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Imperfetta Laetitia: l'esortazione del papa tra ambiguità, reticenze e chiusure

Imperfetta Laetitia: l'esortazione del papa tra ambiguità, reticenze e chiusure

Tratto da: Adista Notizie n° 15 del 23/04/2016

38515 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Interpellato “off the record” da Adista sul dibattito che si stava sviluppando dentro e fuori la Chiesa sulla comunione ai divorziati risposati, qualche mese fa un parroco ci disse che per lui uno degli aspetti più imbarazzanti della questione era che più di qualcuno, dentro la sua comunità, aveva rilevato, in un misto tra disappunto e delusione, che per il ministero ordinato – sacramento tanto quanto il matrimonio – vale la possibilità della dispensa, cui è connessa quella, per il prete che la ottenesse, di potersi sposare in chiesa; per i divorziati, invece, una forma analoga di “dispensa" (del resto, è perfetta l'analogia tra indissolubilità del matrimonio e la formula “sacerdos in aeternum”), che permetta cioè loro di tornare a fare la comunione o risposarsi, semplicemente non c’è. Come a dire che anche nella sacramentaria la Chiesa usa due pesi e due misure; con i chierici e con i laici.

E continuerà ad usarli. Perché, parafrasando un tradizionale proverbio, alla fine tanto tuonò che non piovve. A “tuonare” – e tanto – presso i media e l’opinione pubblica laica e cattolica, sono stati due Sinodi, un questionario rivolto a tutte le diocesi del mondo che ha ricevuto circa 70mila risposte, un dibattito che dentro e fuori la Chiesa è stato per oltre due anni talmente intenso da apparire a tratti lacerante. Ma non ha piovuto; ossia, tutte le attese della parte più progressista e riformatrice, oltre che di tanti credenti che vivono la difficile condizione di divorziati dentro la Chiesa cattolica, sulla esortazione post sinodale Amoris Laetitia di papa Francesco, pubblicata l’8 aprile scorso, sono andate sostanzialmente deluse.

Non si dice infatti in nessuna parte del documento in maniera esplicita che un divorziato che vive in una nuova unione possa ricevere i sacramenti. Per loro al § 305 del documento si parla genericamente dell’«aiuto della Chiesa». La nota (non il testo!) chiarisce subito dopo che «potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti». Certo, alcuni media laici e cattolici hanno ripetuto l’ormai antico adagio della ennesima “svolta” o “rivoluzione” impressa da papa Francesco, ma – in genere – c’è stata nei commenti e nei servizi di giornali e telegiornali, meno euforia ed entusiasmo che in passato, e in molti hanno preferito piuttosto parlare di un primo passo, di una “decisa apertura”, dell’inizio di una nuova stagione, comunque di un nuovo approccio pastorale, consapevoli probabilmente di una opinione pubblica che, almeno su alcuni temi, comincia ad essere scettica sulla possibilità che questo pontificato intervenga efficacemente.

La “solita” famiglia?

Il testo della esortazione è molto lungo (263 pagine, suddivisi in 9 capitoli e 325 paragrafi!): da una parte la ragione di una riflessione così ampia ed articolata pare quella di tentare di spostare sull’attenzione pastorale, piuttosto che sull’affermazione dogmatica, il centro dell’attenzione. In questo senso, il papa riconosce che la realtà complessa nella quale la Chiesa si trova ad operare non consente di fare affermazioni valide in ogni contesto e per ogni persona. Al § 37 il papa afferma poi che come pastori «siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle», sottolineando il primato della coscienza individuale (che però non è certo una novità nella teologia come nel magistero della Chiesa) nel discernere i comportamenti individuali.

Ecco, forse è qui il nodo del documento, che si ricollega alla parola chiave di tutto il pontificato di Francesco, ossia “misericordia”, intesa nel senso dell’ascolto e della sollecitudine, anche pastorale (col vecchio metodo della "concessione" – a seconda della generosità "concessiva" del singolo presbitero o vescovo, e non del riconoscimento del diritto di uguaglianza con tutti gli "altri" – più bravi? – credenti) nei confronti delle vicende e delle storie individuali, ma sempre e soltanto all’interno di una cornice dottrinaria che però deve restare sostanzialmente inalterata. E infatti, come hanno sottolineato molti commentatori e prelati di segno conservatore, la dottrina resta quella. Per questo il papa in nessun punto della sua lunghissima esortazione dice esplicitamente che i divorziati possono o non possono accostarsi alla comunione. C’è semmai la disponibilità a fare un’eccezione alla norma sul caso individuale, sulla vicenda che riguarda l’esistenza del singolo credente, ma nessuna possibilità di cambiare la cornice “giuridica” e la visione tradizionale della Chiesa su matrimonio e famiglia.

