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Mons. Romero, martire in odium iustitiae: «Nessuno farà tacere la tua ultima omelia»

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 30/05/2015

DOC-2714. SAN SALVADOR-ADISTA. Tutto è pronto per la tanto attesa beatificazione di mons. Oscar Romero, già da lungo tempo canonizzato dal popolo: a partecipare alla cerimonia, il 23 maggio, nella piazza del Salvador del Mundo, a San Salvador, saranno circa 300mila persone (ma si parla anche di mezzo milione), le quali potranno seguire tutti i dettagli della celebrazione su una cinquantina di maxi schermi. Alla messa - che durerà circa tre ore (a partire dalle 10 di mattina, dopo una processione di 4,7 chilometri che taglierà la capitale da est a ovest) e sarà presieduta dal card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, insieme all'arcivescovo di San Salvador José Luis Escobar e al postulatore della causa, mons. Vincenzo Paglia - saranno presenti una decina di presidenti, soprattutto latinoamericani (come il presidente dell'Ecuador Eduardo Correa, quello del Nicaragua Daniel Ortega e, sicuramente poco gradito al popolo salvadoregno, quello dell'Honduras post-golpe, Juan Orlando Hernández, ma anche quello irlandese, Michael D. Higgins); circa 400 giornalisti accreditati; 2.600 volontari; una sessantina di vescovi, in maggioranza dall'America e dall'Europa (ma uno proveniente addirittura dalla Papua Nuova Guinea, il vescovo della diocesi di Mendi Donald Lippert); una quindicina di arcivescovi; cinque cardinali, tra cui il cubano Jaime Ortega, il nicaraguense Leopoldo Brenes, il panamense José Luis Lacunza e l'honduregno Óscar Maradiaga (la cui carriera inarrestabile non basta a far dimenticare al popolo del suo Paese la benedizione offerta al golpe contro il presidente Manuel Zelaya), e oltre mille preti. E, per l'occasione, persino las maras, le bande che imperversano nelle città centroamericane, hanno deciso di rinunciare alle proprie attività criminali, come «regalo» a San Romero d’America. 


Letture mirate

Nessuno sforzo è stato risparmiato, nel piccolo Paese centroamericano, per un evento di così grande portata storica. Un poderoso processo organizzativo che la Chiesa salvadoregna ha portato avanti nell'ambito di una campagna dal titolo “Romero, martire per amore”: espressione tanto generica - e per questo fortemente contestata dalle organizzazioni - quanto evidentemente funzionale alla volontà di presentare l'arcivescovo come un simbolo di riconciliazione, superandone ogni aspetto conflittuale, e finendo così per celebrarne il martirio sorvolando abilmente sulle cause. Così ha, per l'ennesima volta, riaffermato mons. Jesús Delgado (Diario CoLatino, 24/4) - già segretario personale di Romero e, da lungo tempo, in prima fila nell'opera di addomesticamento istituzionale -, evidenziando come di giorno in giorno la figura dell'arcivescovo venga accettata da un numero sempre maggiore di salvadoregni un tempo critici e come le manipolazioni politiche della sua immagine (intese, è naturale, solo ed esclusivamente come manipolazioni di sinistra) stiano per fortuna scomparendo. Lasciando spazio, possiamo aggiungere, a “letture” orientate, come scrive il teologo argentino Eduardo de la Serna (nella pagina facebook del Gruppo dei preti dell’opzione per i poveri, 13/3), ad annacquare il messaggio di Romero, «sottolineando elementi veri, ma parziali, come la preghiera, la fedeltà alla Chiesa, l'amore per la Bibbia e per la Vergine Maria, ecc.» o negando la sua «vicinanza alla Teologia della Liberazione», con il pretesto dell'assenza di citazioni e riferimenti espliciti, come se «una “teologia pastorale” nutrita dalla Bibbia e dal confronto con una realtà analizzata secondo una prospettiva liberatrice, amica delle comunità ecclesiali di base, in conflitto con le autorità, i potenti e l'impero, schierata in maniera assoluta con i poveri di cui intende essere la voce (…), non fosse chiaramente “teologia della liberazione”». Da qui visioni inoffensive come quella che si riflette nel contestatissimo jingle composto per la beatificazione, dal titolo appunto “Romero mártir por Amor”, con versi del tipo «Un solo El Salvador cantando a una voz, / No hay olvido ni rencor», e un video altrettanto innocuo e rassicurante, in cui non poteva mancare l'immagine di Giovanni Paolo II, tanto per far passare l'idea che Romero fosse, eccome, sostenuto dal Vaticano (un jingle su cui, come ha riferito un articolo apparso sul sito Super Martyrio il 27 aprile, si è abbattuta una marea di indignazione e di sarcasmo, tanto per la pessima qualità musicale quanto per il messaggio veicolato, nel segno dell'annacquamento più estremo).  


L’ultima omelia

Se mons. Jesús Delgado ha dato ampie garanzie sulla sicurezza dell'evento, assicurando che l'atto sarà tranquillo e ordinato, il ricordo corre a un altro atto, tutt'altro che tranquillo e immensamente tragico: quello del funerale dell'arcivescovo, quando, di fronte alla sterminata folla accorsa a dare l’ultimo saluto al proprio pastore, sfidando l'imposizione dello stato d'assedio, la Giunta di governo decise di mettere a tacere il dolore e l'indignazione popolari, prima diffondendo la voce di disordini provocati dalle forze di sinistra, poi appostando cecchini nel Palazzo Nazionale perché sparassero sulla folla indifesa (con un bilancio di 40 morti e più di 250 feriti) e infine ripetendo la menzogna che a provocare il massacro era stata la sinistra, malgrado proprio quel giorno, 50 minuti dopo l'inizio del funerale, fosse entrata nella piazza, per porre una corona di fiori sulla bara, una disciplinata colonna di 500 persone sotto le insegne della grande coalizione di organizzazioni popolari nota come la Coordinadora, la stessa che il giorno prima di morire Romero aveva definito “una speranza” e una possibile “soluzione” («Non credo che ci sia stato guerrigliero nel Salvador che non abbia pianto», avrebbe affermato più tardi la leader guerrigliera Nidia Díaz). 

Di certo, per quanti sforzi si facciano per neutralizzare la figura di Romero, la portata dirompente della sua vita e del suo messaggio nessuno riuscirà a imbrigliarla: potranno dire quel che vogliono, commenta de la Serna, «ma colui che il popolo ha già canonizzato è vivo e il suo messaggio, la sua testimonianza, il suo impegno, la sua teologia, la sua denuncia... il suo martirio continueranno a parlare, proclamando una parola di Dio che i burocrati non vogliono sentire. Ma “nessuno farà tacere la tua ultima omelia”» (l’ultimo verso dell’indimenticabile poema di Pedro Casaldáliga, “San Romero d’America”). 

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, l'introduzione del teologo gesuita Jon Sobrino al Congresso di teologia svoltosi dal 18 al 23 marzo a San Salvador, sul tema “L'eredità dei martiri di fronte al futuro” (tratta dal video sul sito della Uca,www.uca.edu.sv/congresoteologia/multimedia.php), seguita dall'intervento al Congresso del teologo spagnolo José María Castillo (già pubblicato su Redes Cristianas il 1° aprile) e da quello pronunciato durante la celebrazione del XXXV anniversario del martirio di Romero dal prete salvadoregno Juan Vicente Chopin, direttore della Scuola di Teologia dell'Università Don Bosco. 

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