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IL PAPA E LA CHIESA CHE VORREI. COSA PENSANO GLI ECCLESIASTICI “CHE CONTANO”

Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 02/03/2013

37063. ROMA-ADISTA. Sulla figura del nuovo papa, su quello che da lui ci si aspetta o si spera, la base ecclesiale più attiva, progressista o conservatrice, che si esprima individualmente o articolata in gruppi, è chiara: da una parte si chiedono riforme strutturali (per esempio, una maggiore responsabilità alle Chiese locali per la nomina dei vescovi e una più vasta applicazione della collegialità); libertà di ricerca teologica; una liturgia più inculturata; valorizzazione dei laici; celibato opzionale per i preti; ordinazione sacerdotale per le donne; povertà e profezia; e, sull’altro versante, mantenimento della sacralità nelle sue varie modulazioni e in tutte le istanze; “difesa della vita” a partire dal concepimento; difesa della famiglia “naturale” e quant’altro possa blindare le scelte etiche nel “si è sempre fatto così”.
Cosa desiderino gli ecclesiastici – vescovi, singolarmente o come Conferenze episcopali, e cardinali – è invece cosa tutt’altro che palese. La maggior parte di loro, nelle interviste, raccolte da vari organi d’informazione in questi giorni di attesa del Conclave, non solo evita di pronunciare esplicitamente il nome del cardinale che vorrebbe vedere sul soglio di Pietro, e questo è comprensibile, quanto meno per non commettere sgarbi; ma non delinea neanche la propria idea di futura Chiesa né la figura di papa che la potrebbe realizzare. Il refrain è: “lo sa lo Spirito Santo, ci penserà lui quando sarà il momento di assistere i cardinali rinchiusi nella Cappella Sistina”. Il quale “Spirito Santo”, invece, dovrà tener conto – come avviene da che papato è papato – degli accordi ed equilibri di potere raggiunti grazie alle strategie messe in atto dai vari “capitani” delle truppe in lizza. Con tanti saluti alla trasparenza e al ben noto “sì sì, no no” di cui dovrebbero pur ricordarsi.


