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Natale 2020: “non porto la museruola”

Natale 2020: “non porto la museruola”

Quest’anno anche il Bambino Gesù del nostro presepe, come tutti noi, porta la mascherina.

La Parola sembra imbavagliata.

Invece: “La Parola si è fatta carne e”… porta la mascherina in mezzo a noi! Gesù l’avrebbe portata senza problemi perché serve soprattutto a difendere l’altro, oltre che se stessi: è un segno evangelico che può farci riscoprire il vero senso del Natale.

Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita di Gesù diedero loro un segno perché potessero riconoscerlo senza sbagliarsi: «troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia». A pensarci bene, dove mangiano gli animali è un posto strano per far nascere un bambino e per di più figlio di Dio; ma proprio perché così inconsueto è anche un segno inconfondibile. Quest’anno gli angeli annunciano: «troverete un bambino avvolto in fasce con la mascherina». Come ai pastori, anche a noi Dio dà dei segni per poter riconoscere facilmente Gesù. E, come la mangiatoia di Betlemme, si tratta sempre di segni strani ma inconfondibili.

Proprio questo anno potremmo rileggere il racconto dei Vangeli su quell’evento: leggerlo come se fosse la prima volta, senza vedere sullo sfondo l’immagine tradizionale e rassicurante del presepe di sughero e cartapesta a cui siamo fin troppo abituati, e accorgerci che Gesù non nasce né in chiesa, né a Natale, né a mezzanotte, ma in un posto insignificante, in un giorno qualunque, da gente che non conta niente. In esso ci leggeremo che di fronte alla stalla di Betlemme si può arrivare soltanto in due modi: o come Erode per sopprimere l’innocente, o come i pastori poveri con il Dio povero. Scopriremo che non esistono vie di mezzo. Invece, da duemila anni, troppe volte proprio noi cristiani, tentiamo vie traverse senza fare con chiarezza la nostra scelta. È vero che spesso non esprimiamo il rifiuto di Erode, ma è altrettanto vero che abbiamo addolcito, smussato la provocazione, lo “scandalo” di quel racconto e, come sostiene papa Francesco, abbiamo “paganizzato e mondanizzato Natale”. Abbiamo tentato una conciliazione impossibile tra il “bambino deposto nella mangiatoia” e il nostro egoismo. Anziché cercare quel segno “strano” della presenza di Dio nella Storia, nella nostra storia, lo abbiamo nascosto sotto la festa che abbiamo creato attorno al Natale, una festa di luci e di carillons, di regali e di abbuffate, di elemosine di circostanza, di sentimentalismi sdolcinati, di prediche fervorose, di pubblicità finte, di affari.

E abbiamo sottratto Natale al povero Cristo e ai tanti, troppi, povericristi.

Che il Bambino, figlio di straccioni, sia anche il figlio di Dio urta contro la nostra sensibilità pelosa e contro la nostra troppo unilaterale idea di Dio. In fondo, è più comodo considerarci a “immagine e somiglianza” di un dio onnipotente che del Dio Straccione, e forse proprio per questo facciamo tanta fatica a vedere il Figlio di Dio con la mascherina, a scorgerlo nel contagiato, nell’intubato, nell’impoverito, nell’emarginato, nel diverso, nello scartato.

Senza ipocrisia dovremmo ammettere che ci manca il coraggio di restituire Natale a Gesù Cristo e ai poveri; a quei poveri che non sanno più o non sanno ancora che Natale appartiene soprattutto a loro. AUGURI       

*Foto tratta da Pixabay, immagine originale e licenza

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