
Vescovo spagnolo: “il papa ci chiede una Chiesa di liberazione dal giogo del capitalismo”
CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Anche quando i destinatari delle parole del papa non sono soggetti ecclesiali, esse sono necessariamente rivolte alla Chiesa tutta. Per esempio, la lettera che Francesco ha indirizzato ai movimenti popolari internazionali, ai quali dice: «Continuate a lottare e a prendervi cura l’uno dell’altro come fratelli», nella speranza «che questo momento di pericolo ci faccia riprendere il controllo della nostra vita, scuota le nostre coscienze addormentate e produca una conversione umana ed ecologica che ponga fine all'idolatria del denaro e metta al centro la dignità e la vita».
Ma quale la ricaduta sul corpo ecclesiale? Quale prassi ecclesiale adottare in attuazione di tale insegnamento? Ne sistematizza gli assi il vescovo ausiliare di Madrid, mons. José Cobo, membro della Commissione episcopale di Pastorale sociale e Promozione umana, sollecitato dalle domande di Vatican News (14/4), delineando una linea pastorale molto latinoamericana, di liberazione concreta dai gioghi dello sfruttamento per l’affermazione fattiva della dignità di ogni persona. Linea che non è una scontata ricaduta della provenienza di Bergoglio, ma che risponde al magistero sociale dell’attuale pontefice.
Innanzitutto, mons. Cobo definisce la lettera ai movimenti sociali «un incoraggiamento ad alzare lo sguardo verso l'orizzonte, per prepararsi all'uscita da questa situazione di crisi. Molti vorranno uscire come se nulla fosse accaduto o con il "pilota automatico". Francesco ci presenta chiavi realistiche»: «la lotta per il bene comune e lo sviluppo umano integrale. Questi saranno i parametri» di ogni azione. «È una lettera concreta, sul da farsi», aggiunge. «Ci spinge alla lotta per le tre "t"», tierra, techo, trabajo e cioè per frutti della «terra, per la casa e per il lavoro», che «sono la concretizzazione della giustizia sociale sulla quale ha tanto proposto e discusso in molti incontri con i lavoratori e i movimenti sociali».
Su questa strada, il vescovo individua i compiti che la Chiesa deve svolgere. «Il primo – inizia ad enumerare moms. Cobo – è l’accoglienza. Siamo chiamati a ripartire in modo diverso da quello che abbiamo sperimentato finora, facendo della dignità e del valore delle persone il nerbo dell’azione e non tornando al modo finora usuale, come niente fosse successo».
Ne consegue che «si apre la sfida di aiutare le forze sociali a studiare, nell’orizzonte del bene comune, meccanismi per consolidare il salario universale (…) al fine di sostenere la sopravvivenza di tante famiglie». Ciò «implica», per passare al terzo compito, «potenziare a tutti i livelli l’attenzione ai problemi reali delle persone. Siamo dunque convocati non solo ad opere di filantropia: dobbiamo dare vita a équipe di riflessione trasversali, di lavoro per progetti diversi dagli usuali, perché questi tendono a rimanere rinserrati in quello che si è sempre fatto e nelle solite competenze».
Il papa «offre ai lavoratori la Chiesa come prima realtà per focalizzare l'uscita da questa grande crisi», che è «un'opportunità per rivitalizzare un aspetto» della Dottrina sociale «che fino ad ora, anche se presente, può essere apparso un po' assonnato»; e allo stesso tempo per mettere in primo piano non solo il modo in cui accompagniamo i disoccupati e gli esclusi dal mondo del lavoro, ma anche come accompagniamo i lavoratori in generale, e in particolare i lavoratori poveri e precari dei nostri ambienti».
«Un'altra sfida – conclude mons. Cobo – sarà chiederci come affrontiamo la questione del lavoro dignitoso nella vita della Chiesa. Non si tratta solo di "realizzare campagne”, ma se il loro dolore è stato fissato nel nostro cuore e se combattiamo in ogni spazio ecclesiale (è il verbo usato dal Papa) perché abbiano la degna posizione che meritano».
*Foto di dominio pubblico tratta da La Città Futura, immagine originale e licenza
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