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Abusi, dietrofront della Procura cilena sull’Accordo di collaborazione con la Conferenza Episcopale

Abusi, dietrofront della Procura cilena sull’Accordo di collaborazione con la Conferenza Episcopale

SANTIAGO DEL CILE-ADISTA. A distanza di neanche una settimana dalla firma, il 6 maggio scorso l’accordo di collaborazione tra la Procura della Repubblica nazionale e i vescovi della Conferenza Episcopale del Cile (CECh), siglato per «favorire lo scambio di informazioni relative a indagini passate, presenti e future riguardanti crimini di natura sessuale commessi da chierici diocesani», è stato annullato, travolto dalle numerose voci di dissenso.

L’accordo era stato firmato il 30 aprile dal Segretario generale della CECh, mons. Fernando Ramos, e dal Procuratore nazionale, Jorge Abbott (si veda Adista News del 2/5/2019), proprio mentre si svolgeva la plenaria dei vescovi, riunitisi dal 29 aprile al 3 maggio a Punta de Tralca. Un accordo che avrebbe dovuto inserirsi in quel programma di azioni per la lotta agli abusi ad opera dei religiosi, all’ordine del giorno dell’assemblea dei presuli cileni, ma che sin dagli albori si presentava incardinato in un clima di evidenti contrasti. Già dal messaggio di apertura della plenaria, lo stesso Ramos aveva difeso la «sacralità della confessione», riferendosi al progetto di legge, al varo del Parlamento cileno, che obbligherebbe i preti a denunciare alla giustizia civile qualsiasi atto illecito contro minori o adulti vulnerabili conosciuto in confessione, violando il segreto sacramentale. Approvato dalla Camera dei deputati, il progetto è ora al vaglio della Commissione Affari costituzionali del Senato ma contro di esso si sono levati gli scudi di vescovi fin oltre oceano: «Se un sacerdote viola il segreto sacramentale, riceve la grave pena della scomunica – si legge in una dichiarazione del segretario Cech riportata da Vatican News -. Non c’è legislazione al mondo che abbia tolto questo principio» (sebbene recentemente la Royal Commission australiana abbia emanato una raccomandazione simile). Lo stesso concetto espresso da padre Luigi Sabbarese, membro di presidenza del Servizio nazionale di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili della Conferenza Episcopale Italiana: «Bisogna sempre ricordare che la vicenda di queste leggi si inserisce in un ambito delicato di autonomia giuridica della Chiesa – ha dichiarato a Vatican News - Il catechismo e il codice di diritto canonico tutelano il sigillo sacramentale rendendolo inviolabile, anche quando il penitente volesse sollevare il confessore da questo obbligo». Sabbarese ipotizza allora la soluzione del “foro esterno”: «il sacerdote potrebbe convincere il penitente - con carità ed amore - a parlare fuori dalla confessione del terribile delitto commesso. A questo punto non ci sarebbe più il sigillo sacramentale da rispettare».

Con questo retroscena, era assai difficile che l’accordo “tenesse”. Nonostante la soddisfazione iniziale espressa dai firmatari, la notizia della sigla non era stata affatto accolta bene da alcune vittime di abusi dell’ora ex prete Fernando Karadima, come James Hamilton, che aveva bollato l’accordo come una «mossa del terrore»; un «grande errore etico e legale dell'Ufficio del Procuratore», che, nelle parole di Juan Carlos Cruz, si sarebbe «svenduto alla Cech», dando loro «carta bianca» per perseverare nella solita condotta dell’insabbiamento.

A seguito di queste affermazioni al vetriolo, a cui si sono aggiunte quelle del deputato indipendente René Saffirio («Impossibile – è stata la sua esclamazione – trovare qualcosa di più illegale e immorale di questo accordo di collaborazione»), il Procuratore Jorge Abbott ha fatto dietrofront, annullando l’accordo. «La Procura nazionale si rammarica profondamente che la firma del documento, come atto simbolico, abbia generato sfiducia e prodotto un impatto doloroso sulle vittime, una situazione che non era né prevista né desiderata dall'istituzione», si legge in un comunicato diffuso da diversi organi di informazione e stampa lunedì 6 maggio, «le vittime dei crimini, in particolare quelli che hanno subito crimini sessuali e violazioni dei loro diritti umani, sono sempre state al centro delle (nostre) preoccupazioni».

Stesso rammarico espresso dalla Conferenza Episcopale del Cile, affidato ad un messaggio diffuso lo stesso lunedì in cui assicurava che l’unico scopo dell’accordo era quello di «dare maggiori garanzie ai denuncianti di abusi sessuali, in particolare quelli che non desiderano presentare la loro relazione dinanzi agli organi dello Stato». «Non abbiamo mai cercato un trattamento preferenziale – prosegue la nota- il nostro obiettivo era di rendere esplicito in un documento formale la nostra volontà di collaborare al di là di quanto stabilito dalla legge».

 

 

*foto di Diego Delso tratta da Wikipedia. Immagine originale e licenza

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