liberazione del tempo, della vita, della politica e della speranza

Tratto da: Adista Documenti n° 85 del 06/11/2010

 

“Non sa il tempo se non chi lo fece”, dice un vecchio proverbio.  Saggezza antica che forse esprime una delle verità più elementari  e pregnanti: il tempo è il mistero dei misteri che a sua volta  nasconde o meglio racchiude il mistero della vita e della morte.  

Forse è per questo che temiamo il tempo, il suo scorrere  inesorabile, il suo “rodere ogni cosa”. E che amiamo gli orologi, i  calendari, i riti, la festa di fine/inizio d’anno. La ripetitività di questi  strumenti di misura del tempo ci rassicura e seda l’angoscia.  Il ticchettio dei secondi, il succedersi delle ore, dei giorni, degli  anni, il riproporsi sempre uguale dei riti quotidiani e festivi, la loro  rassicurante continuità, ci illudono di dominare il tempo e ci danno  la sensazione dell’eternità. Ma ci consentono di vivere.  Un po’ come il “farmaco” donato da Prometeo agli uomini per  salvarli dalla distruzione decretata dagli dèi: guarire il tempo,  riappropriarci del tempo, è forse una delle rivoluzioni più difficili  e significative della nostra era.  

La regolazione convenzionale del tempo, da serva, sta diventando  sempre più padrona della vita. La misura del tempo sta uccidendo  i ritmi vitali. Brutto segno. Perché il dominio dell'orologio  s'intreccia col dominio di tutto quanto è convenzione. E ciò  significa che è in espansione il dominio della morte. Le maschere  hanno la meglio sui volti; contano i nomi più dei valori; dominano  i ruoli e sfumano le relazioni dirette; la spettacolarizzazione ha la  meglio sulla realtà; le emergenze soffocano i processi vitali.  Regolano le nostre esistenze le astrazioni: il denaro, gli orologi,  le porte blindate, le leggi del profitto, freddi e inesorabili  meccanismi morti, e non i ritmi della vita, non la danza  dei sentimenti, non la stella polare della razionalità, della  responsabilità e della coscienza, non le cadenze dei rapporti umani.  S’ispessicono le catene. Cresce però anche la voglia di romperle.  E non con chissà quale rivoluzione. Ogni giorno, nella quotidianità  e nella politica vissuta alla base, si moltiplicano le esperienze,  le iniziative, i percorsi di liberazione.

Non se n’abbia a male l’anno nuovo se lo pongo sotto il segno  della vita che fluisce e lo sottraggo un po’ al dominio delle  astrazioni. Anno nuovo vita nuova non è un augurio banale:  siamo noi l’anno nuovo, è la danza della liberazione l’anno nuovo,  la liberazione del tempo, della vita, della politica e della speranza.  Buon duemilaundici.  

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