Cambiare sì, cambiare no
Però alcuni ecclesiastici si sono espressi più chiaramente. Fra questi, l’arcivescovo di Vienna, il card. Christoph Schönborn. In un’intervista al settimanale Profil (17/2), come riporta il Corriere della Sera (19/2), sostiene che qualcosa «è possibile cambiare», distinguendo fra ciò che è «Tradizione» - ovvero «insegnamenti di Gesù» e «trasmissione della fede» - e ciò che è tradizionale. Immagina poi un «potenziale miglioramento» nella «collaborazione dei vertici della curia», perché la «guida della Chiesa mondiale» è «una responsabilità indivisibile» del suo «più alto pastore» e tale è ogni vescovo nella propria diocesi. Allora, secondo l’arcivescovo viennese la domanda è: «chi deve decidere cosa: il singolo vescovo, la comunità di tutti i vescovi o il papa?». Qui qualcosa è da «risistemare».
L’arcivescovo di Lisbona, il card. José Policarpo (Ecclesia, 12/2), pensa che «noi cardinali dovremmo eleggere un uomo più nuovo». «Il nostro sforzo deve essere quello di identificare la persona» che, indipendentemente dalla nazionalità, sia capace di dirigere la Chiesa. «Questo periodo è importante» per discutere il futuro della Chiesa. «È bene che la gente - aggiunge riferendosi agli uomini del futuro conclave, che definisce una «riunione formale» - conversi, si conosca, si ascolti». Policarpo ha già le idee chiare: «Ho alcune persone nella mia testa: la personalità segna molto la funzione».
«Innanzitutto credo che debba continuare quello che ha fatto Benedetto XVI: insegnare il contenuto della fede», dice a Vatican Insider (19/2) il card. Jean-Louis Tauran (in quanto “cardinale protodiacono” annuncerà il nome del nuovo pontefice), ma aggiunge «ci vorrà anche un papa molto aperto al dialogo con le culture e le religioni, che possa effettuare una riforma della Curia verso un maggiore coordinamento nella vita e nelle decisione della Chiesa universale».
Piuttosto precisi i contorni disegnati per il prossimo papa in un’intervista al Corriere della Sera (20/2) dal card. Walter Kasper, già presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani: il nuovo pontefice dovrà vedersela con questioni quali il “primato di Pietro” («questione centrale, nodale nei rapporti ecumenici con gli altri cristiani e in particolare con le chiese ortodosse: non solo "sì" o "no", ma "come" il Papa governa concretamente la Chiesa universale») e la riforma della Curia romana («è fondamentale che sia organizzata in modo più adatto ad affrontare le sfide del nostro tempo. Ci vuole un migliore coordinamento tra i dicasteri, più collegialità e comunicazione»; «e poi bisogna riflettere anche sul ruolo dei sinodi» - che, ricordiamo, sono solo consultivi -, «molti vescovi sono delusi per come vanno» e i temi sono «troppo generici»).
L’agenzia Ecclesia (12/2) ha raccolto anche l’opinione del portoghese card. José Saraiva Martins, già prefetto della Congregazione per la causa dei santi: il prossimo papa deve continuare «il magistero di Benedetto XVI» che è stato «molto chiaro e molto fermo»; deve poi essere «vigoroso», «tra i 60 e i 70 anni», cioè «non vecchio».
Per il card. Antonio Cañizares, prefetto della Congregazione per Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, intervistato dal quotidiano conservatore spagnolo ABC (18/2), è bene che il futuro papa sia «uomo di fede, di preghiera e adorazione, un amico forte di Dio», che «valorizzi moltissimo la liturgia», «promuova e approfondisca il rinnovamento chiesto dal Concilio Vaticano II», che «segua le orme dei suoi predecessori e dia un deciso impulso alla nuova evangelizzazione».
L’indicazione del card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana, è quella di «continuare l'eredità di Benedetto XVI, a partire dalla nuova evangelizzazione», egli ha lasciato «un chiaro programma», «l'unico modo per affrontare le sfide specifiche di questa epoca: il fanatismo, il materialismo, e anche il relativismo». «Posso ipotizzare – aggiunge – che il prossimo papa sarà più giovane di Benedetto XVI, ma in questo momento la cosa più importante è che sia una persona unica, dalla salda e profonda guida spirituale. E che proclami il Vangelo al mondo senza paura» (AsiaNews, 13/2).
L’arcivescovo di Parigi, card. André Vingt-Trois, ritiene che il prossimo pontefice dovrà avere «soprattutto la capacità di accogliere e comprendere le differenti culture», perché, spiega parlando con Vatican Insider (18/2), «viviamo un paradosso: la globalizzazione si sviluppa, ma proprio per questo rilancia i particolarismi locali. Ci vuole qualcuno di grande apertura di spirito per gestire questa contraddizione».
Secondo il card. Severino Poletto di Torino, la rinuncia di Benedetto XVI segnerà anche i prossimi papati: «Obbligherà i papi del futuro – ha detto a Vatican Insider (18/2) - a coraggiosi esami di coscienza se dovessero invecchiare molto». A parte questo, «la vera sfida urgente che non solo il papa ma tutta la Chiesa deve affrontare – ha sostenuto – è l’affievolirsi della fede nel nostro mondo occidentale. Quando io dico fede non intendo soltanto “credere che Dio c’è”, o “andare a Messa la domenica”, ma conformare al Vangelo, ai comandamenti, alla legge naturale, alla legge positiva divina e alla legge della Chiesa tutti gli aspetti della nostra vita di cristiani».
L’attuale presidente della Conferenza episcopale brasiliana, card. Raymundo Damasceno, si esprime sulla “rosa dei papabili” con la previsione: «esiste la possibilità che il prossimo papa sia brasiliano». Al di là della nazionalità, «credo – ha detto in un’intervista telefonica all’Ansa (12/2) – che l’America Latina sia matura per avere un papa. Siamo una chiesa forte, dinamica».
Intanto, nel dibattito pre-conclave, si sentono affermazioni tipo “il prossimo papa non potrà essere ancora di lingua tedesca”, “non potrà essere di nuovo europeo”, “è il momento di un cardinale del sud del mondo”, “dopo due papi stranieri, sarà il caso di tornare ad un italiano”, e via congetturando. Stoppano questo toto-papa alcuni ecclesiastici, fra cui mons. Juan Antonio Martínez-Camino, segretario della Conferenza Episcopale spagnola, che, sentito dall’agenzia AciPrensa (17/2), si dice convinto che il conclave eleggerà «il migliore» per succedere a papa Ratzinger, senza tener conto di «ragioni circostanziali», ovvero continenti, razza e lingua; e l’arcivescovo di Lima, card. Juan Luis Cipriani (Perù 21, 16/2), secondo il quale «bisogna trovare una persona con l’aiuto di Dio» al di là di «considerazioni geografiche o politiche», ché «stanno fuori del Conclave». (eletta cucuzza)

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