
Naufragi nel Mediterraneo: è tempo di una rivoluzione antropologica. Don Ciotti su "Famiglia Cristiana"
«Basta commuoversi, bisogna muoversi»: un appello a sconfiggere concretamente l’indifferenza verso i migranti che ancora muoiono nel Mar Mediterraneo – dopo il naufragio dell’11 novembre e la morte del bimbo di 6 mesi Youssef – arriva da don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’associazione antimafie Libera, sul numero di Famiglia Cristiana da oggi in edicola.
Ciotti parla di una «rivoluzione antropologica necessaria» proposta da papa Francesco, quando, in occasione della quarta Giornata mondiale dei poveri, ha detto che «ci si salva solo insieme». «Insieme vuol dire “tutti”, nessuno escluso», scrive il fondatore di Libera, «e noi viviamo in un mondo dove milioni di persone non possono salvarsi perché sono state lasciate sole, espulse ed emarginate da “insiemi” non abbastanza accoglienti e inclusivi». Tra questi abbandonati c’era anche il piccolo Youssef. C’era anche Aylan – il bimbo curdo-siriano di tre anni annegato e trovato morto sulle coste turche nel settembre 2015, con la sua maglietta rossa che è poi diventata un simbolo delle morti nel Mediterraneo – e ci sono, ricorda Ciotti, «milioni di persone condannate a morte dal loro luogo di nascita; destinate, per essere nate in una parte del mondo sfruttata, depredata, impoverita, a vite precarie, fragili, sofferte, spesso effimere come quella di Youssef o quella del piccolo Aylan».
E di fronte agli Aylan e agli Youssef della storia, esorta Ciotti, «non basta più commuoversi: bisogna muoversi, denunciare, darsi da fare per invertire la rotta». Basta girarsi dall’altra parte e far finta di non vedere «il silenzioso olocausto» che ormai si protrae da decenni.
Prima di tutto, suggerisce Ciotti, occorre «annullare le disuguaglianze economiche (meglio chiamarle ingiustizie) che la pandemia ha reso ancora più acute e evidenti». Il problema dell’iniquità, spiega poi, non è dovuto alle limitate disponibilità economiche, ma è «strutturale», legato ad un «Sistema ingiusto alla radice», come ha detto anche il papa.
Il secondo passo «per una necessaria rivoluzione antropologica, per un cambiamento di pensiero e di costume» è l’impegno di ogni cittadino «per sanare le distanze sociali e economiche». Acquisti e investimenti responsabili, donandosi azzerando la contrapposizione io/altro, e magari scoprendo «l’altro non solo attorno a noi ma dentro di noi», restituendo dignità ai poveri, agli emarginati e agli scarti della società.
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