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PRIMO PIANO. «Portami via!»: il grido degli ultimi

PRIMO PIANO. «Portami via!»: il grido degli ultimi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 15/09/2018

L’intervento riportato più avanti, pubblicato su Facebook alcuni giorni fa, prende l’avvio da molto lontano, cinque anni fa. Non un ragionamento, né una fede religiosa, ma un grido, un grido soltanto, gli ha dato la spinta per esprimersi. E l’impegno, da allora, a dare risposta a quel grido.

Nel 2001, la nostra Associazione (www.sullastradaonlus.it) ha avviato in Guatemala un progetto a favore di bambini che ogni giorno lavorano con la polvere da sparo, per confezionare petardi e fuochi artificiali, rischiando così la vita, o di essere deturpati per sempre. Come successe a Victor, che ha perduto vita e infanzia nel 2013.

Tutto dunque comincia con il grido di Victor, undicenne fresco di compleanno, sventrato dall’esplosione della polvere da sparo con cui stava lavorando. Quella polvere non gli aveva perdonato un errore madornale: lasciar cadere, distratto, una candela accesa nel secchio dove lei dormiva. Sì, proprio così, in quei posti, anche dove si maneggia polvere da sparo, ci può essere in giro una candela accesa, se la povertà estrema non consente di pagare in tempo la bolletta della luce.

L’esplosione improvvisa aveva distrutto la parte posteriore delle due gambe di Victor e spappolato il suo piccolo apparato genitale. Trafelato arrivai anch’io a quella capanna, dopo aver udito il boato. Per prima vidi a terra, chiaramente morta, la sua giovanissima mamma Armenia, denudata e annerita per l’esplosione. Quando Victor sentì che anch’io ero corso lì, mi gridò: “lléveme de aquì, lléveme de aquì!”, (“portami via di qua, portami via di qua!”). Ecco, quel grido, che ancora oggi, descrivendolo, mi riempie gli occhi di lacrime e il cuore di rabbia, quel grido da allora mi muove e non mi lascia riposare. “Portami via di qua”, non è la richiesta di un luogo geografico diverso da quello, ma di un’altra vita, di altre regole, più umane e anche più rispettose dei bambini, i più indifesi, e delle donne, le più oltraggiate. Ma fino a che quelle regole non cambiano, i Victor e le Armenie ancora vivi hanno tutto il diritto di cercare altri luoghi, anche in altri Paesi, se nel loro non c’è spazio per richieste di questo tipo. È solo la nostra cecità di fronte alle loro tragedie quotidiane che ci impone di tenerli lontano da noi, è solo il nostro egoismo, sapientemente alimentato da chi sa “sminestrare” que sto ingrediente così velenoso. “Il capitale comanda e nulla potrà cambiare le cose”, in tanti affermano e sbandierano questa presunta verità, che verità non è, perché è semplice realtà presente, che oggi c’è e domani non più, se solo ci impegniamo a che sia espulsa.

Per il principio della progressività, non possiamo pensare che i problemi si possano risolvere con uno schiocco di dita, ma solo con un processo, con un cammino. È sotto gli occhi di tutti che l’accoglienza in Italia, per lo più, ha fallito nel suo intento, ma questo non rende l’accoglienza un’utopia, o, peggio, una bandiera ideologica da sbandierare, come spesso si fa. Anche questo ha causato quel fallimento e sarà causa di altri fallimenti.

L’accoglienza in Italia ha fallito per due motivi, uno politico e l’altro psicologico. Quest’ultimo è il più facile da individuare, ma il più difficile da risolvere. Di fatto, i due opposti – respingimento e accoglienza – affondano le radici nell’unico e oscuro mare composto dalle due pulsioni più profonde dell’essere umano: egoismo ed amore. Ma l’egoismo, che qui si esprime nel respingimento, distrugge i rapporti e crea tensioni, mentre l’amore, che si traduce in accoglienza, crea legami e ricompone continuamente armonia all’interno dell’umanità nella sua interezza. Siamo tutti, volenti o nolenti, dentro le stesse leggi della chimica: i legami creano armonia e nuove realtà, mentre romperli comporta la loro decomposizione.

L’accoglienza è un fatto sociale, antico quanto l’umanità, e per questo diventa anche un fatto politico (non ideologico), perché insito nella società. Ma l’accoglienza sciatta danneggia in primo luogo gli accolti. Il suo fallimento a questo livello è dovuto, secondo me, alla corruzione e alla pessima gestione delle leggi, pur ottime, di cui si è dotata l’Italia. Tra i gestori dei centri di accoglienza, in moltissimi casi costituiti da alberghi adattati a quella funzione, ci sono quelli che hanno costruito la loro ragnatela di relazioni nei centri del potere, soprattutto nelle Prefetture dei loro territori. Quando lì arriva una qualche denuncia di malfunzionamento del servizio (maltrattamenti, scarsità o pessima qualità del cibo, razionamento ingiustificato dell’acqua, assenza quasi totale di scuola di italiano o di avviamento alla seconda tappa dell’accoglienza, eccetera), per cui si rende necessaria una verifica in loco, una telefonata avverte preventivamente il gestore del centro del controllo e così lui potrà metterci una pezza. Corruzione, altra realtà chimica, che rende inservibile l’oggetto che ne è intaccato.

