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PRIVILEGI ZERO: IN AUSTRIA, REFERENDUM CONTRO BENEFICI ED ESENZIONI ALLE CHIESE

Tratto da: Adista Notizie n° 16 del 27/04/2013

37137. VIENNA-ADISTA. Le Chiese e le comunità religiose riconosciute dallo Stato austriaco godono di ampi privilegi, come quelli contemplati dal Concordato stipulato con la Chiesa cattolica prima della II Guerra mondiale dal governo nazifascista, nel 1933, e ratificato l’anno successivo. A fronte di tali privilegi, tuttora in vigore, un gruppo di umanisti, atei, agnostici e paladini della laicità austriaci ha intrapreso un’iniziativa referendaria a livello nazionale, grazie alla quale i cittadini del Paese potranno portare la questione in Parlamento.
Nel momento in cui scriviamo, la settimana tra il 15 e il 22 aprile, è infatti in corso una “Petizione contro i privilegi ecclesiastici”, un referendum, lanciato da una piattaforma appoggiata da diversi gruppi (“Plattform Betroffene kirchlicker Gewalt”, “AgnostikerInnen und AtheistInnen für ein säkulares Osterreich”, “Freidenkerbund Osterreich”, e “Giordano Bruno Stiftung”), costituitasi nel marzo 2011 con l’intento di proporre, appunto, una raccolta di firme per l’abolizione dei privilegi delle Chiese. Il numero di sottoscrizioni necessario è stato raggiunto alla fine del 2012, con 8.567 adesioni riconosciute valide dal Ministero dell’Interno.
I promotori del movimento hanno elaborato una lista di 25 privilegi da discutere. Quelli più importanti dal punto di vista finanziario riguardano l’esenzione, per le organizzazioni religiose riconosciute, dalle imposte sugli immobili e sui redditi, la deducibilità delle imposte sui redditi rispetto ai contributi obbligatori e il finanziamento, da parte dello Stato, delle scuole confessionali. Vi sono poi altri privilegi di ordine finanziario, di minore impatto, ma simbolicamente rilevanti, come la posizione riservata alla Chiesa cattolica nei vertici della Televisione e Radio Austriaca (Orf).
All’epoca dell’introduzione di tali privilegi, nel 1933, il 95% della popolazione austriaca era registrata all’interno della Chiesa cattolica, mentre oggi il numero è calato al 66%. Benché un quarto circa della popolazione non appartenga ad alcuna confessione religiosa, ogni contribuente deve destinare una quota delle proprie imposte a organismi religiosi riconosciuti dallo Stato. Tali contributi ammontano annualmente a circa 500 euro pro capite, e sono dovuti anche da chi non ha appartenenza religiosa. «L’Austria prevede un sistema di religioni di Stato che viene sovvenzionato con circa 3,8 miliardi di euro all’anno», ha spiegato Niko Alm, portavoce dell’iniziativa. «Questa petizione popolare merita veramente questo nome: dietro non c’è nessun partito, nessuna lobby influente, nessuno sponsor. È un reale movimento di cittadini che intendono porre fine ai diritti particolaristici pre-democratici della religione organizzata».

Le richieste e le reazioni
Le tre richieste principali avanzate dalla piattaforma sono l’«abolizione dei privilegi ecclesiali, una chiara separazione tra Stato e Chiesa e la fine degli ingenti sovvenzionamenti alla Chiesa cattolica». «Ognuno – spiegano i promotori – ha diritto di credere in ciò che vuole, ma la religione e la fede personale devono essere una questione privata e non sostenuta dallo Stato».
Ad insorgere contro l’iniziativa sono stati ovviamente i vertici della Chiesa cattolica, destinataria della maggior parte dei proventi fiscali, la totalità dei quali viene condivisa con altre 13 confessioni religiose. «Si può preferire un modello di società in cui la religione sia un fatto totalmente privato», ha affermato l’arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca card. Christoph Schönborn nel corso di una conferenza stampa, ma questo sistema non funzionerebbe «dal momento che il diritto alla libertà religiosa, che è un diritto umano fondamentale, conferisce alla religione il diritto di essere presente in modi diversi nella sfera pubblica».
Analoghe contestazioni, però sono arrivate anche dai movimenti di riforma della Chiesa, come “Wir sind Kirche” e “Laieninitiative”, che hanno preso le distanze dalla consultazione referendaria. Questa, affermano, costituirebbe un tentativo «di scalzare la Chiesa cattolica, ma anche altre comunità religiose, dalla sfera pubblica», mentre il loro obiettivo, hanno spiegato l’8 aprile scorso la presidente di “Laieninitiative” Margit Hauft e il presidentedi “Wir sind Kirche” Peter Hurka, è sempre stato quello di «rafforzare la credibilità della Chiesa cattolica». Molte affermazioni dei promotori del referendum, hanno argomentato, sarebbero false: dei 3,8 miliardi di euro versati dallo Stato, ad esempio, una gran parte rappresenta in realtà il pagamento per servizi in “outsourcing” espletati dalle Chiese nell’ambito educativo o sanitario.
Stessa reazione negativa da parte politica: una presa di posizione ufficiale è stata espressa da Eva Glawischnig, dei Verdi, ma anche i socialdemocratici del Spö e il Partito popolare rifiutano l’iniziativa. (ludovica eugenio)

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