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MA UNA GUERRA NON RISOLVE NULLA. UN MISSIONARIO COMMENTA LA CRISI IN MALI

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 26/01/2013



37013. ROMA-ADISTA. Rintracciare missionari delle Chiese cristiane in Mali è molto difficile. Secondo alcuni osservatori, la presenza dei cristiani nella regione colpita dagli scontri (l’Azawad) sarebbe stata addirittura azzerata, negli ultimi due anni, dalla presenza delle milizie jihadiste. Adista ha chiesto, a margine del conflitto che infiamma il Paese, una testimonianza e una chiave di lettura a p. Alberto “Bannu” Rovelli, dei padri bianchi, missionario per 20 anni nella zona oggi teatro di guerra. «Parlare del Mali in questo momento non è facile», ha subito chiarito p. Rovelli: «Si corre il pericolo di dire cose scontate o che saranno contraddette dai fatti. C'è una guerra, questo è sicuro e con la guerra tutti gli orrori sono possibili». (giampaolo petrucci) 

 

Eppure raramente si è sentito parlare del Mali come di un Paese conflittuale…

Tutti coloro che hanno visitato il Mali ne sono sempre ritornati carichi di umanità, di gioia: la gente del Mali non è mai stata ricca, ma portava la sua povertà con molta dignità. Dal punto di vista della cultura africana il Mali ha “prodotto” scrittori, registi impareggiabili, che hanno contribuito a mantenere le tradizioni e ad aprire il Paese alla modernità. Da circa 20 anni, però, si percepiva nella gente molta insoddisfazione: in pochi si arricchivano sempre più e la moltitudine invece rimaneva o diventava sempre più povera. E il governo ha fatto una politica poco lungimirante: ha amministrato più che governato. Le miniere d'oro hanno dato al governo la possibilità di migliorare strade, scuole, centri sanitari; la Libia ha aiutato a costruire nuovi servizi (aiuto compensato da un affitto cinquantennale di 100mila ettari di terra). Ma quanto sia effettivamente entrato nelle casse dello Stato e quanto invece sia finito nelle mani di pochi, mai nessuno potrà verificarlo.

 

E su questa diseguaglianza socioeconomica, in Mali si innesta anche quella culturale e geografica...

Il Nord continuava a rimanere tagliato fuori dai grandi progetti di rilancio del Paese cui prima accennavo, e sono rimaste divisioni razziali e culturali. Intanto le regioni a nord di Timbuctu e a est di Kidal e Menaka erano diventate territorio di bande armate dedite a traffici illeciti, come droga, sigarette, armi, esseri umani (donne, uomini e anche bambini preparati come kamikaze).

 

Tu hai trascorso diverso tempo in Mali. Cosa hai potuto riscontrare?

Tra il 1997 e il 2002 ho vissuto a Gao. In quegli anni, il flusso di migranti provenienti dai Paesi subsahariani sfilava ininterrottamente. Bastava avere soldi per corrompere i camionisti diretti in Algeria. Alcuni migranti però non ce la facevano. La polizia li rispediva a Gao e una volta tornati ci raccontavano quello che avevano vissuto: squadroni del terrore, di difficile identificazione, li spogliavano di tutto quello che avevano. Le donne erano ridotte alla prostituzione. Conoscevo una ragazza, Awa, che tra l'Algeria e il Marocco mi ha spedito una lettera chiedendo mille dollari per continuare il suo viaggio. Che fine avrà fatto? Insomma, il Nord del Mali viveva già allora grazie alla malavita molto ben organizzata.

 

Si dice che due terzi del Paese già allora erano in mano alla criminalità.

Non proprio. Nelle città (a Gao, Timbuctu, Kidal, Menaka, ecc.) la vita scorreva regolare: i ragazzi andavano a scuola, gli ospedali funzionavano; le varie confessioni religiose convivevano in pace. In fondo, la maggioranza dei musulmani maliani è moderata: ho troppi amici per mettere in dubbio questa mia affermazione.

 

E allora come si è arrivati a questa situazione?

Nel 2000 c'è stata un'infiltrazione di non maliani che hanno iniziato a propagandare un islam radicale. Tanti amici erano spaventati, si sentivano a disagio proprio in quanto musulmani; i giovani venivano rinchiusi nelle moschee e indottrinati. Senza saperlo erano in mano a fondamentalisti venuti dal Pakistan e dall'Arabia Saudita. Anche al governo ci sono stati vari tentativi di introdurre la sharia, ma la proposta non ha mai ottenuto la maggioranza.

 

E poi è precipitato tutto…

La situazione attuale è stata preparata con cura e davanti al “vuoto di potere”. Soprattutto nel Nord del Paese, è stato facile per l’Al Quaeda nel Maghreb Islamico mettere insieme tutti quei gruppi che vivendo nell'illegalità vogliono sentirsi riconosciuti e assolti.

Cosa pensi dell'intervento della Francia?

Personalmente non ho mai creduto – e non inizierò certo ora a farlo – che le armi possano risolvere la situazione, neanche in Mali. Certo, davanti a gente armata e violenta che se la prende con civili indifesi, bisogna pure che le autorità facciano tutto il possibile per difendere i loro cittadini. Comunque, secondo me, le cattive idee si combattono meglio diffondendo “buone idee”. Il fondamentalismo islamico è un’ideologia fuori dalla storia e farà ancora danni peggiori se nessun capo o leader musulmano la sconfesserà.

 

Hai già una proposta?

Sarebbe bello riunire tutti gli imam moderati del Mali, e anche fuori del Mali, perché sconfessino le ideologie sostenute dai fondamentalisti religiosi. La loro gente li seguirebbe senz’altro. Dobbiamo cercare il modo di mettere in dubbio le convinzioni religiose di questi jihadisti, magari lanciando una campagna di controinformazione, che potrebbe aiutare tanti innocenti a vivere senza guerra.

 

Una curiosità: perché ti chiamano Bannu?

In Mali c'è la bella usanza di dare nome e cognome maliani a una persona che vive a lungo con loro. Bannu Benoit era un maestro che ho conosciuto a Diré, a 100 km a Sud di Timbuctu, era direttore di una scuola del governo e quando andavo in visita della comunità cristiana di Diré, la sua famiglia mi ospitava a casa sua. (g.p.)

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