
Card. Ramazzini: le migrazioni dall'Honduras frutto di "violenza strutturale"
È ormai quasi un mese che circa 9mila honduregni, intere famiglie, anziani e bambini al seguito, si sono messi in viaggio per raggiungere gli Stati Uniti dove sperano di potersi costruire un futuro migliore. Una migrazione cui sono costretti da una povertà dalla quale non è possibile affrancarsi, aggravata dalla distruzione causata dal passaggio di due devastanti uragani, Eta e Lota. Per raggiungere la mèta, spostandosi verso Nord, devono attraversare altri Paesi centroamericani, quali El Salvador, il Guatemala, il Messico.
Già spesso vittime di azioni criminali, in Guatemala i migranti, nei giorni intorno al 20 gennaio hanno dovuto sperimentare la violenza delle forze dell’ordine che tentavano di fermarli. Per questo, il Segretariato Episcopale per l’America Centrale (SEDAC) il 21/1 ha lanciato un appello chiedendo agli Stati coinvolti di rispettare il «diritto di emigrare e non respingere tutti coloro che hanno bisogno di protezione internazionale». Nel comunicato diffuso alla stampa, mons. Escobar Alas e il card. Gregorio Rosa Chávez, rispettivamente presidente e segretario del SEDAC, nonché arcivescovo e vescovo ausiliare di San Salvador, hanno sottolineato che i flussi migratori non sono un problema per un solo Paese, ma per l'intera regione, chiamando quindi i governi a «lavorare insieme, in modo completo e umano sulla realtà migratoria regionale» e a «garantire la sicurezza dei migranti che transitano nei rispettivi Paesi». E hanno richiamato alla necessità di «attaccare le cause strutturali che danno origine alla migrazione».
In linea con questa posizione, due giorni fa il vescovo della diocesi guatemalteca di Huehuetenango, card. Álvaro Ramazzini, ha rilasciato un'intervista al giornale Prensa Libre in cui afferma: «Tutti hanno il diritto di migrare, soprattutto nelle situazioni in cui hanno bisogno di sfuggire a persecuzioni e pericoli che minacciano la vita, come la povertà, che è un attentato alla vita perché molte persone, con i livelli di povertà in cui vivono, non possono avere una vita decente». E definisce la povertà «una forma di violenza strutturale». Per quel che riguarda il Guatemala spiega che «non ha implementato politiche per promuovere una maggiore occupazione per le persone. I contadini sono stati abbandonati e lo stesso sistema di riscossione delle tasse, che dovrebbe consentire di avere risorse per soddisfare i bisogni del resto dei guatemaltechi, non ha funzionato. Per questo la Conferenza Episcopale dell'America Centrale chiede che ci sia un incontro dei Presidenti per affrontare questo tema in modo globale e fare fronte comune. Questa situazione non può essere risolta con la sola repressione o con un rigoroso controllo delle frontiere. Proposte e azioni comuni dovrebbero venire dal SICA (Sistema di integrazione centroamericano), che ha a che fare con la mancanza di soluzioni strutturali che causano povertà e violenza».
«Indubbiamente – aggiunge – le leggi di ogni Paese devono essere rispettate, dobbiamo riconoscere la loro sovranità, ma allo stesso tempo dobbiamo riconoscere il diritto alla migrazione. Come combinare i due principi è complicato, ecco perché abbiamo sollecitato i governi a richiedere politiche che favoriscano la presenza dei migranti perché non sono tutti criminali o ladri».
*Migranti dell'Honudras giunti in Messoco, 9 novembre 2018. Foto di ProtoplasmaKid, tratta da Commons Wikimedia, immagine originale e licneza
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