Rinunciamo all’accoglienza per la corruzione? Perché, invece, non rinunciamo alla corruzione?

Possiamo farlo: ognuno, semplice cittadino, può contribuire con il suo impegno sociale. Questa è Politica. La Politica infatti è la nostra partecipazione all’atto creativo. Sì, la politica è sporca, ma affermare che è sporca e non analizzare quella sozzura e rimuoverla, equivale a fare come le tre scimmiette scemette, una che non vuol guardare, una che non vuol sentire e l’ultima che non vuol parlare. Lasciare questa sporcizia nel nostro meraviglioso Paese significa mancare di rispetto ai nostri figli e ai figli dei nostri figli, ai quali lo consegneremo in eredità.

Scegliere di stare con chi è respinto è forzare la storia a modificare il suo corso: chi non avanza in quella direzione, regredisce, e con lui regredisce tutta una società.

La mia solidarietà per gli ultimi è senza se e senza ma, anche se questo comporterà, insieme alla creazione di tanti nuovi legami, la rescissione di altri. 

* Carlo Sansonetti è co-fondatore e attuale presidente dell’Associazione Sulla Strada

                                                               * * *

                           AD UN AMICO CHE OGGI È CONTRO I MIGRANTI

                                dalla pagina Facebook di Carlo Sansonetti

 

Caro amico, è il momento della separazione. I nostri cammini prendono due direzioni diverse.

È tempo di vedere la differenza che ci divide, di chiarire ciò che ci separa, dopo che per una vita abbiamo alimentato tutto ciò che ci univa.

La crisi della Diciotti, che a prima vista è (quasi) tutta italiana, è in realtà l’ultimo atto – perché ormai lo ritengo tale – di una divisione netta fra due filosofie, di due concezioni separate e contrapposte di un modello di umanità.

Non ne faccio una questione politica, nè partitica, perché è invece argomento che fa da fondamento all’umanità futura, che riguarda dunque l’antropologia che vogliamo impostare per il domani, per il mondo cioè che popoleranno i nostri figli e i figli dell’umanità intera.

Già ci hanno provato i nazismi e i fascismi di altri tempi, come anche i comunismi reali sparsi su tutto il globo terrestre: quello che si portava avanti – e che oggi si ribadisce con veemenza e con violenza – è la concezione di un essere umano funzionale a una ideologia o comunque alle convenienze di chi ha già i suoi privilegi.

Mi vergogno di essere italiano, rappresentato cioè da chi governa l’Italia oggi, ma mi vergogno grandemente anche di essere europeo, rappresentato da un Sistema che esclude invece di includere, un Sistema che guarda solo ai benefici finanziari o di consenso sociale in qualsivoglia relazione, un Sistema che ci inocula una fottuta paura di perdere ciò che stiamo comunque perdendo: i privilegi di appartenere alla parte ricca del mondo (che continua a sfruttare, spremendola, quella povera).

Mi vergogno perciò di appartenere a questo Occidente, che ancora vuole imporre agli altri popoli, alle altre culture, alle altre filosofie, la dominazione della propria economia, della propria politica, della propria cultura e della propria filosofia.

Mi vergogno di appartenere alla parte ricca del mondo.

È per questo che mi dedico a quella povera.

Sono infatti convinto che bisogna convertirsi radicalmente ai più poveri e al loro mondo, per poterci arricchire finalmente in solidarietà, compassione, sapienza, giustizia, fede, e forza di liberazione per essere radicalmente felici.

Per completare la vostra opera, state insistendo in modo sistematico sul fatto che i migranti siano in permanenti “crociere vacanziere”, e che, quando arrivano in Italia si dedichino allo sport più diffuso al giorno d’oggi: perdere il tempo dietro a un telefonino e infastidire, molestare e intimorire la gente. È proprio in questo modo che su costoro si realizza invece una profezia raccontata in antichità (un’antichità perennemente attuale) da un ebreo, di nome Isaia: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi».

Non è un fatto di fede in Dio, ma di passione per gli esseri umani che soffrono, e devozione per quelli che si identificano con essi. Credo dunque a questo genere di umanità, e rinnego come falsa e deviante quella che voi propugnate.

Fra le due non vi può essere alcun compromesso, come non vi è compromesso fra la luce e il buio, né è più possibile continuare ipocritamente a far finta che si può stare contemporaneamente di qua e di là.  

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