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Il vescovo Barros e il papa che non ascolta la vittima. La lettera integrale di Juan Cruz

Il vescovo Barros e il papa che non ascolta la vittima. La lettera integrale di Juan Cruz

SANTIAGO DEL CILE-ADISTA. Una disavventura quella in cui è incorso papa Francesco con la nomina - alla diocesi cilena di Osorno, nel 2015 - e la difesa ad oltranza di mons. Juan Barros Madrid, accusato di essere a conoscenza e di aver coperto gli abusi sessuali da parte dell’ex sacerdote Fernando Karadima, condannato e dimesso dallo stato clericale dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel gennaio 2011. Invero Barros è accusato dalle vittime di complicità per aver partecipato ai crimini del parroco di El Bosque.

Una disavventura finita sotto i riflettori dell’intera stampa internazionale a motivo della recidiva, perché Bergoglio durante il suo viaggio in Cile aveva insistito, malgrado fosse dal 10 gennaio 2015 (data della nomina del vescovo Barros) che fedeli cileni, a partire dai deputati del Congresso, testimonianze alla mano chiedessero al papa di ritornare sulla sua decisione: «Il giorno che avremo una prova contro il vescovo Barros – ha detto Francesco ad Iquique – parlerò. Non c’è una sola prova d’accusa. Le altre sono tutte calunnie, chiaro?».

A smorzare un po’ le luci sulla questione era intervenuta il 30 gennaio scorso la decisione di Francesco – forse dietro suggerimento del card. Sean O’Malley, capo della Commissione vaticana antipedofilia, secondo il quale le affermazioni del papa trasmettevano «il messaggio “se non puoi provare le tue affermazioni, allora non sarai creduto”» (v. Adista.it 21/1/18) – di inviare a Santiago mons. Charles J. Scicluna (arcivescovo di Malta e presidente del Collegio per l’esame di ricorsi in materia di delicta graviora alla Congregazione per la Dottrina della Fede) «per ascoltare coloro che hanno espresso la volontà di sottoporre elementi in loro possesso». In pratica le vittime. E come se queste non si fossero mai espresse, mai avessero parlato, mai avessero chiesto di essere ascoltate. Come dire “il papa casca dalle nuvole, ci vuole veder chiaro”.

È invece più che noto che Francesco fosse al corrente delle accuse a Barros già nel 2015 (v. Adista Notizie n. 35/15). Tanto più al corrente dopo aver ricevuto la lettera, datata 3 marzo 2015 (Barros si è insediato il 21 marzo), che l’Associated Press ha rivelato ed è stata rilanciata, tra gli altri, dal quotidiano cileno La Tercera il 5 febbraio scorso. È firmata da una delle vittime di Karadima (e di Barros), Juan Carlos Cruz Chellew, ed è indirizzata a papa Francesco, cui Cruz racconta nei dettagli - anche scabrosi e da tortura psicologica - il suo calvario da abusato, minacciato e spaventato dalla cricca criminale, nonché bistrattato dalle autorità ecclesiastiche cui si è rivolto per avere giustizia. All’interno della missiva al pontefice, infatti, Cruz riporta anche la lunga lettera in cui egli denunciava gli abusi subiti al nunzio in Cile, mons. Ivo Scapolo, che, tramite segretaria, gli aveva risposto solo: «Non parlo più sul vescovo Barros. Inoltre non avrò più comunicazioni con lei».

Com’è possibile che il papa non abbia preso in considerazione una testimonianza così circostanziata da farlo quantomeno riflettere sull’opportunità della scelta di Barros? Che non gli sia mai giunta? Autorevoli testimoni affermano il contrario. L’iter della lettera di Juan Cruz, raccontato nei particolari dall’Associated Press, è stato il seguente: nell’aprile 2015, 4 membri della Commissione vaticana per la tutela dei minori (che compongono una sotto-commissione che si occupa delle vittime) convergono su Roma per consegnare la lettera nel momento in cui sono certi che il card. O’Malley è presente in Vaticano e può farsi latore della lettera al papa. In quei giorni, infatti, in Vaticano si svolge un incontro del C9, il consiglio dei cardinali, tra i quali, appunto, O’Malley. «Quando gli abbiamo dato la lettera per il papa, ci ha assicurato che gliel’avrebbe consegnata »,  riferisce Marie Collins, membro della Commissione poi dimessasi, all’Associated Press, e di quanto afferma esiste una fotografia – scattata da un altro membro, Catherine Bonnet -  che la ritrae insieme al cardinale con la lettera in mano; «Successivamente, ci ha assicurato che ciò era avvenuto».  Circostanza confermata una seconda volta dallo stesso O’Malley mesi dopo quando, dopo la visita di papa Francesco a Philadelphia in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie (settembre 2015), chiama Cruz: «Mi disse – è lo stesso Cruz a raccontarlo all’AP – che aveva consegnato la lettera al papa, nelle sue mani».

La Santa Sede, fino al momento in cui scriviamo, non ha reagito a questa nuova rivelazione. 

La cosa strana, sconvolgente a suo modo, è anche la seguente: il giorno 5 febbraio, come già detto, sul sito de La Tercera è riportata in pdf tutta la lettera di Juan Cruz; il giorno dopo, 6 febbraio, essa non è più rintracciabile, è scomparsa.  Pare riportarla, oggi, solo il giornale cileno Diario Concepción (visibile alle 19,30). Adista però l'ha reperita, l’ha tradotta integralmente in italiano e la si può leggere qui

*Foto di Benhur Arcayan tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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