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«Germogli di speranza» e «denuncia del degrado» del nostro tempo. La Lettera di Natale del preti del nord-est

«Germogli di speranza» e «denuncia del degrado» del nostro tempo. La Lettera di Natale del preti del nord-est

ZUGLIANO (UD)-ADISTA. «Germogli di speranza» ma anche «denuncia del degrado culturale, etico e politico» del nostro tempo. Cammina lungo questi due binari la Lettera di Natale dei preti del nord-est (Pierluigi Di Piazza del Centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano, Franco Saccavini, Mario Vatta, Pierino Ruffato, Paolo Iannaccone, Fabio Gollinucci, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Renzo De Ros, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai, Albino Bizzotto, Antonio Santin), ormai una tradizione natalizia che ha preso l’avvio nel 2004.

Prima i «germogli», perché coglierli e indicarli, «nella complessità di una situazione preoccupante, è un’arte indispensabile e benefica», che «nutre in noi l’energia interiore per riproporre idealità, dedizione e impegno, per sentirci solidali con l’umanità sofferente», scrivono i preti del nord-est, che fra i segni di resistenza e di speranza indicano la grande solidarietà attorno a Mimmo Lucano (l’ex sindaco di Riace, città modello di accoglienza e integrazione dei migranti), i centomila della Purugia-Assisi e della manifestazione a Roma (il 10 novembre) contro il razzismo, le occupazione delle scuole da parte degli studenti (soprattutto a Roma) come «presa di posizione dei giovani di fronte all’indifferenza o all’impotenza di molti adulti»

Poi la denuncia. «Denunciamo – si legge nella Lettera di Natale – il degrado culturale, di quella cultura che riguarda l’essere umano, il suo orientamento, le sue convinzioni e decisioni, le azioni e le relazioni con gli altri. Lo rileviamo nelle affermazioni presuntuose, arroganti e violente che pretendono di definire le diversità e le discriminano, come se chi è al di fuori del perimetro stabilito dal pensiero unico e forte non debba avere gli stessi diritti e la stessa considerazione. È molto preoccupante il pensiero negativo che diffonde indifferenza (“me ne frego”) e ostilità fino all’odio verso l’altro: sessualmente diverso, carcerato, nomade, povero, mendicante e soprattutto immigrato. Come conseguenza si rileva un degrado etico. L’etica dell’attenzione alla dignità e ai diritti di ogni persona, comunità e popolo viene gravemente colpita da chi è al potere e agisce con la presunzione e l’arroganza di decidere per il bene comune confondendolo con quello proprio e della propria parte, anche se verbalmente è coinvolto sempre tutto il popolo senza alcuna distinzione».

Inoltre, proseguono, «condividiamo con tante e tanti di voi la grave preoccupazione per le scelte a livello mondiale ed europeo, del nostro Paese e della nostra Regione, segnate in modo evidente da discriminazioni a vari livelli. Si pensi alla legge sicurezza riguardo agli immigrati e alle decisioni regionali, in parte già attuate e proposte in prospettiva di rinchiuderli, vanificando l’accoglienza diffusa, in grandi centri di reclusione, confermando la logica terribile che per risolvere questioni problematiche si decide di rendere invisibili le persone coinvolte nelle stesse. Il problema della sicurezza non riguarda solo la presenza degli stranieri ma tutte e tutti noi: la vita delle persone, la dipendenza dalle sostanze e dal gioco; la viabilità e i trasporti, la madre terra e tutti gli esseri viventi, l’acqua, i fiumi, l’aria, i boschi, le montagne. Non sarà certo l’attribuzione di un potere salvifico alle telecamere, alle pistole elettriche e ai manganelli a salvare la sicurezza, intesa appunto in senso globale». Invece «ogni diverso è percepito come una minaccia, un pericolo per l’integrità intoccabile dell’identità», da cui «derivano due atteggiamenti: quello difensivo e quello aggressivo, entrambi animati da violenza latente e anche esplicita. Si sente affermare: “noi siamo occidentali, bianchi, friulani, giuliani, veneti, cristiani, cattolici. Noi ci difendiamo da coloro che vengono a minacciare la nostra identità, in particolare dai musulmani”. Questo atteggiamento, insieme ad altre cause e motivazioni, porta a costruire muri e fili spinati, ad alimentare la cultura del nemico fino all’avversione e all’odio, a negare in radice l’accoglienza di ogni altro “diverso”, non solo dei migranti».

Mentre, aggiunge la Lettera di Natale dei 13 preti del nord-est, «dalla fede deriva solo l’identità dell’amore e della donazione, non il supporto strumentale e la legittimazione a identità culturali, sociali e politiche di chiusura e avversione per le quali si utilizzano in modo vergognoso perfino i simboli religiosi per confermare scelte politiche e ricercare consenso (diversi sono gli esempi anche nella nostra Regione; ci si può riferire alla vicenda della rimozione delle panchine a Udine per collocarvi il presepe). Seguire l’una o l’altra concezione e pratica dell’identità ha conseguenze, anche religiose, evidenti».

Anche nella Chiesa vi sono luci ed ombre. «Siamo preoccupati – scrivono – per la difficile situazione attuale della Chiesa e rileviamo che quasi nulla è stato fatto fino ad ora per nuovi ministeri e nuove forme di servizio nella Chiesa». Ma resta la fiducia in papa Francesco («Sosteniamo e ringraziamo papa Francesco, camminiamo con lui; rileviamo che ancor scarsa è la ricaduta della sua presenza e del suo magistero in parole e segni nelle Diocesi e nelle parrocchie») e nel futuro: «La pazienza evangelica ci lascia però ben sperare che i segnali positivi nel tempo troveranno sempre più accoglienza fiduciosa nelle comunità cristiane. Il Concilio Vaticano II conserva ancora la sua freschezza profetica per aiutare il popolo di Dio a non cadere nella rassegnazione e quindi a incamminarsi con decisione e con gesti concreti verso la realizzazione del Regno di Dio».

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