
Lavoratori stranieri in Italia: un potenziale inespresso. Il Rapporto della Fondazione Moressa
La Fondazione Leone Moressa è un istituto di ricerca nato nel 2002 da un’iniziativa della Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre CGIA. Si occupa dei fenomeni migratori e, in particolare, del contributo degli stranieri nel tessuto sociale ed economico del Paese. A tal fine, ogni anno dal 2011, la Fondazione raccoglie dati e informazioni in un approfondito dossier – Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione – molto utile per conoscere l’impatto dei fenomeni migratori sull’economia italiana ma anche per formulare ipotesi di lavoro e proposte per l’agenda politica nazionale. In tale direzione, il lavoro della Fondazione non si limita alla raccolta e diffusione di dati statistici, ma si estende all’organizzazione di incontri ed eventi al fine di sensibilizzare la società civile, gli enti locali e le istituzioni del Paese.
Oggi, a partire dalle ore 11, si svolge a Roma (Hotel Nazionale, piazza Montecitorio) la presentazione della decima edizione del Rapporto, che affronta con approccio storico-statistico “Dieci anni di economia dell’immigrazione” in Italia. Alla presentazione, alla quale si può partecipare anche in diretta streaming su webtv.camera.it, partecipano Tito Boeri (Università Bocconi Milano), Triantafillos Loukarelis (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), Laurence Hart (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Ufficio Mediterraneo), Cesare Fumagalli (Confartigianato), Tatiana Esposito (Ministero Lavoro e Politiche sociali) e Luigi Maria Vignali (Ministero Affari Esteri).
Il Rapporto – al pari di altri dossier statistici che indagano gli stessi fenomeni con la lente del metodo scientifico e non della propaganda politica – racconta una realtà estremamente dinamica, che porta nelle casse dello Stato 18 miliardi di euro tra contributi e tasse dei lavoratori stranieri e che “costa” meno in termini di spesa pubblica. I lavoratori stranieri, dice il Rapporto, producono il 9.5% del Pil nazionale, con un potenziale ancora inespresso, perché una buona fetta di loro – soprattutto per ragioni di irregolarità – si muove nell’ambito di un mercato del lavoro sommerso. In tempo di pandemia, con i molti limiti rilevati dalla società civile, il governo ha provveduto ad una “sanatoria” di lavoratori stranieri irregolari: solo questa manovra, segnala la Fondazione, ha portato nelle casse dello Stato 30 milioni immediati (contributi una tantum al netto dei costi sostenuti dalla pubblica amministrazione) e potrebbe portare un gettito addirittura di 360 milioni ogni anno, sempre in termini di tasse e contributi versati.
La prospettiva storica, che contraddistingue questa edizione del dossier, porta alla luce altri dati interessanti sul decennio italiano di gestione dei flussi migratori: dal 2011 infatti l’Italia ha progressivamente chiuso la porta ai lavoratori stranieri in cerca di occupazione, i quali hanno potuto raggiungere il territorio italiano attraverso altri canali, quali i ricongiungimenti familiari o le richieste di protezione internazionale, aumentate notevolmente anche in ragione del quadro politico internazionale. Dal 2010 ad oggi, avverte la Fondazione, sono diminuiti del 97% i permessi di soggiorno per motivi di lavoro a fronte di un aumento del 44% dei residenti stranieri sul territorio nazionale. Questo mutamento della popolazione straniera in italia, legato alla situazione internazionale ma anche a precise politiche di gestione dei flussi, ha provocato una mortificazione del potenziale lavorativo e produttivo degli immigrati, che andrebbe riattivata in una prospettiva di rilancio dell’economia.
Insomma, il dato politico che emerge da questo rapporto – e che emerge annualmente anche dai Dossier Immigrazione di Idos e Confronti, la cui edizione 2020 sarà presentata a fine mese – è che il lavoro, soprattutto quello degli immigrati che tendenzialmente sono più giovani e attivi, produce ricchezza e compensa la spesa pubblica. Una politica migratoria che guarda al futuro e al benessere economico del Paese (e non quindi alle scadenze elettorali) dovrebbe liberare questo potenziale, aggredendo le forme di lavoro nero e sommerso – che alimentano circuiti di sfruttamento e malaffare senza beneficio pubblico – e promuovendo regolarizzazione e integrazione. Il rapporto lancia l’allarme: ad oggi, il rapporto costi e benefici è ancora positivo ma, in futuro, la diffusa presenza di lavoro nero, di irregolarità nei permessi di soggiorno, e di occupazione in lavori poco qualificati senza mobilità sociale potrebbe far pendere la bilancia progressivamente verso la prima voce.
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