Nell'esortazione non viene nemmeno ripresa la proposta del card. Kasper (peraltro già respinta in sede di Sinodo) ad una tolleranza ufficiale, sulla scia della prassi delle Chiese ortodosse, rispetto a seconde nozze non sacramentali. Tanto meno si può considerare una apertura l’affermazione (per la sua ovvietà; perché il magistero lo ha già affermato più volte; ma anche perché la società e la cultura contemporanea, laica e cattolica, non potrebbero ormai più nemmeno concepire la sessualità come “vizio” o come pura “necessità”) che il sesso nella coppia non va inteso «come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia: la sessualità è un regalo meraviglioso di Dio per le sue creature che abbellisce l'incontro tra gli sposi».

Del resto, non si può nemmeno dire che l’eccezione alla norma generale che tiene lontani i divorziati dall’eucarestia già esistesse. Nella enciclica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, se il divorziato si asteneva dai rapporti sessuali e viveva in continenza, magari anche con un partner, ma sempre come fratello e sorella, poteva accedere al sacramento. Eppure, anche in quel caso la continenza non eliminava di certo il grave peccato della rottura del vincolo coniugale con la formazione magari di una nuova coppia.

Papa Francesco va avanti su questa linea (e quindi non ci sono né “rotture”, né “rivoluzioni”) e introduce il concetto di “discernimento dinamico” (§ 303), che «deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno». Insomma, il peccato resta, la situazione irregolare anche; ma, a determinate e discrezionali condizioni verificate dal prete che segue la persona divorziata, si può considerare il sincero desiderio di conversione del peccatore, il suo cammino di crescita spirituale, e concedergli comunque di accostarsi alla eucaristia. Ma il peccatore resta comunque tale. A cambiare semmai (ma non è detto) è l’atteggiamento misericordioso del suo pastore.

Nozze gay “fuori dal disegno di Dio”

Sulla questione dei gay per il papa era assai più difficile “serpeggiare” nei difficili meandri del magistero e della pastorale come sulla questione dei divorziati. E infatti è stato questo l’aspetto su cui il documento papale ha suscitato le reazioni più polemiche e le delusioni più profonde. «Chi sono io per giudicare un gay?», disse il papa in una celebre conferenza stampa durante il suo viaggio di ritorno dalla Gmg di Rio, il 29 luglio 2013. Eppure, è ancora quel papa, in quanto capo della Chiesa cattolica, che “giudica” la condizione omosessuale, così come l’affettività omosessuale. In una prima fase, nella sua esortazione per la verità il papa non fa che ribadire l’accoglienza che nei suoi documenti la Chiesa ha sempre riconosciuto alle persone omosessuali ed alle loro famiglie (accoglienza di principio, ovviamente, perché nella pratica e nelle scelte pastorali le persone lgbt hanno spesso trovato porte chiuse da parte di vescovi, preti, comunità parrocchiali). E il documento (§ 250) afferma infatti che «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita». Poi però il papa ribadisce, e con parole molto nette, che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».

Magistero o paterno consiglio?

C’è poi una questione più squisitamente “tecnico-giuridica”, su cui si appunta la linea di resistenza di tutta l’ala conservatrice della Chiesa gerarchica e che consiste nel derubricare l’esortazione ad un autorevole punto di vista, quello del papa, che non sarebbe però vincolante. Del resto, lo stesso Francesco afferma nell'esordio dell'esortazione, al § 3 («Desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano), una cerlita sua ritrosia a pronunciarsi con tutti i crismi magisteriali, aprendo in questo modo lui stesso la strada a diverse ricezioni del suo messaggio. Per i “progressisti” si tratta di una importante novità, nel senso che l’autorità invece di imporsi sceglie di legittimare altre autorità, che possano decidere caso per caso (il punto debole di questa argomentazione è però che tale “libertà” pare limitata al solo tema della comunione ai divorziati). Per altri le parole del papa costituiscono il via libera a proseguire come prima e come nulla fosse. In ogni caso, una certa ambiguità, sia per i discorsi scritti che per le parole pronunciate “a braccio”, ha sempre caratterizzato l’attuale pontificato, che ha volutamente utilizzato forme e linguaggi “aperti” che lasciassero “aperte” anche le letture e le interpretazioni dei suoi gesti e dei suoi messaggi, in modo che essi non scontentassero i progressisti, ma che nemmeno amareggiassero troppo i conservatori. E anche l’esortazione Amoris Laetitia non pare sfuggire a questa logica. 

* Immagine di thierry ehrmann, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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