
David Bowie: anche il mondo cristiano saluta l'uomo delle stelle
Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 23/01/2016
38410 ROMA-ADISTA. A commentare la scomparsa di David Bowie (al secolo David Robert Jones) lo scorso 10 gennaio, ci si sono messi un po' tutti e davvero, ad oggi, risulta quasi impossibile rintracciare una testata o un emittente radio o tv che non abbia reso omaggio al Duca Bianco, artista a tutto tondo, musicista, cantante, attore, produttore, protagonista indiscusso per 50 anni del panorama artistico internazionale, capace nello stesso tempo di accogliere e di condizionare lo spirito dei tempi. Per giorni, negli occhi e nelle orecchie del mondo intero hanno rimbalzato incessantemente grandi successi come Space Oddity, The Man Who Sold the World, Changes, Life on Mars?, Five Years, Heroes, ecc. Mentre solo due giorni prima della morte, precisamente nel suo 69° compleanno, il re del glam rock aveva nuovamente monopolizzato la scena internazionale con il lancio del suo 25° album, “Blackstar”, che col senno di poi è risultato il testamento che l'artista ha voluto consegnare ai suoi fan, consapevole del tumore che da un anno e mezzo lo stava divorando: «Guarda qui, sono in paradiso», «sarò libero proprio come quegli uccellini», recitano alcuni passaggi di Lazarus, il singolo – secondo dopo la title-track Blackstar – che ha anticipato il 7 gennaio la pubblicazione di “Blackstar”.
L'omaggio della Chiesa cattolica
Al di là dell’incenso mediatico che ha accompagnato l'ultimo viaggio di Ziggy Stardust nell'olimpo delle stelle, ha stuzzicato il dibattito nostrano l'atteggiamento del mondo cattolico, dai vertici alla base, che si è interrogato sulla vita e sulla morte della star, sulla sua maestosità artistica ma anche sulla sua condotta morale.
“Bowie mai banale” titola L'Osservatore Romano l'11 gennaio. Il quotidiano vaticano parla di una apparente contraddizione tra «rigore artistico» e «immagine ambigua utilizzata, soprattutto a inizio carriera», per poi rientrare nei doverosi binari dell'encomio: «Al di là degli eccessi apparenti, l’eredità di David Bowie» «è racchiusa proprio in una sorta di personalissima sobrietà, espressa finanche nel fisico asciutto, quasi filiforme». Nello stesso articolo, il quotidiano cita anche l'intervista della Bbc al primate anglicano Justin Welby, che dice di aver fatto della musica di Bowie una sorta di colonna sonora della sua esistenza.
Il breve commento dell'Osservatore fa il paio con l'omaggio del presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, card. Gianfranco Ravasi, che su Twitter ha postato i versi iniziali della celeberrima Space Oddity: «Torre di controllo a maggiore Tom, comincia il conto alla rovescia. Accendi i motori. Controlla l'accensione. E che l'amore di Dio sia con te».
Singolare l'omaggio dei frati della Basilica di San Francesco ad Assisi che, sul sito www.sanfrancescopatronoditalia.it, hanno ricordato la «profonda dimensione spirituale» del cantante, che «pregava ogni mattina», e alcune dichiarazioni d'amore del Duca Bianco nei confronti proprio della cittadina umbra: «Vorrei vivere ad Assisi perché è come stare in paradiso», aveva riportato il quotidiano La Stampa il 16 settembre 1995.
Secondo Avvenire, che dedica al cantante un'approfondita analisi l'11 gennaio, Bowie era una «star dei due volti». L'artista «andrà rivalutato ben più di quanto quella sua immagine certo in buona parte scelta, spesso sfacciata ma alfine pure subita, abbia permesso di fare nel corso della sua carriera». Il quotidiano dei vescovi italiani, in definitiva, minimizza il giudizio su un'immagine che dice “costruita” – e, si suppone, anche su quella “ambiguità sessuale” che faceva storcere il naso alle gerarchie cattoliche – per valorizzare positivamente il contributo sulla scena artistica e il contenuto di canzoni spesso impegnate «a squarciare il velo dell’indifferenza sulla decadenza dell’uomo e del mondo».
Insieme ad altri, questi interventi possono essere letti come il tentativo ecclesiastico di riabilitare una figura pubblica, in passato poco gradita al mondo cattolico. Basti pensare a quel lontano 23 settembre 1999, quando una delegazione di rockstar (Bono Vox, Bob Geldof e Quincy Jones) si recò, insieme al sindaco di Roma Francesco Rutelli, a Castel Gandolfo per l'udienza di Giovanni Paolo II, nell'ambito della campagna mondiale “Giubileo 2000” sulla cancellazione del debito estero dei Paesi poveri. Inizialmente era prevista anche la partecipazione di Bowie, ma le polemiche sui suoi stili di vita, scatenate nei giorni precedenti l'incontro, spinsero il cantante a mettersi da parte.
Eppure, non tutti, nel mondo cattolico, sembrano aver fatto pace con l'icona rock. A qualcuno, anzi, l'atteggiamento a tratti osannante di alcune gerarchie ha dato parecchio fastidio. In un tweet dello stesso giorno, prontamente subissato di insulti, accuse di sciacallaggio e di inopportunità da numerosi utenti, il “solito” Mario Adinolfi (direttore della Croce Quotidiano, figura di spicco del Family Day e paladino delle battaglie anti-gay contro il fantomatico gender e contro le unioni civili) si scaglia contro il card. Ravasi: «Leggo di prelati che tacciono sul ddl Cirinnà ma fanno a gara per commentare la morte di David Bowie. Boh». Proprio lui, aggiunge Adinolfi in un altro tweet, che «è l'inventore del marketing, dell'ambiguità sessuale elevato a sistema monetizzabile. Boh e ariboh».
Credente discreto e tormentato
Diversi anche i commenti che hanno tentato di raccontare la spiritualità – tormentata, in continua ricerca e certo difficilmente etichettabile come cristiana o cattolica – del Duca Bianco. Tra questi, segnaliamo quello di Peter Ciaccio, pastore valdese a Palermo, comparso su Riforma il 12 gennaio. Dell'artista, il pastore ricorda la grande consapevolezza del limite umano e la capacità di scandagliare il mistero della morte con lo strumento della musica e con la simbologia che attraversa i suoi videoclip. Consapevolezza accresciuta in maniera esponenziale dopo l'ultimo concerto, quello di Schessel (Germania), nel 2004, quando fu costretto ad un intervento di angioplastica d'emergenza. Idolatrato e osannato dal suo pubblico sparso in tutto il mondo, «per quanto “divino”, Bowie era tuttavia destinato a morire come ogni uomo sulla Terra: di divino c’è però come ha affrontato la morte invece di negarla. La dignità di combattere la malattia nel privato dei suoi affetti e, allo stesso tempo, di preparare il suo pubblico al congedo definitivo». La riflessione sulla morte gli ha permesso anche di entrare in contatto con la fede, sempre in maniera discreta e mai ostentata. Ciaccio ricorda lo spiazzante Padre Nostro recitato dal palco, in ginocchio di fronte a 72mila persone, durante un concerto nel 1992 in memoria di Freddy Mercury. «Bowie si offrì quale liturgo, quasi un pastore che invita la comunità a pregare, unica parola possibile di fronte alla morte». E ricorda anche che, sempre nel 1992, la star decise di convolare a nozze con la modella e attrice somala Iman, lontano dai riflettori, chiedendo la benedizione al pastore di una piccola chiesa battista nella periferia fiorentina. Alla curiosità del pastore, che gli chiedeva il motivo di quella scelta, Bowie rispose di essere credente. «Qui sta uno degli elementi dell’eccezionalità di David Bowie, artista monumentale, poliedrico, provocatorio e profondo: la consapevolezza del proprio essere un umano mortale come gli altri, che in tal modo eleva il suo pubblico al suo livello. Così ha dato un nome alle nostre ombre, ai nostri fantasmi, così ci ha proposto di affrontarli, con uno sguardo verso ciò che viene dall’alto, che sia lo Starman che aspetta nel cielo o il Lazarus che ci dice “Look up here, I’m in heaven”».
Il Lazarus di recente pubblicazione, e il suo video ricco di simboli e rimandi, ha spinto anche il noto blogger gesuita, James Martin, ad affrontare una sorta di esegesi del pezzo, che definisce «una meditazione sulla vita, sulla morte e, così pare, sulla resurrezione». Nel video Bowie ha il volto bendato come il Lazzaro del racconto evangelico, nella prima parte si contorce in un letto d'ospedale e poi, liberato dalle sue bende, canta e danza in piedi. Il passaggio, dice Martin, «è una complessa immagine della vita, della morte e dell'aldilà» e sembra rappresentare il passaggio dalla sofferenza e dalla cecità verso la liberazione, per opera di Dio. «Non sono certo delle convinzioni profonde di Bowie», aggiunge ancora il gesuita, «ma è un grande regalo quando un artista condivide se stesso col mondo in un modo così personale e creativo, specialmente nel momento della battaglia finale». «Come artista, Bowie ha sempre confuso le aspettative», conclude Martin. «Probabilmente, come molti di noi, ha combattuto con un Dio che, vicino alla fine, lo confondeva. Che adesso questo stesso Dio possa sorprenderlo. Con una nuova vita». Le sue bende siano ora sciolte, è il saluto finale del gesuita, e lui possa andare in pace.
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